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“La ricchezza è una minaccia per i diritti dell’uomo”

di Majid Rahnema* - 11/12/2005

Fonte: ariannaeditrice.it

                          

 

 

La Décroissance: Nel vostro libro voi dite che l’economia moderna è nemica del sociale, come si arriva a questo?

Majid Rahnema: La parola economia viene dal greco oikonomia. E’ una parola inventata dai Greci per descrivere la gestione delle cose di casa. L’ oikonomia originale fu lungo i millenni un’economia di sussistenza; in Grecia era interamente organizzata dalle persone della casa. Si discuteva dei bisogni presenti in famiglia e di come soddisfarli il più economicamente possibile. Oggi l’economia, contrariamente a quanto si può pensare, non segue più i bisogni della società. L’economia ha una sua propria logica, separata,  “distaccata” dal sociale. Essa indubbiamente produce degli alimenti, ma perché sono delle cose vantaggiose, che apportano del denaro. Per esempio, le grandi imprese, quando vogliono creare un prodotto, inviano tutta un’armata  di sociologi ed esperti di mercato per studiare la psicologia ed il comportamento dei consumatori. L’indagine non ha tuttavia lo scopo di migliorare le loro condizioni di vita. Essa cerca piuttosto di vedere come dei nuovi “bisogni” potranno essere creati, per apportare maggior guadagno. Prendiamo l’esempio dei trasporti: l’economia produttivista si interessa poco al camminare, o solamente facendo delle scarpe care. Al contrario l’interessa l’automobile. Ma la finalità dell’automobile non è assolutamente di arrivare in modo confortevole e rapidamente in un posto! L’automobile è un segno di statuto sociale. La Ferrari non è un bisogno! L’economia ha dunque la tendenza ad uscire dal sociale, perché il sociale non la accomoda completamente. Ogni società degna di questo nome è in effetti retta da regole morali, mentre l’economia è per natura amorale. Per esempio, la produzione di sigarette si giustifica per l’economia per il fatto che porta del guadagno. Mentre per la società, una produzione assai dannosa per la salute è inaccettabile.

 

La vostra esperienza all’UNESCO e all’ONU vi fa dire che l’economia di crescita crea essa stessa la povertà. La crescita non è dunque creatrice di ricchezza?

Io stesso ho impiegato quindici anni per riuscire ad uscire dal pensiero dello sviluppo. Nel dizionario si descrive lo “sviluppo”, la “crescita” , come il passaggio dalla gemma al fiore, dal bocciolo alla rosa. E’ un’immagine molto bella... Chi potrebbe essere contro la crescita di un fanciullo o contro la fioritura? Per rispondere alla vostra domanda si tratta di definire cos’è la ricchezza e la povertà. E’ certo che l’economia moderna ha una capacità di produzioni materiali senza rapporto con tutte le hanno precedenti. Ma ciò rappresenta solo una delle sue facce.

Essa ne ha, ahimè! un’altra che si guarda bene dal mostrare: quella della produzione di rarità di nuovo tipo, dei bisogni fabbricati socialmente, come l’automobile, gli articoli casalinghi e altri prodotti di consumo, che sono riservati ai più ricchi. Le “ricchezze” create dall’economia detta di crescenza non rappresentano per i poveri che delle nuove fonti di precariato e di miseria. Oggi 1,1 miliardi di persone vivono con meno di un dollaro al giorno! La dipendenza alimentare di milioni di persone è qualcosa di assolutamente inedito nella storia dell’umanità. E tuttavia viviamo in un sistema economico fra i più incredibilmente efficaci in termini di produzione di mercanzie. Allora, prima di far crescere le rose, bisogna prima difendere ciò che è una buona rosa, e rifiutare l’idea di una sola specie di rosa, bella, performante, inalterabile, che vorrebbe venderci la crescenza.

 

Il vostro libro si dichiara per la riscoperta di questo stile di vita semplice. Come raccomandare la povertà?

Ci vorrà un certo tempo perché le persone vedano nella decrescenza un modello di vita accettabile. Io stesso, ho bisogno di una piccola biblioteca, di dischi, d’una piccola televisione, soprattutto della radio, e sono obbligato oggi a lavorare con un computer, è diventato un’aggiunta; anche se so quanto sia male, devo averli. Quando sentono la parola decrescenza, le persone pensano disoccupazione, quindi minaccia. In questo senso monolitico, la decrescenza non sarà mai accettata. Pertanto, durante i millenni, lo stile di vita normale della grande maggioranza delle popolazioni del mondo dipendeva da ricchezze di tutt’altra natura: quelle del legame sociale, quelle dell’equilibrio che permetteva agli uomini di vivere in armonia con la natura. Questo modo di vita semplice e frugale che era la povertà conviviale era fatta di solidarietà, di reciprocità e di spartizione.

