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Rasputin: i segreti del "Monaco Nero"

di Walter Catalano - 18/09/2007

Fonte: jubaleditore

 

Quando Grigorij Efimovic Rasputin comparve per la prima volta a Tsarskoie Selo - la residenza estiva dello Zar - in un giorno imprecisato precedente al 1905, l'accesso al Palazzo e alla presenza dei Regnanti, da parte di quei pittoreschi personaggi che popolano abitualmente l'interregno sfumato tra la religione e la magia, era ormai una consolidata abitudine. Già nel 1901 il dottor Gérard Encausse, in arte Papus, uomo di punta dell'occultismo parigino, e un tal Maitre Philippe da Lione, un ex garzone di macellaio scopertosi profeta, avevano aperto la strada ad una vera e propria invasione da parte di una corte dei miracoli che avrebbe prosperato per anni sulla credulità e sulla superstizione di una Zarina nevrotica e di uno Zar buono ma stupido. A questi primi personaggi ambigui ma non esenti da qualche residuo di credibilità (almeno per quanto riguarda Papus), l'ortodossia imperiale non tardò a preferire un altro genere di taumaturghi, non più importati dal sospetto Occidente, ma tipicamente nazionali. La credenza popolare dell'Oriente (e la Russia non fa eccezione) vede tradizionalmente negli idioti e negli epilettici i messaggeri del Divino. Così Mitia Koliaba, deforme, gobbo, con le braccia ridotte a moncherini, cieco e quasi muto, divenne il consigliere intimo di Nicola II. Le sue urla di epilettico venivano "interpretate" da un astuto monaco del convento di Optina Pustin, che divenne l'inseparabile "agente" del povero idiota. Dopo le prevedibili delusioni, il consigliere occulto venne sostituito da un'altra demente epilettica, Daria Ossipava, le cui profezie però avevano l'inconveniente di non esprimersi mediante urla inarticolate, ma attraverso inarrestabili raffiche di ingiurie e oscenità nelle quali la serafica coppia imperiale non esitava a riconoscere la voce di Dio. L'auspicata nascita dello Zarevic Alessio fu attribuita alla salutifera influenza della buona donna. Tutt'altro che idiota fu invece un certo Badmaiev, mongolo buriato sedicente lama, che godette di grande considerazione a corte ricevendo incarichi diplomatici in Estremo Oriente, cattedre universitarie ed infine aprendo a Pietroburgo una farmacia "tibetana" che possedeva "i segreti per curare tutte le malattie conosciute e sconosciute". Sotto la copertura medica Badmaiev svolse l'attività assai più remunerativa di informatore dell'Ochrana, la polizia segreta, ed ebbe l'onore di curare i disturbi nervosi dello Zar con una misteriosa tisana a base, probabilmente, di hascisc e di giusquiamo che alla lunga rese il sovrano più calmo ma ancora meno presente a se stesso. L'entrata in scena di Rasputin fu un vero coup de theatre. Il piccolo Alessio, lo zarevic che aveva ereditato dalla discendenza materna l'emofilia, rischiava di morire dissanguato per l'emorragia provocatagli da una lieve ferita alla gamba; vane erano state preghiere, cure mediche e interventi taumaturgici. La granduchessa Anastasia Nikolaevna, il cui salotto Rasputin frequentava già da tempo, consiglia all'imperatrice di consultare uno staretz: "Un semplice mugiko [contadino], ma con poteri straordinari". La zarina acconsente immediatamente e Rasputin viene condotto al Palazzo: di fronte ai due regnanti appare un mugiko siberiano, barba e capelli lunghi e scomposti, vestito dimessamente, il viso butterato dal vaiolo, gli occhi infossati e di un chiarore ipnotico. Infischiandosene dell'etichetta il siberiano si accosta allo Zar lo abbraccia e lo bacia, poi ripete l'inusitato gesto con la Zarina. Appena introdotto nella stanza del malato si ferma a pregare di fronte all'angolo delle icone, poi avvicinatosi al letto blandisce con voce dolce il bambino e passa la sua grande mano callosa, dalle unghie plebee lungo il corpo dell'agonizzante. Lo zarevic sta subito meglio, non accusa più dolori, sorride. Rasputin, sempre con voce dolcissima, inizia a raccontare storie e fiabe della sua lontana Siberia. Fino a mezzanotte inoltrata quando il bambino si addormenta serenamente, sulle guance di nuovo è tornato il colore, lo staretz racconta instancabilmente le sue storie meravigliose. "Tornerò domani" promette. Mentre esce lo Zar corre a stringergli la mano piangendo, la Zarina si inginocchia addirittura a baciargliela. "Credi nella forza delle mie preghiere, Màtriushka, e tuo figlio vivrà".
