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Nel nome dell'autodeterminazione dei Popoli

di Gianni Sartori - 12/12/2005

Fonte: rivistaindipendenza.org

intervista a Verena Graf

Verena Graf  è Segretaria Generale e Rappresentante permanente della Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli (LIDLIP) all’ONU. Gianni Sartori si è recato a Ginevra per un’intervista incentrata sull’attività dell’organizzazione e sullo stato di alcune lotte anticoloniali.

 

Come ha avuto inizio la sua militanza in favore dei diritti dei popoli?

Ho avuto il privilegio di essere iniziata ai diritti dei popoli da Lelio Basso, fondatore della LIDLIP, ed è da questa circostanza che ha preso inizio il mio percorso. Ho potuto incontrare personalmente esponenti di popoli che lottavano contro il colonialismo per la loro liberazione o che si opponevano ai loro stessi governi quando si trattava di dittature.

 

In che modo l’attività della LIDLIP  si è collegata alle istituzioni delle Nazioni Unite?

Nel 1979 la Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli (LIDLIP) ha ottenuto lo statuto consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), statuto che permette di intervenire nelle istanze dell’ONU. Dato che non esiste, in seno all’ONU, una struttura specifica che tratti dei diritti dei popoli, abbiamo dovuto adattarci nel miglior modo possibile alle strutture e istanze che trattano dei diritti umani, cioè di diritti individuali. È così che, dal 1980, la LIDLIP interviene tutti gli anni non solo nella Commissione dei diritti umani e nella sotto-commissione, ma anche in numerose riunioni e gruppi di lavoro: per i popoli indigeni, in difesa delle  minoranze, etc.

In breve: la LIDLIP è presente dovunque sia possibile far sentire la voce dei “senza voce”. Essendo l’ONU composta di Stati, di istituzioni specializzate (all’epoca anche di qualche movimento di liberazione), la società civile, i gruppi democratici che si oppongono a governi totalitari, devono passare attraverso le ONG (Organizzazioni Non Governative) come la nostra. E così ci toccò parlare per dei popoli che non avevano voce in capitolo. È emblematico il caso di un movimento di liberazione come il POLISARIO (Fronte di liberazione della Saghiat El Hamra e del Rio de Oro, le due regioni del Sahara Occidentale ex spagnolo) che anche oggi deve far passare la sua voce, il suo messaggio, attraverso una ONG, nonostante rappresenti la RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica), uno Stato membro dell’Unione Africana.

Anche il FRETILIN (Frente Revolucionària de Timor-Leste Independente) ha avuto la possibilità di farsi ascoltare  attraverso la LIDLIP; il Premio Nobel per la pace José Ramos Horta, oggi ministro degli Affari Esteri del neo Stato Timor orientale, per molti anni ha dovuto accontentarsi di parlare attraverso le ONG.

 

Nessuno ha mai pensato di dare anche a voi un premio Nobel (magari alternativo) per la Pace?

Noi non abbiamo mai ricevuto nessun premio, solo a volte delle testimonianze di riconoscimento da parte dei popoli per cui eravamo intervenuti (Filippine, Argentina…). Ma più spesso abbiamo ricevuto critiche e anche subìto ritorsioni. Per esempio, nel 2003, abbiamo dovuto comparire davanti al Comitato delle ONG a New York per difendere il nostro statuto. Era stato messo in discussione dalla Turchia con una nota verbale per una comunicazione scritta che noi avevamo presentato alla Commissione dei diritti umani nel 2002. Nella sua nota verbale la Turchia sosteneva che la LIDLIP aveva minacciato la sua integrità territoriale per aver raccontato l’esodo del popolo del Ponto (Ponte Eusino, oggi Turchia), la cui presenza nella regione è provata sin dall’8° sec. a. C.

Tra le cause di questo esodo va ricordato anche il Trattato di Losanna (1923) che definì le minoranze sulla base dell’identità religiosa e non etnica. Ancora oggi questa popolazione (o meglio: quello che ne rimane) viene discriminata e repressa da parte delle autorità turche. Non esiste insegnamento nella loro lingua, molto vicina al greco antico, quello che parlavano Diogene e Strabone. E questo avviene ancora oggi, anche se la Turchia pretende di avere migliorato le condizioni delle sue minoranze. Proprio recentemente ho incontrato in Grecia alcuni superstiti pontiaci, qui immigrati recentemente dopo un lungo periodo di esodo nel Caucaso, nell’ex Unione Sovietica e in Germania.

