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Il liberalismo triste di Hannah Arendt

di carlo gambescia - 06/12/2005

Fonte: carlogambesciametapolitics.blogspot.com

L'opera filosofica di Hannah Arendt (1906-1975) è probabilmente fra le più intriganti del XX secolo. Ebrea tedesca immigrata negli Stati Uniti, la Arendt è espressione, se proprio la si vuole definire politicamente, di una specie di liberalismo "triste": un liberalismo consapevole per un verso dei propri limiti (indifferentismo, individualismo, materialismo) e per l'altro cosciente della mancanza di alternative a se stesso. E in questo ridotto spazio si sviluppa tutta la filosofia politica della Arendt, autrice di importanti libri sul totalitarismo, sulla società di massa, e sulla rivoluzione.

Pertanto una pensatrice vera, più attenta alle domande che alle risposte, e quindi con un fondo tragico; quella tragicità cui vanno incontro quei pensatori che riescono a scorgere , magari solo per un momento, il volto demoniaco del potere. Pagando poi per sempre le conseguenze dell'illuminazione di un attimo...
Non può perciò non irritare un articolo come quello apparso ieri sul "Corriere della Sera" dove ci si preoocupa di scoprire se la Arendt può essere definita di destra o di sinistra, elencando in due box posti ai lati di una foto dove la prima cosa colpisce è il suo sguardo forte e profondo, le ragioni della destra e della sinistra.
Dispiace per l'autore dell'articolo, e per i responsabili della surreale impaginazione, ma il potere non è di destra né di sinistra, o di centro, come pare preferire l'articolista.
E' il potere punto e basta. E coloro che lo hanno studiato a fondo, fin nelle sue più brutali manifestazioni , come la Arendt, non possono a maggior ragione essere ricondotti all'interno di artificiose divisioni politiche.
Da una parte c'è il potere e dall'altra chi cerca di scoprirne il vero volto. Alcuni cadono come Socrate, altri sopravvivono come la Arendt, e molti altri, spesso la maggioranza, vengono a patti.
Ed è inutile e noioso farne i nomi. Sono nei manuali di filosofia politica.