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La religione olocaustica

di Gilad Atzmon - 27/01/2008

 

Yeshayahu Leibowitz, il filosofo che era anche un ebreo osservante, disse una volta ad Uri Avneri (figura storica del pacifismo israeliano, ndr): «La religione ebraica è morta due secoli fa. Oggi nulla unisce gli ebrei nel mondo, a parte l’olocausto».
Il filosofo Leibowitz , nato in Germania, è stato il primo a vedere che l’olocausto è diventato la religione degli ebrei. L’olocausto è ben più che una narrazione storica, contiene anzi molti elementi di una religione. Ha i suoi grandi sacerdoti (Elie Wiesel, Simon Wiesenthal, ecc.), i suoi profeti (Shimon Peres, Benjamin Netanyahu e tutti quelli che «profetizzano» l’imminente giudeocidio da parte dell’Iran). Ha i suoi comandamenti e dogmi («Mai più», «Sei milioni» e così via).
Ha i suoi rituali (Giorno della Memoria, pellegrinaggi ad Auschwitz).
Ha i suoi santuari e templi, Yad Vashem, il museo dell’olocausto e oggi l’ONU.

Come non bastasse, la religione dell’olocausto è mantenuta viva da una potente rete economica e da infrastrutture finanziare globali («l’industria dell’olocausto» di cui parla Norman Finkelstein).
Fatto altamente significativo, è tanto coerente da imporre l’identità del nuovo «anticristo» (i «negazionisti»), e tanto potente da perseguirli per legge (norme contro il negazionismo).
I dotti obietteranno che l’olocausto non è una religione perché non contempla l’esistenza di un Dio da adorare e da amare.


Io mi permetto di obiettare: l’olocausto è precisamente la religione che incorpora la visione del mondo laico e progressista d’oggi.
Ha trasformato l’amore di sé in una convinzione dogmatica, in cui il fedele osservante adora sé stesso. In questa religione, gli ebrei adorano «l’Ebreo».
E’ l’adorazione esclusiva dell’ego mio, in quanto soggetto di sofferenza infinita che avanza verso la propria auto-redenzione. […]
Marc Ellis, il teologo ebraico, coglie nel segno; «La teologia dell’olocausto», dice, «comporta tre temi che sussistono in tensione dialettica: sofferenza e liberazione, innocenza e riscatto, unicità e normalizzazione».
Tale religione pone l’Ebreo nel ruolo centrale dentro il suo proprio universo ego-centrico.
Il «sofferente» e l’«innocente» marcia verso il «riscatto» e la sua «liberazione».

E’ ovvio che Dio resti fuori dal gioco: è stato licenziato perché ha fallito la sua missione storica, non era lì a salvare gli ebrei.
Nella nuova religione, l’Ebreo diventa il nuovo dio degli ebrei, tutto si gioca sull’ebreo che riscatta sé stesso. […] Nello stesso tempo, l’olocausto funziona come interfaccia ideologica.
Fornisce al seguace un logos, un discorso.
A livello cosciente fornisce una visione del passato e del presente che sembra storica e fattuale, ma non si ferma qui: definisce anche la lotta futura.
Dà la visione del futuro ebraico.
Contemporaneamente, nell’inconscio, riempie il soggetto ebraico dell’angoscia più definitiva: la paura della distruzione dell’Io.
Un’ottima ricetta per una religione vincente. […]
E’ interessante notare che la religione dell’olocausto si estende molto al di là della comunità ebraica.
Essa è missionaria; eleva santuari in terre lontane.
Anzi vediamo che questa religione emergente sta già diventando il nuovo ordine mondiale: è l’olocausto che oggi viene usato come alibi per incenerire l’Iran con bombe atomiche.
Chiaramente l’olocausto serve al discorso politico israeliano , ma fa appello anche ai goym, specie a quelli che sono impegnati a massacrare spietatamente «nel nome della libertà».
Siamo tutti soggetti a questa religione: solo che alcuni sono i suoi credenti, gli altri semplicemente soggetti al suo potere.
I negatori dell’olocausto sono soggetti alla persecuzione da parte dei gran sacerdoti della religione. La religione dell’olocausto costituisce oggi «il Reale» per l’Occidente.
Non siamo autorizzati a toccarlo, a guardarci dentro.
Proprio come gli israeliti, che sono obbligati ad adorare il loro YHWH, ma non autorizzati a porgli domande. […]

Io sostengo che la religione dell’olocausto esisteva già molto tempo prima delle «soluzione finale» (1942), ben prima della Kristalnacht (1938), prima delle leggi razziali di Norimberga (1936) e ben prima che l’American Jewish Congress dichiarasse una guerra economica contro la Germania nazista (1933); anzi, prima che Hitler fosse nato (1889).
La religione dell’olocausto è antica quanto gli ebrei.
In un articolo recente ho parlato del «Disordine da Stress Pre-traumatico» come tipica sindrome ebraica.
In questo stato clinico, lo stress è il risultato di un evento fantasmatico-immaginario che può avvenire nel futuro, che non è mai avvenuto.
Al contrario del «Disordine da Stress Post-traumatico», che è una reazione ad un evento traumatico che ha avuto luogo nel passato [è il PSTD, che colpisce i soldati traumatizzati dalla guerra] nello «Stress Pre-Traumatico» lo stress deriva da un evento potenziale «immaginario».
Qui, la fantasia di un terrore futuro dà forma alla realtà presente.
La dialettica della paura domina l’esistenza e la mente ebraica molto più di quanto siamo disposti ad ammettere.
Questa paura è sfruttata politicamente dai capi ebraici fin dai giorni dell’emancipazione; ma è molto più antica della storia ebraica moderna.
Di fatto, è l’eredità del Tanach (la Bibbia ebraica) che ha posto gli ebrei nello stato pre-traumatico. E’ la Bibbia ebraica che ha posto la vita ebraica nel binario dell’innocenza-sofferenza e della persecuzione-riscatto.
Più specificamente, la paura del giudeocidio è intessuta nello spirito, nella cultura e nella letteratura ebraiche.
In questo senso, io affermo che è la religione dell’olocausto che ha trasformato gli antichi israeliti in ebrei.

Versione originale:

Gilad Atzmon
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/atzmon03032007.html
3/4.03.07

Versione italiana (ampi stralci):

Fonte:www.effedieffe.com
Link: http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1808%20&chiave=ira

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