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La biologia filosofia di Hans Jonas

di filosofia-ambientale.it - 05/12/2005

Fonte: filosofia-ambientale.it

Nicola Russo

La biologia filosofia di Hans Jonas

Guida, 2004 €10.50
 

"Nonostante il libro sia stato realizzato dal punto di vista della composizione in maniera imperfetta, dal momento che non è l'esito di un disegno unitario, lo considero come la mia opera filosoficamente più importante, poiché vi sono sviluppati i principi di una nuova ontologia": così Jonas torna, nelle Erinnerungen, su Organismo e libertà, l'antologia che raccoglie i fondamenti di una filosofia della vita, a partire dai quali si connettono ed articolano tutti i nuclei del suo pensiero, dall'antropologia alla filosofia della tecnica, dalla storia della scienza moderna alla teologia speculativa.

La monografia dedicata a questa operazione tanto originale, quanto inattuale, di ricomposizione dell'unità dei saperi, andata perduta con il moderno divorzio tra scienze umane e scienze della natura, ricostruisce il disegno unitario - e sistematico - di un'ontologia della vita come ontologia fondamentale: sistema della biologia filosofica, prescindendo dal quale tanto l'etica della responsabilità, quanto la teodicea di Jonas sono private della loro autentica fonte di ispirazione.

In tal modo si chiude un vuoto nella recezione della fùosofia di Jonas, sia in Italia che altrove poco attenta alla sua ontologia, un vuoto tanto più grave se è vero che con essa egli si è rivolto "ai problemi permanenti della filosofia: alla posizione dell'uomo nell'essere, all'interpretazione dei rapporti tra natura, vita e spirito".

 Nicola Russo è ricercatore di fIlosofia teoretica presso l'Università "Federico II'' di Napoli, ove insegua fIlosofia della scienza. È autore della monografia Filosofia ed ecologia. Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche (Guida, 2000) e di vari saggi di antropologia fIlosofica, rivolti ad un ripensamento teorico del nesso natura-uomo-tecnica entro lo spazio storico della civiltà occidentale moderna. 


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Indice

 

Introduzione

prima sezione - La biologia filosofica: dall'organismo all'uomo

I. La costituzione storica dell' ontologia: la biologia filosofica come ontologia fondamentale
Teorie sistemiche del vivente e storicità
antologia e vita: il fenomeno guida del corpo vivente

II. Metabolismo e libertà: i gradi del vivente
Storia e dialettica della libertà
La vita vegetativa: metabolismo e individualità
La vita animale: movimento, percezione e sentimento

III. Il culmine della creazione: l'homo pictor
Genealogia e fenomenologia dei sensi
Attrezzo, immagine e sepoltura


Seconda sezione - La teologia speculativa: dalla Natura a Dio

I. La fondazione ontologica dell' etica e la teleologia
Etica e metafisica

II. La storia ascendente dell'essere come avventura mondana di Dio
Materia, vita, spirito
Il mito della creazione

III. I residui del dualismo


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Introduzione


"Se si vuole parlare della mia filosofia, bisogna dire in ogni caso che essa non comincia con la gnosi, ma con gli sforzi dedicati alla biologia filosofica". Questa pagina autobiografica di Jonas, nella quale il suo fortunatissimo lavoro sulla gnosi è definito come un mero "saggio da apprendista", può ben valere come indice dell'in­tenzione fondamentale del suo pensiero, anche rispetto a ciò che lo ha successivamente consacrato come uno degli autori più significativi del novecento, ossia la sua proposta di un' etica per la civiltà tecnologica nel nome del principio responsabilità.

Se non altro in Europa, infatti, egli ha goduto a lungo, entro il ristretto circolo degli specialisti della materia, di una meritata fama solo come storico delle religioni, prima di venir riscoperto improvvi­samente come fIlosofo morale". La storia della recezione di Jonas, insomma, dà la strana impressione di un pensiero spaccato in due tronconi, lontani nel tempo e tematicamente: tra la pubblicazione di Gnòsis und spatantiker Geist del 1934 e quella del Prinzip Verantwortung del 1979 vi è una specie di vuoto quasi cinquantennale. Eppure è proprio durante questo limbo che Jonas compone e pubblica i saggi che confluiranno poi in The Phenomenon oJ Life. Toward a Philosophical Biology (1963), prima edizione in inglese del testo che noi conosciamo e citeremo con il titolo, più gradito allo stesso autore, di Organismo e libertà 3. Una raccolta di saggi sulla quale Jonas scrive, ancora nella sua autobiografia: "Nonostante il libro sia stato realizzato dal punto di vista della composizione in maniera imperfetta, dal momento che non è l'esito di un disegno unitario, lo considero come la mia opera filosoficamente più importante, poiché vi sono sviluppati i principi di una nuova ontologia".