 

Quelle del Ponto e degli Armeni non sono state le uniche polemiche della LIDLIP  con la Turchia. Ricordo che vi siete interessati anche dei curdi e di Cipro…

Alle dispute che la LIDLIP ha avuto con la Turchia bisogna aggiungere la sorte dei curdi, un popolo di cui ci siamo occupati fin dal 1984. La Turchia non ha mai riconosciuto la loro identità, ha cercato di cancellarne perfino la lingua. La LIDLIP resta vigile –malgrado le modifiche cosmetiche apportate alla Costituzione per adeguarsi ai criteri di Copenhagen  in vista dell’integrazione nella UE– affinché anche ai curdi siano garantiti spazi democratici di libertà di associazione, di partiti politici, ecc.

Una recente missione mi ha portato a Cipro, una questione sulla quale siamo intervenuti ben 10 volte, non solo in sede ONU, ma anche all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa). Ho constatato nuovamente di persona quello che ripetevo da anni. La situazione deve essere risolta con giustizia per i greco-ciprioti, ma non come proposto da Kofi Annan nel suo Piano che del resto è stato respinto dal 75% della popolazione. La Turchia che ha invaso Cipro nel 1974, che ha portato decine di migliaia di coloni per modificare la demografia nell’area occupata del nord, non è ancora disposta a riconoscere uno Stato sovrano, membro dell’Unione Europea a cui pretende accedere.

 

Negli anni Ottanta eravate invece “nel mirino” dell’Etiopia a causa  del vostro impegno per l’Eritrea…

Quando siamo intervenuti sulla guerra di liberazione dell’Eritrea contro l’Etiopia, quest’ultima ci ha accusato in sessione plenaria di «mouthpiece of the bandits» (portavoce dei banditi), ma questa imputazione si limitò ad una menzione riportata nei verbali analitici onusiani. Del resto all’epoca eravamo una delle tre sole ONG, fra le centinaia presenti, che osavano parlare per i «banditi», perché le cause dei popoli raramente sono popolari. Mi chiesi allora  se avesse qualche senso un nostro intervento di pochi minuti all’ONU, in plenaria. Forse, penso ora, non ebbe molta incidenza sugli Stati. Ma ho potuto verificare di persona che aveva influito positivamente sul morale dei militanti eritrei, quelli che incontrai come osservatrice internazionale ad Asmara, al momento del referendum per l’indipendenza. Mi dissero che, mentre erano in clandestinità, sentivano via radio che a Ginevra, all’ONU, Verena Graf stava parlando della loro lotta e questo era uno stimolo per continuare. Naturalmente queste considerazioni non fanno che acuire l’amarezza per quanto sta avvenendo ora in Eritrea (con Verena abbiamo parlato dei 161 giovani recentemente arrestati e poi fucilati per una rivolta nel campo di prigionia, nda).

 

Altre condanne nei vostri confronti da parte di Stati responsabili di violazioni in materia di diritti umani e diritti dei popoli?

Una volta l’allora ambasciatore del Marocco mi gratificò dell’appellativo di «mercenaria della parola» per aver parlato del Sahara Occidentale, una questione di decolonizzazione ancora irrisolta.

Naturalmente siamo riusciti a far arrabbiare anche la Cina: ci minacciò di «dover prendere delle misure» (ossia farci tacere) per via dei nostri interventi sul diritto all’autodeterminazione del popolo tibetano, in seguito alla sessione del Tribunale Permanente dei Popoli (un’altra  creatura di  Lelio Basso) tenutasi nel 1992. Uno dei nostri compiti in questi 25 anni di attività è stato quello di portare le sentenze del Tribunale Permanente dei Popoli in istanza onusiana, davanti alla comunità internazionale.

 

Certo non deve essere facile occuparsi di popoli oppressi e di lotte di liberazione, soprattutto dopo l’11 settembre...

