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Raimondo di Sangro, il Principe di San Severo

di Luigi Carlo Schiavone - 28/11/2007

 

Raimondo di Sangro, il Principe di San Severo


Una figura che merita, senza dubbio, un’opportuna rivalutazione storica è rappresentata da Raimondo di Sangro, Principe di San Severo.
Nato a Torremaggiore, in provincia di Foggia, il 30 gennaio del 1710, da Antonio, duca di Torremaggiore, e Cecilia Gaetani dell’Aquila di Aragona, il giovane Raimondo era il discendente di un’antica famiglia direttamente collegata a Carlo Magno attraverso il ramo di Oderisio, conte di Sangro (1093).
Persa la madre dopo appena un anno di vita, Raimondo venne affidato dal padre alle cure dei nonni paterni. A dieci anni fu mandato a studiare presso la Scuola Gesuitica di Roma, ove restò fino al compimento dei vent’anni. Fatto rientro a Napoli ed insediatosi presso la residenza familiare in Piazza San Domenico Maggiore, già teatro in epoca precedente di oscure vicende, l’VII° Principe di San Severo non mancò mai di far mostra della cultura superiore acquisita negli anni del soggiorno romano, tracciando così un solco profondissimo fra lui ed il resto dell’aristocrazia napoletana del Settecento composta per lo più da esseri rozzi ed ignoranti.
Appassionato di araldica e geografia, studiò retorica, filosofia, logica, matematica, e geometria. Conoscitore di diverse lingue straniere ed antiche, tra cui l’ebraico, dimostrò una grande abilità nelle arti meccaniche dandone la prima dimostrazione a diciannove anni, quando, per una rappresentazione scolastica in cui era necessario smontare velocemente un palco per garantire lo svolgersi nello stesso luogo di esercizi d’equitazione, inventò un palco che, grazie all’aiuto di alcuni argani e di ruote nascoste, spariva in pochissimo tempo.
Le sue abilità non restarono nascoste a lungo, suscitando anche l’interessamento del Re di Napoli Carlo III di Borbone, figlio di Filippo IV di Spagna, che dopo aver ripreso il Regno dagli austriaci e sposato Amalia Walburga di Polonia, costituì l’ordine di San Gennaro allo scopo di creare un circolo fidato di nobili su cui contare nei casi di necessità. Tra i sessanta blasonati figurava anche Raimondo di Sangro che dimostrò la sua riconoscenza al Re fornendogli mantelli di tessuto impermeabile da usare nelle battute di caccia, che il Re amava particolarmente.
Entrato a far parte dell’antica confraternita dei Rosa Croce fu iniziato agli antichi riti alchemici o “Ars Regia”, quei complessi segreti che fin dai tempi più remoti i sacerdoti egiziani tramandavano a propri discepoli. Si iniziavano così a delineare i primi tratti della futura “leggenda nera” che da tempo aleggia sulla figura del Principe di San Severo.
Nei sotterranei del suo palazzo egli, infatti, impiantò una tipografia da cui uscirono numerosi libri, tra cui molti vergati di suo pugno. Tra le opere uscite dalla cantina del Principe vale la pena di ricordare ”la lettera apologetica” nella quale si ritrova testimonianza di alcune sue invenzioni, “Il manuale di esercizi militari per la fanteria”, molto apprezzato da Federico II di Prussia, nonché la traduzione dell’opera dell’abate francese Villars de Montfaucon “il Conte di Gabalis, ovvero ragionamenti sulle scienze segrete” con il quale sperava di diffondere le antiche tesi rosacrociane.
Nel 1744, anno in cui in qualità di Colonnello del reggimento di Capitanata liberò alla testa delle sue truppe la città di Velletri occupata dall’esercito del Generale Lobkowitz, il Principe diede anche inizio a quella che, a ragione, è considerata la sua opera massima: il restauro della Cappella Gentilizia di “Santa Maria della Pietà”.