Non è, però, difficile comprendere le ragioni per le quali la critica ha a lungo sottovalutato, se non del tutto ignorato, paradossalmente proprio ciò che per Jonas rappresenta il vero inizio della sua filosofia e al tempo stesso il suo nucleo fondamentale. Al di là, infatti, delle circostanze più esteriori, legate alle vicende biografiche di Jonas, la sua fuga dalla Germania nazista, gli anni in Palestina, l'insegnamento in Canada e poi negli Stati Uniti, il rientro sulla scena europea con la stesura in tedesco de Il principio responsabilità, vi sono. motivi profondi per la disattenzione iniziale verso la sua biologia filosofica, riconducibili ad un denominatore comune: la radicale inattualità di quel progetto.

Per quanto riguarda il primo ordine di considerazioni, va sottolineato che del tutto decisiva è stata la scelta di Jonas di tornare a rivolgersi al pubblico tedesco, componendo nella sua lingua madre l'opera che lo ha reso celebre e la cui prima edizione è avvenuta proprio in Germania. In tal modo, infatti, oltre a far sentire la propria voce in un ambiente culturale estremamente sensibile alle tematiche ecologiche e quindi ben disposto a prestarle attenzione, egli si è in qualche misura intromesso entro il dibattito tedesco tra l'etica del discorso e le riprese delle strategie metafisiche di fondazione dell' e­tica. Consapevole di "affrontare un oggetto estremamente attuale con una fIlosofia assolutamente inattuale, quasi già arcaica", come afferma proprio nell'introduzione a Il principio responsabilità [PR, p. xxx], Jonas ha sfidato le correnti fIlosofiche più attuali su un terreno che loro avevano trascurato, stimolandole se non altro a riempire quel vuoto.

È questo il leit motiv del confronto in area tedesca più ampio e sistematico con l'«etica per la civiltà tecnologica» di Jonas, confronto che ha trovato espressione nelle numerose pubblicazioni curate da Dietrich B6hler, oltre che nella sua fondazione dello Hans Jonas Zentrum a Berlino. B6hler, che pure ha sottolineato ripetutamente il carattere fondamentale della "fIlosofia del vivente, senza la quale la sua etica ontologica del futuro non può essere adeguatamente com­presa", e che ha chiarito perfettamente la relazione tra questi due momenti del pensiero di Jonas affermando che i suoi studi "ontolo­gico-biologici precedono il Principio responsabilità non solo tempo­ralmente, ma anche sistematicamente"?, ritiene ciononostante che le acquisizioni centrali dell'etica di Jonas possano essere salvate solo contestualizzandole entro lo schema fondativo della Diskursethik. Conseguentemente, egli cerca di prescindere dalla sua filosofia della natura e dal legame tra etica e ontologia: "Il dialogo diretto è con­dotto solo con il filosofo morale, non con il filosofo della natura Hans Jonas", quindi al di là della "soggettività di congetture metafisiche".

Ma se Bohler ha almeno concesso che il principio responsabilità, una volta riportato sul piano fondativo della Diskursethik, possa con­tribuire ad una riflessione etica più ampia e meglio articolata, soprat­tutto supplendo alle deficienze sul piano motivazionale della teoria astratta della Kommunikationsgemeinschaft, e quindi ha pensato ad un rapporto all'insegna dell'integrazione e della complementarità, diversi altri interpreti appartenenti alla sua stessa scuola hanno cer­cato di dimostrare come anche gli elementi più caratteristici del pensiero morale di Jonas, in primo luogo il concetto di responsabilità nei confronti delle generazioni future, simm già implicitamente com­presi come corollari entro gli assunti di base dell' etica del discorso. Conseguentemente, la proposta di Jonas sarebbe inaccettabile sul piano fondativo e per il resto semplicemente superflua.