Da quel momento in poi il "Monaco Nero", come verrà chiamato dai suoi molti nemici, si installa a corte diventando una figura indispensabile per la serenità della famiglia imperiale. Il suo potere e la sua influenza crescono sempre più e travalicano dalla sfera "taumaturgica" a quella politica: il contadino semianalfabeta, ma pieno di forza ed intelligenza ha progetti ambiziosi. Sogna una rivoluzione che rispetti la formula zarista del Governo ridimensionando la condizione dei possidenti terrieri, ripartendo fra i coltivatori le terre demaniali e la manomorta ecclesiastica e accordando agli Ebrei e alle altre minoranze religiose e razziali un'emancipazione almeno parziale: una sorta di socialismo agrario e monarchico. Vorrebbe tenere la Russia fuori dalla guerra imminente; fa il possibile per scongiurare i pogromy, le frequenti stragi di Ebrei; irride all'aristocrazia corrotta e alle alte gerarchie ecclesiastiche restando solidale con i suoi fratelli del popolo, ma è fiero avversario di Lenin e dei rivoluzionari (avversione che sarà ampiamente ricambiata dai bolscevichi che profaneranno la sua tomba e bruceranno il suo cadavere nel 1917). Ciò che più viene rimproverato a Rasputin, a parte la vita licenziosa e dissoluta, è di essere stato al soldo degli Ebrei e dei Tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale e proprio in base a queste accuse il Principe Yussupov, noto antisemita, e la sua banda di sicari decideranno di assassinarlo. In realtà lo starete voleva probabilmente risparmiare inutili spargimenti di sangue al popolo russo e per questo era disposto a trattare con il governo del Kaiser e con gli esponenti dell'alta finanza ebraica. Non avrebbe del resto avuto motivi di praticare lo spionaggio e il tradimento: non aveva bisogno di denaro perché niente gli mancava e non mostrava grande interesse per la ricchezza in sé anche se non si negava i piaceri che questa poteva procurare. La sua casa, comoda ma non particolarmente lussuosa, era sempre piena di postulanti i quali in cambio di un suo biglietto per lo Zar che, scarabocchiato con ortografia e calligrafia incerta, diceva immancabilmente "Carissimo, aiuta questo amico", riempivano di doni le dispense e di rubli le sue tasche. Ma con altrettanta rapidità le tasche riempite dai banchieri si svuotavano per i poveri e gli umili che non lasciavano mai la sua casa a mani vuote. Se un supplice chiedeva aiuto e la borsa di Rasputin era momentaneamente vuota, egli faceva chiamare un banchiere e chiedeva in prestito la somma necessaria per versarla al postulante. Forse Rasputin era uno specchio ed appariva avido e perverso agli avidi e ai perversi, ma era un vero starete per i disperati. Per quanto riguarda poi le accuse mossegli per la sua presunta condotta libertina, lo studioso italiano Elémire Zolla, in un saggio incluso nel suo libro Uscite dal mondo, non ha dubbi: "È ora di lasciare cadere una volta per sempre nell'immondezzaio quei rapporti di spioni, farciti delle loro rozze fantasticherie su libidini e peculati bene intrecciati. Basta una riflessione da niente. Se un filo di prova fosse stato appena appena presentabile a un giudice qualsiasi, come ci si sarebbe precipitati a distruggere l'odiato taumaturgo, con una semplice denuncia! Non si dica che si temeva la protezione dello Zar, il quale non riuscì nemmeno a far punire gli assassini di Grigorij… Di questo contemplativo che con l'orazione sanava i malati, liberava gli ossessi, largiva parole di pace e di buongoverno ai potenti, si osò fare un mostro assatanato. Che la sua grazia ritorni visibile agli onesti." Le riflessioni di Zolla ci paiono molto assennate, anche se va precisato che Rasputin apparteneva assai probabilmente