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L'ombra della corruzione sulle elezioni in Giordania

di Enrico Galoppini - 28/11/2007

Le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati (Màjlis an-Nuwwàb) del Regno di
Giordania (al-Màmlaka al-Urdunìyya al-Hàshimiyya) tenutesi martedì 20 novembre
hanno visto una vittoria schiacciante dei candidati vicini al Governo,
"indipendenti" ed espressione dei vari clan ('ashà'ir) del Paese, mentre
l'opposizione islamista (Jàbhat al-'àmal al-Islàmiyya - Fronte Islamico del
Lavoro, vicino ai Fratelli Musulmani) sostiene che i risultati sono falsati dalla
corruzione di molti elettori da parte di elementi vicini al governo.
Jamìl Abu Bakr, il portavoce del movimento islamista, ha denunciato immediatamente
su Aljazeera.net gravi irregolarità nelle operazioni di voto, parlando di vera e
propria "strage elettorale" (màjzara intikhàbiyya), aggiungendo che anche alcuni
giornalisti hanno assistito direttamente, fotografando il tutto, alla
compravendita di voti davanti ai seggi elettorali. La corruzione sarebbe stata
massima nei seggi elettorali di Amman.
Al contrario, queste elezioni erano state presentate dal governo come un esempio di
"trasparenza", simboleggiata dall'utilizzo di urne trasparenti e di schede
magnetiche personali consegnate agli elettori. Invece, proprio un problema
ravvisato dal Fronte è che le schede magnetiche elettorali non dimostrerebbero
l'appartenenza dell'elettore ad un preciso seggio elettorale, mentre in vari casi
avrebbero votato anche dei minorenni (la maggiore età è fissata in 18 anni): "Tutto
ciò che è accaduto è a conoscenza del governo, il quale ha raccolto molte osservazioni
prima delle elezioni, ma non ha preso i provvedimenti necessari per evitare che si
verificassero simili infrazioni e soprusi". Ed ha poi proseguito sibillino Jamìl
Abu Bakr, prima di conoscere i risultati definitivi: "Siamo convinti che la maggior
parte dei nostri candidati ha una grossa opportunità, però esiste un'elevata
probabilità che si verifichino influenze sui nostri candidati così come su altri; il
fatto che questi comportamenti vadano avanti comprova un disinteresse ufficiale
premeditato, attraverso le Commissioni elettorali ed i vari responsabili, a che non
si pervenga a dei risultati elettorali puliti".
Il portavoce dell'Alto Comitato elettorale del Fronte Islamico del Lavoro, Hìkmet
ar-Rawàshida, ha affermato che ad 'Aqaba, nel sud del Paese, uomini della Sicurezza,
giuntivi da fuori con dei bus, hanno partecipato alle operazioni di voto, così come
dei mezzi governativi, riconoscibili dai numeri di targa, hanno trasportato ai
seggi di Amman e di 'Abaqa gruppi di elettori. A Zarqa', invece, in due seggi,
sarebbero stati ritrovati cento voti in più! Zarqa', la roccaforte del movimento
islamista, sarebbe la prova provata dei brogli filo-governativi: "I risultati di
Zarqa' indicano in maniera evidente che ci sono stati dei brogli", ha osservato lo
stesso Jamìl Abu Bakr. Così il Fronte islamico del Lavoro, atteso ad un discreto
successo elettorale, si dovrà accontentare di 6 deputati, rispetto ai 17 che ancora
nella mattinata di mercoledì gli attribuiva, con buona probabilità, l'agenzia di
notizie ufficiale giordana "Petra" (http://www.petra.gov.jo).
Sa'd Shihàb, a nome del Ministero dell'Interno, ha comunque assicurato che tutte le
urne sono state sigillate, dappertutto, alle sette della sera di martedì, ora
fissata per la chiusura delle operazioni di voto, ad eccezione di cinque seggi di
Amman, dove si è reso necessario prolungarle di due ore per permettere ai numerosi
elettori di esprimere la loro preferenza.
La legge elettorale giordana vieta ai candidati di offrire regali agli elettori per
garantirsene il voto: la condanna può essere il carcere o una multa. Tuttavia, Fahd
al-Khitàn, analista politico interpellato sul sito di Aljazeera, sostiene che la
compravendita dei voti sia facilitata da un'arrendevolezza, da una tolleranza ai
limiti della connivenza da parte del Governo, che da parte sua minimizza l'accaduto
parlando di casi isolati e subito circoscritti.