Si potrebbe certo obiettare, che la pubblicazione de Il principio responsabilità ha quantomeno portato in primo piano istanze centrali del dibattito etico e bioetico, che altrimenti sarebbero forse rimaste a lungo ignorate: se non altro, come si diceva prima, l'irruzione di Jonas sulla scena europea ha stimolato, se non addirittura costretto, a prendere posizione sulle problematiche da lui sollevate ". Il che non toglie che molte delle critiche all'impianto fondativo di quel libro siano condivisibili, per quanto spesso si operi, sulla loro base, un fraintendimento radicale della figura complessiva del pensiero di Jonas, soprattutto quando l'intenzione è quella di salvame.i momenti considerati vivi e ancora fertili, separandoli da una zavorra antiquata e inutile. Paradigmatica è la posizione di Micha Wemer, che prosegue sulla linea tracciata da B6hler nella sua confutazione del "pro­gramma di fondazione metafisica e filosofico naturale", Molto in breve, Wemer sostiene che la critica all'argomento che deduce l'ob­bligazione morale neiriguardi della natura vivente a partire dalle due premesse: - che in natura sono presenti fini e che la finalità è un bene in sé - renda superfluo un approfondimento della filosofia della natura di Jonas, Ma questo è un grave errore di prospettiva, un vero e proprio capovolgimento, nella misura in cui intende l'ontologia della vita solo come una strategia di fondazione dell'etica: si dimen­tica, infatti, che Jonas non ha scritto Organismo e libertà in vista de Il principio responsabilità, in altre parole non si è rivolto all'ontologia per chiudere un buco nella fondazione dell' etica, ma è giunto all' e­tica come "esito naturale di una filosofia dell'organismo", che èun'autentica filosofia prima; Mettere da parte la filosofia della na­tura, che non è solo il risultato di congetture metafisiche e prefe­renze soggettive, ma anche un sistema di fini analisifenomenologi­che e genealogiche sul vivente, significa mettere da parte il mwleo profondo del pensiero di Jonas e quindi condizionare gravemente anche la comprensione dei suoi risvolti etici.

Ad ogni modo, la configurazione dei rapporti, sui quali torne­remo più ampiamente, tra ontologia ed etica in Jonas, configurazione che in ambito tedesco è avvenuta perlopiù come messa tra' parentesi dell'impianto ontologico a favore delle intuizioni etiche più attuali, ha certamente contribuito alla disattenzione verso Organismo e libertà e ha incanalato la recezione europea di Jonas su binari piuttosto stretti. Ad eccezione, infatti, dell'interesse con il quale autori di tradizione fenomenologica, per lo più di lingua francese, hanno letto critica­mente le pagine di Jonas dedicate all'antropologia fllosofica e alla fenomenologia del vivente '4, non si è generalmente usciti da un'im­postazione del confronto incentrata sulla questione della fallacia na­turalistica e sugli esiti politici problematici de Il principio responsabilità.

In particolare in Italia, per tutta una serie di ragioni che Paolo Becchi individua in maniera chiara e convincente, si è faticato molto a superare un atteggiamento di sufficienza e disattenzione nei riguardi di Jonas, che è ben riflesso nella scarsezza di confronti critici approfonditi con la sua opera e soprattutto nella mancanza di un approccio complessivo ad essa. In effetti, ad eccezione dell' ottima monografia sullo gnosticismo di Ioan Petro Culianu del 1985 e delle edizioni nel 1991 dei saggi filosofici jonasiani Dalla fede antica al­l'uomo tecnologico a cura di Alessandro Dal Lago e nel 1995 dell'an­tologia Hans ]onas. Natura e responsabilità a cura di Paolo Pelle­grino, in Italia, come nota ancora Becchi nella sua presentazione a Organisrrw e libertà, di cui ha curato l'edizione nel 1999, non si è andati "al di là di articoli e recensioni scritti per lo più sull'onda della pubblicazione delle traduzioni".

In funzione di tutto ciò, l'itinerario del pensiero di Jonas appariva frammentato ed episodico, legato di volta in volta non ad un'idea coerente di sviluppo, ma alle circostanze e agli ambienti culturali nei quali egli si trovava a lavorare: nella Germania degli anni '30 la grande influenza e vitalità degli studi storico-religiosi, negli Stati Uniti del dopoguerra il ritorno, soprattutto per il tramite di White­head, alla tradizionale vicinanza del pensiero anglosassone alla filo­sofia della natura, nell'Europa degli anni '80 l'imporsi della questione ecologica e delle tematiche di etica applicata. E la situazione era aggravata dalla circostanza che proprio la biologia filosofica fosse così trascurata, se è vero, come è vero, che "il problema della natura (specificamente della natura organica) consente di cogliere l'unità dell'ispirazione filosofica nella solo apparente eterogeneità degli ar­gomenti trattati" 18. Il che, ovviamente, non significa sottovalutare i momenti di rottura e le svolte radicali del pensiero di Jonas, che però appaiono essere, illuminate dalla prospettiva dell' ontologia della vita e della teologia speculativa, tessere di un mosaico dal disegno unita­rio.