Voluta nel 1593 per grazia ricevuta dal suo avo, il Duca Giovan Francesco di Sangro, venne fondata, di fatto, dal nipote Alessandro, patriarca di Alessandria e Arcivescovo di Benevento, nel 1613, per adibirla a cappella funebre della famiglia. Sospesi i lavori nel 1642, fu conclusa, dopo più di cent’anni, da Raimondo. Conosciuta oggi dai napoletani come “la Pietatella” o Cappella San Severo e sita sulle rovine di un tempio di Iside dell’antica Neapolis, fu abbellita dal Principe con opere dal chiaro contenuto simbolico. Al centro della stessa, infatti, troneggia la famosa statua del Cristo Velato, un Cristo nell’atto della resurrezione interamente avvolto da un velo suggestivo da cui si intravedono le fattezze dello stesso, come se la statua fosse stata dapprima scolpita e poi ricoperta da un velo di marmo. A questa s’associano altre due opere, la Pudicizia ed il Disinganno; la prima rappresenta una donna nuda coperta di un velo finissimo, mentre nel Disinganno è raffigurato un uomo nell’atto di liberarsi, coadiuvato da un angelo, da una rete che lo imprigiona. Il senso di queste sculture, che a prima vista potrebbe essere quello di rappresentare in forma particolare le principali virtù e vizi cristiani, è però, secondo l’opinione di molti esperti, da ritrovare in alcuni dettami propri della Massoneria; tutte le allegorie, infatti, sembrano rappresentare l’uomo che, con l’aiuto della ragione, squarcia il velo delle false verità. A questa ipotesi, senza dubbio suggestiva, se ne affianca un’altra derivante dalla psicanalisi. Secondo questa ipotesi, infatti, il Disinganno e la Pudicizia rappresenterebbero rispettivamente il padre e la madre di Raimondo, mentre il Cristo Velato sarebbe lo stesso Principe raffigurato nell’atto di squarciare il velo dell’ignoranza sotto gli occhi dei genitori perduti precocemente. La leggenda, figlia dell’alone di mistero e d’orrore che aleggia intorno al Principe di San Severo vuole che questi abbia ucciso o accecato l’autore del Cristo Velato affinché non rivelasse i segreti della marmorizzazione: un’ipotesi che tuttavia non trova alcun fondamento storico essendo l’autore, Giuseppe Sammartino, morto nel 1793, ovvero più di vent’anni dopo la morte del Principe stesso.
L’affiliazione massonica di Raimondo di Sangro, risale a circa dieci anni prima dell’inizio della ristrutturazione della Cappella. Iniziato nel 1735, presso la loggia “La Perfetta Unione”, incurante della sopravvenuta scomunica papale, grazie alla sua profonda cultura ed abnegazione giunse nel giro di poco tempo fino al grado di Gran Maestro. Nel 1746, inoltre, pubblicò un trattato autografo che creò non pochi scalpori fra i Liberi Muratori. Con “Relazione della compagnia de Liberi Muratori”, infatti, Raimondo cercò di spiegare la propria versione della Massoneria, concepita come un’entità universale, cosmopolita e fortemente esoterica d’ispirazione templare senza alcuna collusione con il potere, sia esso politico o religioso, ponendo, inoltre, l’accento su quegli aspetti, occulti ed alchemici, che facevano molta presa su nobili e borghesi. Aspetti, tra l’altro, propri di quel rito scozzese da tempo innestatosi nella struttura razionalistica della Massoneria di tipo inglese. Nonostante ciò gli avesse creato non pochi problemi con i Liberi Muratori collusi col potere politico e religioso, il Principe continuò ad attivarsi per l’adozione degli alti gradi templari detti “di Vendetta” propri del Rito scozzese antico ed accettato, giungendo, nel 1750, ad unificare tutte le logge Massoniche napoletane sotto tale Rito e fornire ad esse la prima Costituzione Massonica, sfornata dalla sua irreprensibile tipografia di piazza San Domenico.
A questa attività s’affiancarono, però, nello stesso periodo le invettive della Chiesa, ed in particolar modo dei Gesuiti, contro la Massoneria. Dopo aver evitato, grazie all’intervento di Carlo III in persona, l’insediamento di un tribunale del Santo Uffizio a Napoli, il Principe, già Consigliere del Sovrano, cercò di avvicinarvisi ancor di più per tentare di convincerlo all’affiliazione; la manovra, però, non giunse a buon fine, e nel 1751, dopo che Papa Benedetto XIV ebbe rinnovato la scomunica a tutti gli appartenenti alla “Fratellanza” con l’emanazione della bolla “Providas Romanorum Pontificum”, Carlo III, al fine di evitare una guerra, decise di emanare un editto con cui cancellò le logge napoletane e bandì la Massoneria dal Regno. Per evitare, inoltre, punizioni maggiori agli affiliati, il Principe di San Severo dopo aver abiurato, si convinse a fornire al Re l’elenco degli iniziati. Con tale atto, Raimondo di Sangro, violava consapevolmente il segreto della Massoneria, guadagnandosi così la damnatio memoriae da parte della Fratellanza Universale, ma salvando, oltre alla sua, le teste di tutti gli affiliati delle logge partenopee vittime solo di “una solenne ammonizione” da parte del sovrano che non aveva alcuna voglia di imprigionare più della metà della sua corte.
