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La grande depressione. Folle corsa all'acquisto di farmaci contro la paura.

di Andrea Rossi - 11/10/2007



E’ un colosso che ci costa, ogni anno, quasi 60 milioni di euro. Cresce come il senso d’insicurezza che – secondo gli esperti – lo provoca. S’ingrossa al ritmo del venti per cento in tre anni: nel 2003 la Regione aveva speso 50 milioni di euro in farmaci antidepressivi e ansiolitici. Nel 2006 ne ha sborsati dieci in più. E nei primi tre mesi del 2007, dalle casse regionali sono già usciti quasi 15 milioni di euro.

La «Grande depressione» è fatta di numeri che raccontano un’escalation su tutti i fronti. Non è solo questione di spesa: crescono le persone, si moltiplicano i consumi e le medicine vendute. Nel 2003, in Piemonte, quasi 322 mila persone si erano presentate in una farmacia con una ricetta medica che prescriveva loro un farmaco: ansiolitici, sedativi, psicotici, antidepressivi soprattutto. Alla fine del 2006 la quota è schizzata oltre 390 mila, di cui quasi 75 mila soltanto a Torino. Per non parlare delle confezioni acquistate: si è passati da 2 milioni e 300 mila a 2 milioni e 800 mila, senza contare che, a marzo di quest’anno, si viaggiava a quota 740 mila.

È un fenomeno capillare, diffuso, che sfugge al tradizionale divario tra le grandi città e gli agglomerati. Torino vale un quinto di questa ondata, esattamente come i suoi abitanti sono il 20 per cento dei piemontesi. Segno che le difficoltà stanno a monte. «Il problema non è prendere un ansiolitico – dice Giorgio Blandino, docente di psicologia all’Università di Torino –, ma pensare di risolvere così il problema. Nella nostra cultura, dove i modelli sono tutto vita e rock‘n roll, non c’è più spazio per incontrare e tollerare la sofferenza come condizione umana».

I frustrati, par di capire, si annidano soprattutto nella fascia d’età tra 15 e 44 anni. Qui i numeri parlano di più 4 mila «depressi», in Piemonte, di cui la metà vivono a Torino. E soprattutto di un boom nelle confezioni vendute: più 60 mila. Spiega Elvezio Firpo, che è direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asl3 di Torino: «Lo stress della vita quotidiana è aumentato senza dubbio, trasformando quelli che noi chiamiamo disturbi, legati ad aspetti temporanei dell’esistenza di una persona, in patologie cliniche, per cui i farmaci sono necessari».

Frustrazioni da eliminare con una pillola. Ma siamo più depressi o più fragili? «Fragilità e incertezza vanno di pari passo», spiega il sociologo Arnaldo Bagnasco. E si mescolano a fondo tra i giovani e i quarantenni, le categorie «centrali», meno assestate. «Chi si affaccia alla vita adulta e chi ci è appena entrato e fatica – prosegue Bagnasco -. C’è una forte incertezza. E la sensazione, per la prima volta, che queste generazioni abbiano di fronte una prospettiva meno rosea di quelle che le hanno precedute. Questo è un grosso generatore di ansia».

«Forse si ricorre troppo spesso al farmaco, trascurando il ruolo importante che la psicologia può rivestire in molti casi. Bisogna curare, non soltanto preoccuparsi di bandire le preoccupazioni», incalza Blandino. Forse, i numeri di questo fenomeno rispecchiano anche le difficoltà di chi cura, «pressato da richieste sempre maggiori e sempre più assillanti». Perché, a volte, c’è da fronteggiare un dramma che consuma: il peso di un corpo che svanisce. Nel 2006, quasi 17 mila anziani in più si sono fatti prescrivere psicofarmaci: da 71 mila a 88 mila. «Alcune gravi malattie, che poco tempo fa portavano alla morte, adesso possono essere curate, garantendo ancora mesi, a volte anni di vita – spiega Firpo -. Ma queste persone sono a forte rischio depressione».

Resta il quadro di due generazioni in preda all’ansia. «Vecchi» e «bamboccioni». Dice Bagnasco: «È vero: la famiglia italiana è iper-protettiva, ma la difficoltà a uscire di casa è reale e zeppa d’incertezze». E viene da credere che, tra i giovani, gli stressati non siano quelli che restano a casa, ma quelli che l’abbandonano.