Questo compito di parlare per i popoli non è mai stato facile, perché troppo spesso siamo stati messi sullo stesso piano dei protagonisti di quelle lotte, degli “attori”, talvolta considerati “terroristi” anche prima dell’11 settembre, producendo di conseguenza degli amalgama incresciosi. Non scordiamoci, a riguardo, che anche Yasser Arafat era stato qualificato “terrorista” per molti anni, ma questo non ha impedito che ricevesse il premio Nobel per la pace. E non dimentichiamo che qualcosa di simile è accaduto perfino a Nelson Mandela quando nel 1960 portò l’ANC (fino ad allora nonviolenta) alla scelta delle armi contro l’apartheid.

 

Recentemente si è tornati a parlare del genocidio subito dagli armeni. Ricordo di aver preso parte a tre giorni di conferenze e dibattiti (organizzati dalla Fondazione Lelio Basso) a Venezia nel 1985. Cosa può dirci in proposito?

Una questione di grande attualità che abbiamo richiamato per anni è quella del genocidio degli armeni, genocidio che la Turchia continua a non riconoscere anche se è una delle condizioni per accedere all’Unione Europea. Vorrei anche aggiungere che l’autodeterminazione è un diritto che spetta ad ogni popolo, anche agli armeni dell’Alto Karabakh (regione a larga maggioranza armena, arbitrariamente posta nel 1923 da Stalin sotto la giurisdizione dell’Azerbaigian ed oggi in una situazione di indipendenza di fatto dopo l’armistizio siglato dai presidenti dell’Armenia e dell’Azerbaigian il 12 ottobre 1997, che ha finora posto fine ad un cruento conflitto tra i due paesi), dove ho avuto il privilegio di trovarmi in qualità di osservatrice internazionale alle prime elezioni. Troppo spesso purtroppo quella dell’autodeterminazione è una causa emarginata dalla storia.

 

Nel 1995, in occasione del suo intervento a Vicenza, invitata dalla sezione locale della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, aveva parlato anche della Colombia…

La questione della Colombia (basti pensare al suo primato mondiale per i “rifugiati interni”, alla guerra sporca contro sindacalisti, insegnanti, esponenti delle comunità di base…) è oggetto di interventi e comunicazioni della LIDLIP da numerosi anni, senza tregua. Ma la situazione non migliora, perché la comunità internazionale considera la Colombia un paese veramente democratico per il solo fatto che celebra delle elezioni.

 

Altri popoli “scomodi” di cui vi siete occupati negli ultimi anni?

Sicuramente i tamil, un popolo di Sri Lanka  (dove ufficialmente vige da un paio d’anni un “cessate il fuoco”, anche se si dovrebbe parlare di “shadow war”, guerra oscurata) che rivendica il diritto all’autodeterminazione. Anche i tamil sono considerati “terroristi” e recentemente sono stati inseriti nella “lista nera” dell’Unione Europea, dopo quella degli Stati Uniti. Potete immaginare quanto sia difficile parlare per questa causa; però la LIDLIP intende ugualmente rimanere il portavoce per chi non ha voce nella piattaforma internazionale.

E anche in Europa esiste un popolo, i baschi, che viene considerato “terrorista” a causa della violenza che insanguina la penisola iberica e il paese basco in particolare. Ecco quindi che anche in questo caso diventa difficilissimo rivendicare una risoluzione del conflitto.

Un nostro assistente e collaboratore per il lavoro diplomatico all’ONU, avvocato di professione con il compito di sottoporre all’Alto Commissariato per i Diritti Umani materiale e prove della tortura praticata nelle carceri spagnole su detenuti baschi, è stato accusato dalla Spagna di essere «vincolato a banda armata». Hanno così ottenuto che il Direttore Generale dell’ONU di Ginevra gli vietasse l’accesso, costringendolo a interrompere la sua attività in quanto ritenuta «nociva per uno stato membro dell’ONU». Grazie ai nostri interventi con funzionari dell’ONU e giornalisti siamo riusciti a convincere il Direttore Generale affinché  richiedesse alla Spagna delle prove prima di interdire l’accesso all’ONU a chi lavora nelle regole di una ONG per i diritti umani. Non è stata fornita nessuna prova. E oggi queste informazioni (la “corrente d’informazione”) continuano a fluire all’ONU; anche perché l’uso della tortura sembra essere diminuito, ma non è certo scomparso dalle caserme e dai commissariati spagnoli. E la LIDLIP continua a denunciare queste violazioni dei diritti umani, ma continua soprattutto a promuovere il dialogo per arrivare ad un tavolo di negoziazione tra baschi e governo spagnolo, con la speranza di una soluzione politica.