Ciò che si constata oggi nei movimenti sociali che nascono -i Zapatisti, i Senza-Terre, la Swadhyaya, la Sarvodaya, i movimenti di altramondializzazione, etc. – è la volontà di reinventare quelle ricchezze che sono i legami umani di ogni specie. I movimenti di resistenza non si lasciano più facilmente impressionare. Non credono più che tutti i mali dei poveri si riducano al sotto-sviluppo. Non credono più che un cittadino di un paese del Nord sapendo manipolare l’internet sarebbe più “sviluppato” di un Platone o un Avicenna. O che Luigi XIV sarebbe un sotto-sviluppato perché non aveva né doccia, né automobile, né alcuno dei gadget della tecnologia moderna.

 

Come capire che possedere meno non è essere disgraziati?

Per questo, dobbiamo uscire dai nostri schemi di pensiero, rifiutare di piegarsi alla mania dell’acquisizione, e del cambiamento ad ogni costo. Quando si è felici, quando si è innamorati, non si ha voglia di cambiare. Il cambiamento permanente è segno di insoddisfazione. La prima della saggezze è dunque di accontentarsi di ciò che si ha, di mantenere la propria dignità e la propria cultura. La condizione principale è una trasformazione del proprio atteggiamento.

Ciò che ci fa male è che la tecnologia ci permette di prenderci per degli Dei. Io preferisco dire che bisogna prendere coscienza della propria impotenza. Una volta che io conosca gli ambiti  della mia impotenza, concentrerò la mia energia su ciò che posso fare.  Rifiuto di pensare che le persone impoverite non hanno  potere. La semplicità volontaria, la povertà scelta, implicano una rivoluzione interiore. In questo, l’idea de “la gioia di vivere” del vostro giornale non è sciocca … Potete vivere con pochissime cose nella gioia. Basta reinventare il presente, vivere a partire dalle nostre differenze, dalla nostra cultura ereditata dal passato e dalla nostra etica. Bisogna passare dal “produrre di più” a come vivere più degnamente, rispettando la Natura e gli altri. Ma le persone ignorano che la via semplice è più ricca e meno opprimente della ricchezza. Mi hanno invitato recentemente ad un colloquio della Banca mondiale  a Nantes il cui titolo era “La povertà, un oltraggio ai diritti dell’uomo” … Ma per me è la ricchezza che attualmente è una minaccia per i diritti dell’uomo!

 

Per voi, uno stile di vita semplice passa necessariamente per la spiritualità; è ammissibile ciò in una società ostile ad ogni forma di Chiesa?

Quando si parla di religione, si danno  sempre i peggiori esempi, l’Inquisizione, le Crociate e il danno estremo di quelli che si credono ispirati da Dio. E’ come quando si parla di economia amministrata è necessariamente Stalin e i campi… Sicuramente non è mai mancato qualcuno per  corrompere il messaggio di Cristo (se non si deve parlare che di cristianesimo), ma ciò di cui parlo è di un ritorno alle origini della spiritualità. Dio è in ciascuno di noi, è quello che noi abbiamo di meglio in noi, di bello, di vero, quella parte di mistero ed di umano che noi possiamo o no chiamare Dio. Io preferirò sempre questo Dio a tutti gli Dei inventati dai professionisti della divinità.

 

* Nato nel 1924, Majid Rahnema è diplomatico di carriera. Ex ministro dell’insegnamento in Iran, si dimette per lanciare un progetto di sviluppo di base coi contadini, fino alla rivoluzione iraniana. Membro del Consiglio esecutivo dell’UNESCO negli ani 70, residente coloniale delle Nazioni unite in Mali, si dedica ai problemi dello sviluppo e della povertà. Arrivato in Francia all’età di 20 anni, vive attualmente a Lione. È autore di Quand la misère chasse la pauvreté (Fayard-Actes Sud, 2003).  Il suo lavoro ricorda che la condizione prima dell’uomo è sempre stata la povertà, intesa nel senso positivo di “povertà conviviale”, un modo di vita frugale che permetta di vivere tutti dignitosamente esorcizzando la miseria. Secondo lui, l’economia moderna ha scacciato questo modo di vita degna per sostituirlo sia con l’opulenza di una minoranza sia con una insopportabile miseria.

 

(Discorso raccolto da Sophie Divry) Traduzione italiana di M. L. Moro