Quando, nel 1759, Carlo III fu costretto ad abbandonare il Regno delle Due Sicilie per il trono di Spagna, lasciando il suo posto al figlio Ferdinando IV, religiosissimo ed illetterato, la vita per il Principe di San Severo si rivelò abbastanza dura. Avendo perso l’illustre protezione, fu ospite più volte delle patrie galere quale vittima preferita delle angherie del Ministro della Real Casa Bernardo Tanucci, che vedeva in lui, ingiustamente, un nemico del Regno a causa delle sue simpatie prussiane.
Il 1766 è l’anno della comparsa delle “macchine anatomiche”, le opere che, con il “lume eterno” ottenuto dalle triturazioni delle ossa di un teschio e la leggenda dell’uccisione dei sette vescovi dalle cui ossa avrebbe ricavato sette seggiole, donano al Principe l’alone di mago e stregone. Le due teche di circa due metri in cui sono contenute le “macchine anatomiche” sono poste nell’antico laboratorio del Principe a cui s’accede mediante una scala a chiocciola posta all’interno della Cappella. Intorno a questi due corpi sorgono un nugolo di leggende. Si pensa, infatti, che, essendo lo scheletro della donna con il braccio alzato ed i globuli oculari interi cristallizzati in un’espressione di vero terrore, al contrario dell’uomo che ha le braccia lungo i fianchi, i due fossero stati legati vivi ad una sorta di tavolo operatorio e che la donna prima di morire, a causa dell’iniezione di una misteriosa sostanza che avrebbe metallizzato vene e arterie preservandole dalla composizione, abbia liberato il braccio nel vano tentativo di liberarsi. Ipotesi affascinante che si scontra, però, con l’impossibilità di Raimondo di compiere una simile operazione perché la siringa ipodermica necessaria fu inventata solo un secolo dopo da un chirurgo di Lione, Carlo Gabriele Pavaz.
Raimondo di Sangro passò gli ultimi anni della sua esistenza soprattutto nella sua Cappella, ove, dopo aver fondato la “Loggia degli Eletti” a cui potevano prendere parte solo individui ritenuti da lui degni, per qualità umane e culturali, di prender parte ai suoi esperimenti, si dedicò all’ermetismo, all’alchimia, alla cabala, nonché ad approfondire le conoscenze legate all’eredità templare.
Il 22 marzo del 1771 si concluse l’esistenza terrena di questo misterioso personaggio. Sulla lapide che fa da sfondo all’ultima dimora del Principe di San Severo si può leggere: “ Uomo mirabile, nato a tutto osare,[…] illustre nelle scienze matematiche e filosofiche, insuperabile nell’indagare i reconditi misteri della natura, esimio e dotto nei trattati e nel comando della tattica militare terrestre e per questo molto apprezzato dal suo Re e da Federico di Prussica […] imitando l’innata pietà a lui pervenuta per l’ascendenza di Carlo Magno imperatore, restaurò a sue spese e con la sua saggezza questo tempio […] affinché nessuna età lo dimentichi”. Ma, nonostante l’imponente dimora, il corpo del Principe non c’è: un’ultima leggenda, che ricalca molto il mito della morte e resurrezione d’Osiride, avvolge il destino delle spoglie di Raimondo di Sangro. Si narra, infatti, che al momento della sua morte egli abbia ordinato ai servi di fare a pezzi il suo corpo e di riporlo in una cassa da lui appositamente costruita, affinché egli potesse, dopo tre giorni, uscirne ricomposto. Ma la famiglia, all’oscuro di ciò, ispirata dalla brama di ricchezza e sperando di trovare nel forziere dei tesori, l’aprì anzitempo e questi, destato dal sonno tentò di risollevarsi ma cadde immediatamente lanciando un urlo disperato.
Realtà? Mito? Fatto sta che il Principe di San Severo è riuscito nel suo intento di non essere dimenticato dalla Storia.
Molti napoletani, infatti, ancora oggi si prodigano in scongiuri nei pressi dei luoghi che l’ospitarono nel suo soggiorno terreno, ed il possibile precettore di Cagliostro risulta essere ancora, in perfetta comunione con le sue opere, al centro degli interessi degli esoteristi e degli storici che tentano di fornire una qualche spiegazione della sua vita e delle sue opere.