Soprattutto dopo il '33, in effetti, vi è una vera e propria frattura, che coinvolge tutta l'esistenza di Jonas e si manifesta sul piano della riflessione filosofica come una forte esigenza di prendere le distanze dal mondo culturale tedesco ed in particolare da Heidegger: "la mia riflessione filosofica dopo la guerra avvenne nel segno del distacco dalla filosofia heideggeriana dell' esistenzialismo, alla quale opposi la mia filosofia della vita", Un'esigenza di distacco che è anche l'esi­genza di recuperare una dimensione del filosofare più originaria, ma al tempo stesso concreta e prossima alla vita: "Lontano dai libri, senza alcun mezzo per esercitare il mestiere dotto della ricerca, ero stato rigettato verso ciò di cui in effetti il filosofo dovrebbe occuparsi, ossia la domanda circa il proprio essere e l'essere del mondo che ci circonda, Cominciai così a riflettere su cosa comporta, per la dottrina dell'essere, il fatto che vi siano organismi; e sul signi­ficato che l'essenza dell' esistenza organica, includendo in essa co­scienza, sensibilità e spirito, ha per la vita: tutto q1,lesto lo esposi in lettere", le famose Lehrbriefé indirizzate dal fronte a Lore Jonas, da pochi mesi sua moglie.

Il distacco, forzato, dalla ricerca erudita e quello, voluto, dall' esi­stenzialismo avvengono, però, entro la cornice dell' ontologia e di un'ontologia che è certamente compresa a partire dall'insegnamento di Heidegger, ma pretende di revocare la pregiudiziale moderna che pone il pensiero come autocoscienza e soggettività quale unico ac­cesso all'essere", Ed è questo il nucleo dell'inattualità di Jonas, il principio a partire dal quale egli ha percorso strade molto poco battute dalla filosofia contemporanea: "L'ontologia come fonda­mento dell' etica era il punto di vista originario della filosofia. La separazione delle due, che è la separazione del regno 'oggettivo' da quello 'soggettivo', è il destino moderno. 1110ro ricongiungimento può, ammesso che sia mai possibile, essere effettuato solo a partire dal lato 'oggettivo', cioè attraverso una revisione dell'idea della na­tura" [DeL, p. 306].

E così arriviamo a quella che prima indicavamo come la ragione profonda della scarsa recezione della biologia filosofica di Jonas: l'in attualità del suo assunto fondamentale, l'idea di un'ontologia come filosofia della natura, ossia della totalità dell'essere che è com­plicazione dei poli oggettivo e soggettivo. Un'idea, che è anche il principio unificatore di tutta la sua produzione: il progetto di un "nuovo monismo integrale" [DeL, p. 25] è strettamente legato all'a­nalisi critica del dualismo, la cui incarnazione più pura è per Jonas lo gnosticism022. La realizzazione di questo progetto sul fondamento della fenomenologia della vita mette in luce l'emergere dell'ambito della libertà da quello dell' esistenza organica e dunque indica il radicamento nella natura della dimensione di possibilità della re­sponsabilità, da cui Jonas deduce il fulcro del suo argomento onto­logico contro !'interdetto humiano alla riunificazione di essere e dover essere. E ancora oltre, l'esito della biologia filosofica nell'an­tropologia e nella filosofia dello spirito spinge Jonas ad osare l'ac­cesso ad un territorio ancora più desueto, quello della teologia spe­culativa, alla quale è dedicata la parte terminale di questo lavoro".

