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Il maccartismo e il ruolo dei media

di Marco Managò - 08/05/2007

 


Il noto giornalista Andrea Barbato, già direttore di Paese Sera e vicedirettore de La Repubblica, scomparso nel 1996, è l’autore di questo interessante volume (pubblicato da Editori Riuniti), in cui si affronta la spinosa questione sorta negli Usa in seguito alle dichiarazioni del senatore McCarthy. Tutto comincia in seguito alle rivelazioni del senatore il 10 febbraio 1950, in un piccolo albergo a Wheeling, occasione nella quale si paventa il rischio della cospirazione comunista e si prospetta un elenco imprecisato di nomi. Del resto, visto l’approssimarsi delle elezioni, McCarthy, sforzandosi nell’elaborare elementi convincenti, sembrava averli identificati nell’agitare lo spettro comunista e sovietico, impegnandosi a fornire nomi e verbali che in realtà non aveva.
Il suo “lancio”, la sua infondata provocazione, colpì molto l’opinione pubblica, la massa, e pur durando poco più di un quinquennio, ebbe ripercussioni notevolissime in un quadro democratico lacunoso e vulnerabile.
Negli Usa i seguaci comunisti erano una minoranza impercettibile, non tale da minacciare e sovvertire le istituzioni, bensì, come qualche saggio pensatore aveva intravisto, ci si doveva chiedere perché montasse il disagio di molti intellettuali e centri culturali dinanzi al fallimentare modello americano.
McCarthy bluffò, inventando anche l’esistenza di un sistema di tesseramento del partito comunista, che avrebbe coinvolto decine di funzionari del Dipartimento di Stato, quando era ben nota l’assenza di tali iscrizioni.
L’abilità del senatore fu quella di mascherare un falso come verità incontrovertibile, facendo leva sulle paure delle masse, sul discredito delle amministrazioni. Il maccartismo fu soltanto l’ultimo esempio, ben delineato nel luogo e nel tempo, di persecuzione del pensiero, di intolleranza, ed ebbe ripercussioni in molti altri paesi, tra cui il nostro, in cui l’autore lamenta l’imbarazzo riposto in coloro che entravano alla Fiat con l’Unità tra le mani. Poi precisa << ... taluni addirittura lamentano che in Italia sia accaduto il contrario, e che da una presunta egemonia di sinistra sulla cultura negli anni dell’opposizione, si sia poi passati direttamente al cosiddetto “consociativismo”, che è – come è evidente – il contrario esatto del maccartismo. >>
E’ da ricordare, però, quanto un “maccartismo” di senso contrario si sia scatenato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, sia attraverso la persecuzione fisica di coloro ritenuti compromessi col precedente regime, sia con la discriminazione dei pochi sopravvissuti e dei simpatizzanti, parzialmente e successivamente sdoganati dalle abiure di Fiuggi.
Le avvisaglie anticomuniste negli Usa si erano già avvertite negli anni “venti” (subito dopo la dirompente crescita dell’Urss); seguirono episodi di repressione quali quelli del 1927 che colpirono Sacco e Vanzetti.
Una legge del 1939 escludeva dagli incarichi federali coloro che si macchiavano di intenzioni sovversive. Una del 1952 imponeva la perdita della cittadinanza a ogni americano, nato all’estero, che si fosse iscritto al partito comunista.
Il repentino raggiungimento dell’arma atomica, nel 1949, da parte dell’Urss, che sorprese i piani Usa, non fece altro che alimentare la tensione. Una intolleranza che, come ribadisce l’autore, si sviluppava in un quadro democratico solennemente sbandierato e sacro depositario delle libertà individuali.
Sono anche gli anni della definitiva affermazione comunista in Cina, a discapito dei nazionalisti di Chiang Kai-shek.
E’ opportuno riportare alcune efficaci considerazioni di Barbato: “Perché il paese che ha fatto della libertà di stampa un mito si è fatto catturare, proprio attraverso i giornali, da un cinico propagandista, da un brutale mentitore?”. La spiegazione. “L’America soffre di quello che Dwight McDonald ha battezzato il feticismo dei fatti, e i giornali ne sono gli interpreti autorizzati… E le dichiarazioni, i gesti, le accuse, gli insulti di un senatore, uno dei cento uomini (allora erano 96) che hanno in mano il destino dell’America, sono eventi. Forse negativi, ma eventi”.
La spregiudicatezza del senatore, alimentata da continua diffamazione e costante allarmismo, si giovò della debolezza del giornalismo statunitense, riuscendo a contenere le voci contrarie (Washington Post ed Herald Tribune) e a strumentalizzare l’intera categoria.
