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America, giù le mani dall'Asia

di Giulietto Chiesa - 20/08/2007

 
Il segnale non poteva essere più chiaro: nessuno cerchi di mettere il naso negli affari asiatici. Ce la caviamo da soli. Russia, Cina, Iran, insieme agli altri membri e osservatori della “Organizzazione di Shanghai per la cooperazione” (Sco) hanno firmato a Bishkek, l'antica Frunze sovietica, capitale della Repubblica di Kirghizia, un documento che è tutto un programma. E di vasta portata: “La stabilità e la sicurezza dell'Asia Centrale sono meglio assicurati dagli sforzi delle nazioni della regione sulla base delle esistenti associazioni regionali”.

E, il giorno dopo, Putin, il presidente cinese Hu Jintao e gli altri quattro membri centroasiatici della Sco (Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizia, Kazakhstan) sono andati a Celiabinsk, per assistere a una colossale esercitazione militare congiunta, essenzialmente russo-cinese, dal titolo “Missione di pace - 2007” . Lo scopo dichiarato era quello di contrastare ogni eventualità di sovversione terroristica fomentata dall'esterno. Cioè: se uno qualunque dei soci viene messo in difficoltà, gli altri interverranno in suo aiuto. Anche con l'aviazione e i carri armati. Dunque in Asia Centrale, anzi in Asia tout court, non ci saranno più “rivoluzioni colorate”.

Ma questo significa che la Sco si sta trasformando, passo dopo passo, in un blocco politico-militare. Nata a Shanghai 11 anni fa, con obiettivi modesti, prevalentemente di cooperazione economica e di questioni di frontiera, da sei anni a questa parte la Sco si è ormai spinta sui terreni spinosi delle aree d'influenza.

E quella è un'area che sarà strategicamente decisiva per i destini del pianeta intero, perché vi si trova tutto, a cominciare dall'energia, quello che servirà a tutto il mondo per cercare di evitare l'arresto della crescita. Si sta formando un nuovo “cortile di casa” i cui coinquilini principali sono Russia e Cina, e che non intende ammettere altri partecipanti, oltre a quelli che hanno la sovranità sul territorio.

Che questa idea sia matura e concreta lo dimostrano le adesioni e il numero degli osservatori: India, Pakistan e Mongolia si sono già affacciate, ed erano a Bishkek. Ma questa volta c'era perfino l'afghano Ahmid Karzai, e, per la seconda volta consecutiva Ahmadinejad. Il quale ha attaccato duramente gli Stati Uniti e i loro piani missilistici in Europa, regalandosi a Putin come alleato e amico nella lotta contro la pressione americana sul teatro europeo.

Putin gli americani non li ha nemmeno nominati, esattamente come Hu Jintao. Ma russi e cinesi, già due anni fa, avevano messo per iscritto il benservito a George Bush, invitando Washington a ritirare le truppe che erano state piazzate in Uzbekistan durante la guerra afgana. Invito che gli Stati Uniti hanno dovuto accettare alla fine dell'anno scorso. Resta adesso solo il contingente della base militare nell'aeroporto della capitale kirghisa, non lontano dalla base militare che la Russia vi ha conservato dai tempi sovietici. Nessuno dubita che, delle due basi militari straniere che ora si fronteggiano a Bishkek, solo quella americana sarà chiusa presto.
Formalmente la base Usa di Manam serve tuttora come supporto per le operazioni militari in Afghanistan, ma i cinesi sanno perfettamente che è la Cina l'oggetto delle attenzioni elettroniche americane. Bishkek è infatti praticamente a un passo dal confine cinese, oltre che da quello afgano. Hu Jintao, che non sembra avere, per ora, grandi preoccupazioni sulla stabilità interna cinese, ha a sua volta sottolineato che “le nazioni dell'Organizzazione di Shanghai hanno una precisa idea delle minacce cui la regione è esposta e saranno dunque loro ad affrontarle”.