alla setta eretica dei Khlysti, sorta di gruppo pentecostale legato ai Vecchi Credenti dell'Ortodossia, che usava il sesso e l'orgia come mezzo per provocare l'estasi miracolosa. Che modelli affini al dionisismo e al tantrismo indo-buddista possano essere sopravvissuti, in forme degradate e rozzamente popolareggianti, anche nell'ambito della Cristianità Orientale non dovrebbe stupire né scandalizzare. Rasputin sarebbe stato iniziato alle pratiche dei Khlysti nel monastero di Verkhoturie, contemporaneamente convento e luogo di penitenza in cui si mandavano tutti i religiosi sospetti di eterodossia affidando ai regolari il compito di ricondurre gli ospiti alla vera fede. Era avvenuto l'esatto contrario e Verkhoturie si era trasformato in un rifugio e un vivaio di eretici in cui tutte le sette erano rappresentate. Un certo eremita, padre Makari, avrebbe iniziato il mugiko ingiungendogli di lasciare la famiglia e di percorrere le vie del mondo secondo la tradizione degli stranniki, gli asceti laici vaganti. Rasputin, figlio di un carrettiere, nato nel 1872 e fino ad allora vissuto nel villaggio siberiano di Pokrovskoe, lasciata la moglie e i figli - ai quali resterà però per sempre affettuosamente legato - parte allora per un lungo vagabondaggio a piedi che lo porta, di monastero in monastero, in luoghi remoti, dal Monte Athos alla Terra Santa. Finalmente una principessa montenegrina lo incontra durante un pellegrinaggio in Ucraina e lo invita a visitarla a Pietroburgo. Da quel momento inizia la sua fortuna. È invece il 1914 e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale che vede il declino dello staretz: nonostante i suoi disperati tentativi di evitarlo, la Russia entra in guerra a fianco dell'Intesa. Inizia la serie dei dieci attentati alla sua vita: il primo è commesso da una donna che lo pugnala ferendolo gravemente; l'ultimo, quello fatale, è opera di Yussupov e dei suoi scherani, tutti membri della dissipata jeunesse dorée pietroburghese, che mal sopporta l'ingombrante presenza del saggio villico a corte. Una notte di dicembre del 1916, Rasputin viene introdotto con un pretesto nel palazzo del Principe Yussupov. Lo staretz è già stato avvisato che si trama contro di lui, ma ride delle minacce e ostenta grande simpatia per il giovane principe. Yussupov riceve l'ospite offrendogli pasticcini e calici di madera zeppi di cianuro. Il santone mangia e beve tranquillo, avverte solo un leggero bruciore alla gola. Yussupov trema, non crede ai suoi occhi. Rasputin lo inchioda con il suo ceruleo sguardo ipnotico. A quel punto i complici irrompono nella sala sparando vari colpi contro lo staretz. Uno di loro, medico, ne accerta la morte. Quando Yussupov però si china sul cadavere, Rasputin si rialza e lo ghermisce alla gola. Terrorizzato, il principe riesce a liberarsi dalla stretta. Grigorij fugge nel parco dove sarà raggiunto e abbattuto, in mezzo alla neve, a colpi di pistola e di bastone. Il corpo viene poi gettato nelle acque gelate della Neva. Pare che il cadavere ritrovato abbozzasse un movimento di nuoto e avesse acqua nei polmoni: Rasputin dunque aveva resistito anche agli altri colpi dei suoi carnefici ed era morto annegato. Al funerale, la Zarina depose nelle mani giunte del cadavere un crocifisso e una lettera che diceva: "Dammi la tua benedizione, caro martire, perché essa mi accompagni nel cammino doloroso che ho ancora da percorrere quaggiù. Pensa anche a noi nelle tue sante preghiere. Alessandra”. Il "caro martire" aveva però predetto che, morto lui, la Russia e la dinastia dei Romanov lo avrebbero seguito nella rovina. Nicola II, mostrando la sua abituale determinazione, non osò far perseguire gli omicidi dalla giustizia.