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Le mosse di Kasparov

di Giulietto Chiesa - 16/04/2007

 
A dicembre si vedrà quanti e quali partiti entreranno nella prossima Duma, la quinta dell’era post sovietica, ma si può scommettere fin d’ora, mille contro uno, che Garry Kasparov non vi siederà. Né lui né alcun altro del suo Fronte Civico Unito, il partito di opposizione cui ha dato vita nell’ultimo anno, contando sui denari che il suo genio scacchistico gli ha consentito di accumulare e, a quanto si dice, anche su una parte di quelli dell’ex banchiere, ora carcerato per i secoli dei secoli, Mikhail Khodorkovski.

Grande giocatore, Garry, il più giovane campione del mondo di scacchi quando, nel 1985, anno primo della perestrojka gorbacioviana, tolse lo scettro ad Anatolij Karpov. E fu scontro epico tra il giovane rampollo ebreo di Baku, in aria di accentuato antisovietismo, e il freddo e compassato, ma soprattutto molto sovietico campione uscente. Faceva già capolino la glasnost, e i media erano già divisi in due, tra i filo-americani-neo-democratici (che stavano tutti con Garry Kasparov) e i comunisti-ortodossi-filorussi e un tantino antisemiti (che stavano tutti con Anatolij Karpov). La sconfitta di quest’ultimo fu celebrata e salutata dai primi come una loro vittoria politica e come un segno augurale, un’anticipazione di quello che sarebbe accaduto appena sei anni dopo. Ma Vladimir Putin non è Anatolij Karpov e la partita che si gioca a Mosca, in questi mesi, non è sulla scacchiera. Tant’è vero che alla seconda mossa uno dei due contendenti è già finito in galera. Non c’è da indovinare quale dei due. Anche in cella si vedono dei quadretti, ma non sono precisamente gli stessi che si possono contemplare standosene seduti al tavolo di scacchi, con l’orologio a fianco che scandisce il tempo dei giocatori.

La prima mossa di Putin era stata la più semplice: non autorizzare la registrazione del partito di Garry. La legge era stata fatta apposta per evitare ogni sorpresa. Ma Kasparov è sempre stato un gran combattente e ha deciso di muoversi sul filo del rasoio. Come ai tempi sovietici non era possibile vincere alcuna battaglia legale - per la banale ragione dell'inesistenza di alcuna legalità - e dunque l’unico modo per esercitare una pressione politica sul potere era quello di avere spazio sulla platea dei media mondiali, così Garry Kasparov inaugura (per meglio dire riesuma) lo scontro mediatico fuori dai confini russi. Oggi tutto il mondo mostrerà le foto dell’arresto e dei pestaggi della polizia sui circa duemila manifestanti che Garry ha portato in piazza. E le televisioni faranno ancor meglio. E si sa che milioni di cittadini russi cercheranno i canali americani ed europei sulle loro parabole. Ma solo per trovare conferma che Garry non è il loro eroe. E che ha scelto di fare in quel modo una campagna elettorale che sa perduta in partenza per l’impossibilità pratica di parteciparvi. Putin sa bene di non avere una buona stampa in occidente, e non gli manca l’acume per capire che Garry può comunque giocare la sua partita, anche se i suoi sparuti manifestanti non sono riusciti nemmeno a srotolare gli striscioni. Ma i suoi calcoli sono altri. Nel discorso di Monaco ha già fatto capire all’Occidente che non teme le sue rimostranze e che risponderà picche a ogni mossa di Washington. A Mosca non si creerà nessuna rivoluzione colorata. E il fermo di Maria Gaidar, la figlia di quell’Egor che privatizzò la Russia per trenta denari, e fondatrice del movimento «Dà», cioè Sì, fratello del «Porà» (Basta) ucraino, ne è la conferma simbolica.

E Boris Berezovskij può anche lanciare da Londra i suoi proclami rivoluzionari per rovesciare Vladimir Putin, ma non gli basterebbe neppure il vagone piombato di Lenin. Per far cadere questo zar c’è un’unica arma: far crollare il prezzo del petrolio. Ma questo non è più nemmeno nelle possibilità di George Bush. Per quanto concerne Putin la scelta è stata già fatta e non verrà modificata. Il Cremlino ha deciso di costruire, dall’alto, un bipartitismo imperfetto. Il suo partito «Edinaja Rossija» (Russia Unita) non ha funzionato come partito unico del potere e rischia di screditare il presidente. Allora ne sta creando un altro, un po’ di sinistra e molto nazionalista - si chiama Partito della Giustizia - che è destinato a occupare il secondo posto nella Duma, quasi a pari merito con Russia Unita.

Se poi quest’ultimo, partito dei burocrati corrotti, dovesse attirare troppa ombra sul Presidente, allora lo si farà retrocedere al terzo posto. Ci sono sempre i comunisti, per quanto esangui e invecchiati. E, estrema risorsa in caso di emergenza, il partito di Zhirinovskij. Oltre non si andrà.