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Automobile: il crepuscolo di un idolo

di Aurelio Peccei - 20/12/2005

Fonte: ecologiapolitica.it

II

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 Per riflettere utilmente sul destino dell’automobile e sull’evoluzione futura della “cultura dell’automobile” nella quale viviamo oggi, è importante definire il contesto temporale in cui ci si trova.

A breve termine, nei prossimi due o tre anni, resteremo certamente prigionieri del passato e del presente, perché la rigidità delle strutture e delle mentalità riduce le nostre possibilità d’azione. Ci limiteremo ad estrapolare il passato cercando soluzioni “tecniche”: più autostrade e più autorimesse - veri silos di automobili nelle grandi città. E’ più facile fare questo che cercare altre strade: regolazione del traffico, riforma della  circolazione e rimessa in discussione dell’origine degli spostamenti. A medio termine (cinque-sette anni), le possibilità di liberarci dalle rigidità legate al passato sono migliori, a condizione di considerare il medio termine non come pura estrapolazione del presente ma in funzione del lungo termine (quindici-venti anni) e della società futura che auspichiamo. Se ci si pone in questa prospettiva, bisogna uscire dal contesto settoriale dei trasporti e analizzare globalmente tutti i fenomeni ai quali i trasporti sono legati: crescita demografica, aumento del livello di vita, inquinamento, habitat urbano, eccetera. Questa analisi “sistemica” deve tenere conto dell’interdipendenza e delle interazioni dinamiche di tutti gli elementi che determinano il nostro futuro: sarà così possibile tracciare i contorni del futuro homo movens cercando di capire quali saranno, a lungo termine, le libertà e i desideri di movimento della società. All’inizio del secolo il pianeta aveva  un miliardo e mezzo di abitanti;alla fine del secolo ne avrà – salvo imprevisti - sette miliardi, poi supererà presto i dieci miliardi. Questo aumento provocherà cambiamenti non solo quantitativi ma di qualità, in numerosi campi. La dimensione e la dinamica dei problemi sono tali che non possiamo fare riferimento ai precedenti. L’attitudine falsamente ottimistica di coloro che pensano che “le cose si sistemeranno” è ormai catastrofica e non tiene conto dei caratteri limitati del nostro sistema mondiale. Se si ammette che la crescita della popolazione non può essere frenata e che certi consumi primari devono necessariamente aumentare per assicurare condizioni decenti di vita umana, dovrà diminuire la liber tà di movimento. Si sa, per esempio, che gli Stati Uniti dedicano oggi il 20% del loro prodotto interno lordo ai trasporti e agli spostamenti e questo settore tende a estendersi sempre più; ma esso si scontra con necessità sempre più pressanti in altri campi e il suo ruolo tende a ridursi. Questi segni si cominciano a riconoscere anche in Europa: l’aumento del parco circolante di automobili era del 12% all’anno negli anni cinquanta, è sceso al 7-8% all’anno negli anni sessanta e si prevede una contrazione al 2% all’anno negli anni settanta.

 

LE SCELTE DA FARE

Senza ricorrere a immagini di fantascienza in cui gli uomini delle metropoli future dovranno prendere un biglietto e fare la coda per vedere un bosco, un fiume o la riva del mare nelle aree protette, bisogna tuttavia ammettere che l’aumento della ricchezza, la diminuzione delle ore di lavoro e la crescente possibilità di movimento per tutti comportano una saturazione, che porterà serie limitazioni alla libertà dell’ homo movens. Non è possibile avere una popolazione numerosa che gode, insieme, di un elevato livello di vita e di una elevata mobilità. Se, al contrario, si ritiene che la mobilità è la più importante manifestazione del nostro stile di vita, bisogna adattarsi ad altre scelte, ridurre altri aspetti del livello di vita e destinare una parte crescente del prodotto interno lordo ai trasporti, e soprattutto accettare una diminuzione draconiana delle nascite. Oppure rinunciare a voler godere,  ogni tanto, dell’aria pura, della vista dei boschi, della flora e della fauna.