Parlare di limitazione della libertà di stampa non è fuori luogo, tanto che il direttore del Post, Wechsler, fu messo pubblicamente alla berlina da McCarthy e, incalzato come fosse il peggiore degli assassini, dovette parzialmente fornire informazioni sui suoi vecchi legami con la Lega Comunista.
Il maggior editore statunitense, tal Henry Luce (7 milioni di copie tra Time e Life), considerato anche il principale artefice dell’opinione pubblica (!), viscerale anticomunista, appoggiò e finanziò McCarthy senza, però, compromettersi ufficialmente, timoroso, altresì, di dover pagare a caro prezzo l’eventuale declino del senatore troppo irruente.
In un’epoca di profonde trasformazioni sociali, di urbanizzazione e industrializzazione, lo spettro dell’avanzare del comunismo contagiò larga fetta dell’opinione pubblica, dalla base popolare alle oligarchie economiche, ed ebbe diffusione omogenea e transazionale attraversando tutto il territorio federale. McCarthy segnò di certo la vita di molti individui ma la sua inequivocabile posizione non si tradusse nella costituzione di un movimento o di un partito e, anche per questo, non incise particolarmente sull’esito delle elezioni. Barbato scrive di fenomeno che influenzava le masse pur non costituendo un sintomo a diffusione estesa.
L’opportunismo delle masse, che si legò al senatore, è l’elemento sul quale Barbato richiama l’attenzione, a dimostrare quanto fallace possa essere, a volte, la volontà delle maggioranze. Egli scrive, infatti, a proposito delle masse “Non volevano radere al suolo la società americana burocratizzata e industrializzata, ma solo rimpiazzarne i protagonisti”.
Il volume prosegue attraverso un’interessante excursus sulla vita del senatore, nato nel Wisconsin nel 1908, in un ambiente rurale, dove, giovanissimo, già poté esprimere la vivacità e l’imprenditorialità. Realtà piccole le si mostravano strette, tanto che si trasferì frequentemente, dimorando anche a Milwaukee.
I tratti imperiosi del neoavvocato si mostrarono ben presto, in occasione di elezioni locali per la carica di giudice. Il suo populismo, la falsità nel frequentare e nel mostrarsi pubblicamente (e occasionalmente) accanto alle fasce più deboli del popolo, unita alla diffamazione sul conto dell’avversario (spacciato anche per vegliardo oltre il vero), determinarono l’affermazione elettorale. Fu il precursore trionfo di un certo tipo di propaganda politica, del tutto scenografica e “urlata”, al limite del ridicolo, offensiva dell’intelligenza dell’elettorato, eppure così funzionale... sino alla forzata esportazione nei paesi “amici”, quali l’Italia.
Il giovane avvocato/giudice mirava alto e, opportunamente lasciata l’ala progressista per quella repubblicana, intraprese una nuova singolare battaglia elettorale, per il Senato. Barbato ricorda quanto McCarthy, per compensare la decisione del rivale Zeidler, volontario in Marina nella seconda guerra mondiale, fu costretto ad arruolarsi, mantenendo posizioni di assoluto ripiego eppur sbandierate ai media come gesta eroiche. La mossa produsse i suoi strategici effetti sull’opinione pubblica. La medesima carta la giocò nella contesa elettorale, condotta senza mezzi termini, nei riguardi del potente La Follette junior, stracciato all’urna e avviato, addirittura, al suicidio. La guerra sulle cifre, una variabile sulla quale abilmente giocò McCarthy, appassionò le masse più dell’essenza del “peccato” stesso attribuito, sulla fondatezza della cospirazione in quanto reato o quale diritto di manifestare le proprie idee, in piena democrazia. Le illazioni e le iperboli espresse nei vari discorsi alimentarono un gran vociare ma nessuno si prese la briga di smentire, dimostrando anche un certo timore nell’affrontare una strada contestualmente meno redditizia. Per questo il bluff poté sussistere, tra carte false e allarmismi infondati. Sarebbe stato molto interessante approfondire l’analisi nel nostro paese, celebrando in pieno il titolo del volume “Come si manipola l’informazione”; mentre il sottotitolo “Il maccartismo e il ruolo dei media” avrebbe richiesto una delimitazione precisa. Visto il riferimento continuo all’immagine e al ruolo del senatore McCarthy, senza alcun riferimento alle altre situazioni simili del pianeta, avrebbe consigliato un’inversione di titoli, preferendo quello relativo proprio al maccartismo. Fenomeno specifico e delimitato, ma con circostanze, protagonisti ed epigoni in ogni latitudine, di ogni origine... anche quella contraria, disconosciuta.