L'inattualità del suo progetto filosofico è dunque molteplice: al­l'antiquatezza dell'ontologia generale si aggiunge quella dell'idea stessa di filosofia della natura 25. Alla riproposizione postkantiana di una fondazione ontologica dell'etica si somma l'impresa quasi me­dievale di una teologia speculativa. E nel contesto di tutto ciò, trova espressione un approccio decisamente antimoderno in quella che potremmo chiamare la filosofia della scienza di Jonas, che al pari della biologia filosofica è momento tanto importante, quanto trascu­rato. Infatti, avendo rinunciato alla via maestra dell'analitica esisten­ziale come fondamento dell' ontologia e, più in generale, avendo revocato il privilegio della soggettività, Jonas deve trovare vie d'ac­cesso alternative, che sono in sostanza due: la storia dell'ontologia e l'analisi storico-critica della scienza in vista di un utilizzo filosofica­mente fruttuoso dei suoi esiti.

Del primo tema parleremo ampiamente più avanti, ma circa il secondo vanno dette, in tutta brevità, ancora alcune cose, in primo luogo in che senso il confronto di Jonas con la scienza può essere detto antimoderno, tenuto conto del fatto che certamente non pos­siamo imputargli un atteggiamento di disattenzione o di rifiuto verso i progressi delle tante discipline di cui ha approfondito lo studio, dalla biologia alla mecc_nica classica, dalla teoria dei sistemi alla genetica, dall'evoluzionismo alla fisica quantistica. In ognuna di que­ste circostanze, però, egli si è lasciato indirizzare da quello che è uno degli esiti principali della sua storia dell' ontologia, ossia dal ricono­scimento del dominio, entro la modernità, di ciò che definisce «pan­meccanicismo», espressione con la quale non designa semplicemente il prevalere di un'impostazione della spiegazione scientifica di tipo deterministico, ma più ampiamente la pretesa, di origine cartesiana, che rispetto ad intere regioni fondamentali dell'essere solo la spie­gazione scientifica sia legittima.

Ora, è evidente che, se il compito che si poneva Jonas era quello di "illuminare filosoficamente la natura della vita, il fenomeno del­l'organico, ed invero in modo tale da ricomprenderli in un'ontologia, in una dottrina generale dell'essere"; se quindi in gioco era un recu­pero della tematica della natura e della vita da parte di una filosofia che pretendeva al tempo stesso di essere filosofia della libertà e dello spirito, ciò non poteva avvenire senza la contestazione della pretesa delle scienze della natura di esercitare una sorta di giurisdizione esclusiva. Bisognava "guadagnare, insomma, un posto per il feno­meno della vita all'interno di un'ontologia che appunto non sia più dominata unilateralmente dal modello della realtà scientifico-natu­rale"?

La definizione stessa di «biologia filosofica» è il risultato di un approccio alla scienza che non si riduce alle considerazioni metodo­logiche che esauriscono gran parte dell' epistemologia moderna, ma cerca di recuperare "l'unità della cultura razionale" a partire dall'idea del "costitutivo intento integrativo" .della filosofia. "Una biologia non filosofica è una biologia puramente fisica. Ai fini della purezza metodologica, nel suo corso essa deve ignorare che le formazioni di cui si occupa hanno anche sensazioni, provano sentimenti, sperano, temono e hanno paura, desiderano, hanno fame e sete, sono curiose e così via. [...] Una biologia filosofica, invece, è una biologia che revoca ed evita questa separazione artificiale delle sfere e non perde mai di vista, occupandosi di organismi, che questi non sono una totalità solo in senso funzionale, ma anche in senso psico-fisico".

Nelle pagine che seguono si ricostruirà la configurazione della totalità complessa dell' organismo, immagine vivente della totalità polarizzata e dialettica dell'essere, che è il momento essenziale della biologia filosofica di Jonas. "Una filosofia della vita comprende nel suo oggetto la filosofia dell' organismo e la filosofia dello spirito" [DeL, p. 7]: questo l'incipit di Organismo e libertà, che rappresenta anche la cifra e il risultato di un percorso che, osando vie oramai considerate vicoli ciechi, riscatta la sua inattualità tramite la capacità di creare prospettive unitarie, articolate e originali tanto rispetto ai "problemi permanenti della filosofia", quanto rispetto a questioni di immediata attualità. Al di là, infatti, della legittimità di molte delle critiche rivolte, anche qui, all'edificio speculativo di Jonas, l'ampiezza del suo pensiero che, a partire da una filosofia della natura declinata come ontologia della vita e culminante nell'antropologia filosofica, riesce a unificare il problema della scienza, quello della tecnica e quello dell'etica, rimane esemplare di ciò che la filosofia può ancora osare proporsi.