Prima che questo stadio di saturazione si estenda a tutti i paesi industrializzati, bisogna procedere a profonde modificazioni delle città. L’automobile vive i suoi ultimi anni di gloria in quanto bene personale, proprietà privata, espressione di status sociale. L’assurda situazione delle nostre grandi città - Parigi, Roma, New York o Tokyo - è legata al retaggio del passato e cioè alla sopravvivenza di una vecchia mentalità, dura a morire. Non c’è  dubbio che l’automobile individuale, che utilizziamo due o tre ore al giorno, che occupa spazio e inquina i luoghi in cui passiamo la parte più importante della nostra vita, è un anacronismo. L’automobile deve diventare semplicemente un bene d’uso con le seguenti caratteristiche: massima sicurezza; minimo inquinamento, minimo ingombro. Le soluzioni per sostituire l’automobile-proprietà-privata possono essere varie. Nella prospettiva lunga, i sistemi elettronici potranno adattare i trasporti collettivi alle necessità individuali: agli autobus che circolano su percorsi fissi, si sostituiranno dei microbus a itinerario variabile da richiedere elettronicamente. Chi vuole andare alla tal ora da un certo posto ad un altro chiederà che un microbus passi a prenderlo: un computer deciderà sulla base del numero di persone che chiedono di muoversi nelle vicinanze e sulla base della dimensione del veicolo. Tutte le chiamate saranno automaticamente registrate e fatturate, per mese o per trimestre.

 

UN VEICOLO CONCEPITO APPOSTA PER LA CITTA’.

Nell’immediato è probabile che prevalga, per l'urgenza del problema, il trasporto collettivo. La fuga dai centri delle città che si osserva negli Stati Uniti si verificherà presto anche in Europa se non migliorano le condizioni del trasporto. Lo spazio occupato dai trasporti collettivi è infatti 25 volte inferiore, per persona trasportata, a quello dei mezzi di trasporto privati.  A medio termine arriveremo probabilmente ad una specializzazione: a fianco dei trasporti collettivi torneranno i trasporti privati con piccole automobili adatte al traffico urbano, che probabilmente cesseranno di essere private. Questi autoveicoli urbani saranno di proprietà collettiva, dati in affitto a ditte private che li mettono a disposizione dei cittadini. Sarà allora inutile, se si vuole visitare Bruges o Amsterdam, arrivarci con la propria automobile su strade sature di traffico. L’aereo o il treno offrono una soluzione più rapida e comoda e all’arrivo si troverà sul posto un’automobile in affitto per gli spostamenti individuali. Questa formula esiste già ma le automobili sono restate quelle di oggi, inadatte alle città. L’idea che si debba utilizzare la “propria” automobile per i piccoli e medi spostamenti scomparirà a mano a mano che l’automobile si imporrà come un bene d’uso, di cui ci si serve quando se ne ha bisogno e si lascia ad altri quando non occorre. E’ evidente che questo cambiamento di mentalità nei confronti dell’automobile richiederà anche profonde modificazioni nella progettazione e costruzione delle automobili, in funzione dei differenti bisogni che si hanno nelle città o nei percorsi lunghi: ci saranno due o tre modelli di autoveicoli, molto semplici e quanto più possibile standardizzati.Se si ha la possibilità di affittare un’automobile invece di doverla comprare, diventa possibile diversificare la scelta dei mezzi di trasporto a seconda della distanza da percorrere e del tempo a disposizione. Lo stesso vale per la proprietà privata degli appartamenti di residenza e delle case di vacanze, che limita la possibilità di spostarsi e la scelta delle vacanze. Nel futuro prossimo aumenterà la tendenza a passare le vacanze in albergo o in case d’affitto, da lasciare poi ad altri utenti. Lo stesso vale per la casa di residenza, soprattutto quando sarà realizzata l’unità europea. E’ assurdo che un ingegnere compri casa a Lione quando sa che potrebbe essere chiamato a lavorare a Torino o a Dusseldorf. Come per l’automobile, anche in questo caso la proprietà privata diventa un ostacolo alla mobilità.