Al-Khitàn sostiene tuttavia che la connivenza del governo nel fenomeno della
compravendita dei voti potrebbe risalire alla sua preoccupazione di una scarsa
partecipazione popolare a causa della diffusa sfiducia nei confronti del
Parlamento. Alla fine la partecipazione - confermata dal Ministro dell'Interno
giordano, 'Ayd al-Fàyiz, che ha insistito particolarmente sulla "trasparenza"
delle operazioni di voto - è stata del 55%, ed è all'incirca la stessa che il Centro di
studi strategici dell'Università di Amman aveva ipotizzato prima della tornata
elettorale. Sempre meglio del 37% registrato recentemente in Marocco, ma segno
della disaffezione che la gente nutre, da un capo all'altro del mondo arabo, verso
classi politiche incapaci di risolvere i suoi reali problemi, che in Giordania
coincidono con un "caro vita" per molti insostenibile.
Tornando alla diatriba sui "brogli", il Governo sostiene che vi sono stati solo due
casi d'irregolarità, prontamente rilevati, verificatisi nelle circoscrizioni
elettorali di Amman 1 e di as-Salt, aggiungendo che coloro che vi sono coinvolti
verranno giudicati al più presto. È, questa, la stessa posizione 'rassicurante' del
vice direttore del quotidiano ar-Rà'y (L'Opinione), ospite del tg dell'emittente
satellitare del Qatar, il quale ha osservato sarcasticamente che "queste lamentele
sui brogli arrivano ogni volta che gli islamisti registrano un fallimento
elettorale". Incalzato dal conduttore del tg che gli opponeva le "prove" in possesso
degli islamisti, ha poi aggiunto che "non esistono elezioni al mondo in cui non vi sono
cose che non vanno. Non sto descrivendo una 'situazione modello', ovviamente, però a
mio avviso non ci sono stati tutte queste irregolarità denunciate dagli islamisti".
Il Fronte islamico sostiene invece che il giorno delle elezioni, nelle
circoscrizioni elettorali di Amman, Zarqa' e al-Balqa' si sono verificati numerosi
casi di corruzione. Il candidato del Fronte di as-Salt, 'abd al-Latìf 'arabiyyàt,
assicura che i tentativi di corruzione sono stati condotti all'ingresso dei seggi,
palesemente, da elementi vicini al governo. Secondo un'indagine condotta da
Aljazeera.net, le cifre offerte per corrompere gli elettori variavano dai 25 ai 100
dinàr (35-140 dollari), ed un suo inviato è stato testimone oculare di un caso di
corruzione di un elettore di fronte a un seggio della circoscrizione al-Balqà' 4.
Oltre a tutto ciò, dei 110 deputati giordani, sette saranno donne, e la novità è che per
la prima volta, oltre alla "quota rosa" stabilita per legge, siederà in Parlamento
una deputata eletta attraverso la normale competizione elettorale. Si tratta di una
dentista di Mà'daba (la cittadina ad elevata presenza cristiana famosa per i suoi
mosaici), Fàlak al-Jam'àni, che ha preso oltre 3.000 voti. Invece non è riuscita a
rinnovare il suo mandato elettorale l'unica candidata donna del Fronte islamico,
Hayàt al Musàymi.
Come che sia andata, l'ultima notizia è che il Re presto nominerà un nuovo Primo
Ministro che andrà a sostituire l'attuale, Ma'rùf Bakhìt, in carica dal novembre
2005. Con ogni probabilità sarà Nàdir adh-Dhàhabi, attualmente a capo della Zona
franca (economica) di 'Aqaba (l'unico sbocco al mare del Paese), istituita nel 2002.
Prima di quest'incarico, adh-Dhàhabi ha ricoperto il ruolo di Ministr
o dei Trasporti (2001-2003) e di Amministratore delegato della Royal Jordanian (le
linee aeree di Stato), dal 1994 al 2001. Una volta nominato, presenterà, per
l'approvazione, la lista dei ministri.
La Giordania è un Paese-chiave nel dispositivo filo-atlantico del Vicino Oriente
per lasciare che esso sfugga di mano. I "colloqui di pace" promossi dagli Usa e dai loro
alleati, ormai, vedono la rituale presenza, per di più blindata in località sempre
più inaccessibili, di Giordania ed Egitto, i cosiddetti "Paesi arabi moderati" da
affiancare ai rappresentanti israeliani e palestinesi per tirare avanti
all'infinito la ricerca di una "pace" che in realtà è l'ultima cosa che i fautori del
"Nuovo Medio Oriente" desiderano. La "pace" significherebbe infatti il dover fare i
conti con una serie di situazioni impresentabili, prime fra tutte quella dei
palestinesi, che tra l'altro costituiscono la una buona metà della popolazione
della Giordania, la quale, però, a differenza di altri Paesi limitrofi, ha concesso
loro la "cittadinanza", onde indebolire il "diritto al ritorno" di chi è stato
allontanato dalla propria terra, a più mandate, dal 1948. Quindi, gli islamisti del
Fronte possono mettersi il cuore in pace: la verità sui veri o presunti brogli non
verrà mai fuori perché la Giordania è una realtà troppo importante per gli atlantici:
talmente importante che anche i Sionisti più sinceri sostengono che "i palestinesi
una patria ce l'hanno già, ed è la Giordania".