 

CATENE DIMONTAGGIO SU SCALA GLOBALE

Dal punto di vista della produzione, i cambiamenti saranno notevoli negli anni a venire, se si tiene conto di tutti i fattori che influiscono sullo sviluppo delle nostre società. Entro quindici anni circa, nell’industria aeronautica ci saranno poche grandi imprese che costruiscono aerei in serie: già oggi questa industria è letteralmente esplosa, ma sopravvivono tuttavia i piccoli produttori che lavorano su commessa per le grandi imprese. L’industria  automobilistica seguirà la stessa strada: le fabbriche automobilistiche gigantesche come quelle della Volkswagen a Wolfsburg o della Ford a Detroit saranno superate e dovranno decentrare una parte delle loro attività sul territorio. A scala planetaria, d’altra parte, si osserva una situazione irrazionale nei rapporti fra paesi ricchi e paesi poveri: i primi hanno alta concentrazione di enormi attività industriali : i primi hanno alta concentrazione di enormi attività industriali - acciaierie, raffinerie, industrie automobilistiche - per le quali acquistano le materie prime da  tutte le parti del mondo. Gli Stati Uniti e l’Europa, che hanno solo il 15% della popolazione mondiale, utilizzano due terzi delle materie prime estratte dal nostro pianeta. I paesi industriali  nello stesso tempo pagano, per questa alta concentrazione e accumulazione di ricchezza e di industrie, un elevato pezzo in termini di qualità della vita. A Pittsburg o ad Anversa l’aria è irrespirabile e l’acqua è inquinata come conseguenza della lavorazione dei minerali venuti d’oltremare o del petrolio estratto nel vicino Oriente. Coloro che si preoccupano per l’avvenire sanno che esiste una maniera logica per decongestionare i paesi industrializzati, trasformando le materie prime nei luoghi stessi di estrazione, cioè generalmente nei paesi poveri. Invece di prendere del minerale in Brasile per trasformarlo a Genova, sarebbe meglio trasformarlo sul posto: l’aria a Genova sarebbe più pulita, gli oceani meno inquinati e il Brasile più sviluppato.

 

LA RAZIONALITA’  SI IMPONE SULL’EFFICIENZA.

Se questa razionalizzazione della produzione si affermerà nel mondo,come conseguenza di una situazione divenuta troppo costosa, anche l’industria automobilistica subirà grandi trasformazioni nel senso di una migliore suddivisione della produzione e di una sua forte specializzazione. I grandi centri attuali di produzione - Detroit, Torino, la periferia parigina - saranno decongestionati e decentrati. Produrranno meno ma guadagneranno in qualità, dedicandosi alla ricerca e alla sperimentazione dei nuovi mezzi di trasporto e al coordinamento della produzione. In Brasile, in India, in Africa, saranno costruite automobili adatte ai rispettivi climi, alle locali vie di comunicazione,e alle possibilità economiche di questi paesi. D’altra par te la trasformazione dell’automobile in bene d’uso semplificherà la tecnologia di costruzione le l’industria automobilistica diventerà sempre più banale, alla portata di qualsiasi paese. Se si tiene conto di fattori diversi dal puro e semplice profitto, questa diffusione dell’industria automobilistica porterà vantaggi sia ai paesi ricchi, sia quelli poveri. L’industria automobilistica,che per tanto tempo è stata la regina delle industrie negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia, in Italia, in Germania, in Giappone, ha cessato la sua fase di espansione. Sul piano tecnologico, si è raggiunta una soglia: non è più importante arraffare qualche secondo in più ai margini di produttività ancora possibili. Sui criteri di microefficienza prevarranno considerazione di macrorazionalizzazione. In avvenire, se un’automobile è fabbricata in Brasile anche con una produttività inferiore a quella di Detroit, il vantaggio avrà un'importanza limitata perché produzione e distribuzione mondiale di questo bene di consumo ubbidiranno a nuovi criteri di razionalità. Le esigenze della politica (necessità di sviluppare i paesi poveri) e della qualità della vita (bisogno di aria pura, di acqua pulita, di tempo libero) faranno si che la produzione delle automobili cesserà di essere monopolio dei grandi centri industriali.

 

 

Questo articolo -  tradotto dalla rivista francese « Preuves», n. 6, 39-43, II semestre 1971- è stato scritto oltre trent’anni fa, prima del famoso Rapporto del Club di Rom,  fortemente voluto da Peccei, e da noi pubblicato su CNS n.10, novembre 2002 (anno XII, fascicolo 50, Liberazione 27.10.2002)