Cuore e ambiente. Passione e razionalità
di Claudia Bettiol - 08/02/2008
La calda estate del 2003
INDICE
Premessa 5
1. La sostenibilità 17
2. La percezione delle diversità 25
3. Fine di un sogno 34
4. Rischio di vivere, rischio di morire 50
5. La vera questione ambientale 64
6. L’errore delle energie rinnovabili 73
Conclusioni 81
Postfazione 88
Riferimenti bibliografici 92
3
Ringraziamenti
Oltre alla magnifica cornice offerta dalla città di Roma devo porgere i
miei ringraziamenti a due persone in particolare. L’esigenza di scrivere
il libro è nata a seguito di una chiacchierata sull’educazione dei
bambini con il mio amico Luigi, durante una splendida colazione al
Gianicolo. Per il completamento del testo, invece, un ringraziamento
sentito all’affettuosa pazienza del mio amico Fabrizio che ha cercato di
arginare la mia irruenza, durante una colazione sotto il cielo di Piazzale
Flaminio.
4
Alla piccola grande Maria
“Non si vede bene che col cuore.
L’essenziale è invisibile agli occhi”
(Antoine de Saint-Exupery – Il piccolo principe)
5
Premessa
Nelle ultime estati gli spettacoli estremi della natura sono stati i
protagonisti assoluti della ribalta mediatica. Abbiamo assistito a
situazioni estreme che manifestavano una potenza ed una violenza a noi
sconosciuti. Fiumi che si asciugano e prati che lasciano spazio ad aride
zolle con animali privi di nutrimento. Ed in una altra parte del mondo
fiumi che si ingrossano, prati sommersi da fango ed acqua e di nuovo
animali privi di nutrimento. Ghiacciai che si sciolgono e deserti che
avanzano. E, contemporaneamente, autorevoli scienziati che accusano
l’uomo di queste anomalie e autorevoli scienziati che lo difendono.
In questa confusione che sconcerta non sono solo i cuori dei
contadini ad essere feriti, anche quelli di molti di noi (giovani e non più
giovani) che non trovano pace e si interrogano sulle cause. Certamente
l’economia capitalistica, certamente le economie socialiste, certamente il
sovraffollamento del pianeta, il niño e l’antiniño, il ciclone e
l’anticiclone. Certamente la mancanza di una cultura dell’ambiente e la
difficoltà a cambiare il nostro stile di vita. Una società basata sulle
comodità e sugli agi della modernità non può essere in grado di
rivoluzionare i propri stili di vita senza una forte pulsione senza un
elemento che possa costituire l’avvio di un nuovo processo: un
catalizzatore. Una scusa per scatenare le tensioni che in realtà già sono
nell’aria. Le rivoluzioni, sociali o culturali che siano, hanno bisogno di
6
passione e non di razionalità. L’elemento scatenante è sempre razionale,
come la tassa sul tè per la rivoluzione americana o il pane per quella
francese, ma l’azione è determinata solo dai cuori.
Per coloro che amano la storia e definiscono il nostro periodo
come la caduta dell’impero americano si potrebbe citare il paragone con
“gli ozi di Capua” di Annibale. Oppure citare Churchill che definiva “la
società del burro” l’atteggiamento apatico delle democrazie davanti
all’avanzata di Hitler. Forse è vero ma non è certamente la fine di un
periodo. Nella questione ambientale il disagio causato dal clima e quelli
causati dall’uomo (black-out) potrebbero rappresentare l’elemento
fondante quello che può segnare un momento di svolta. Se si riesce a
riaccendere la passione potremmo dire che questa estate segnerà l’inizio
di un periodo.
La risalita avviene partendo dal basso e le varie Teorie della
Complessità dimostrano scientificamente come la creatività nasce
proprio dalla necessità di dare soluzione a situazioni apparentemente
impossibili. Ed infatti dopo Capua c’è stata la reazione dei romani ed il
nazismo è stato sconfitto, per richiamare e concludere i due esempi
precedenti.
Nelle questioni ambientali siamo giunti ad un momento di crisi
che può essere il prodromo di un cambiamento a patto che si sappiano
leggere le premesse del nuovo corso e si sappiano individuare i
catalizzatori in grado di innescare le rivoluzioni. Anche il disastro
climatologico di questa estate potrebbe ancora non bastare per avviare
questi processi di cambiamento. I black-out programmati in Italia e
quelli forzati negli Usa e nel Canada, le ondate di decessi in Francia
sono sintomi della necessità di operare una inversione di tendenza delle
politiche ambientali.
Secondo la teoria del
disastro creativo di Schumpeter1 occorre ilverificarsi di una situazione apparentemente senza via d’uscita per poter
innescare la creatività e trovare soluzioni positive di miglioramento. Per
rafforzare questa affermazione e verificare la validità anche nelle
questioni ambientali, prendiamo il caso dei prodotti biologici. Il mercato
di questi prodotti era quasi inesistente e considerato di nicchia fino al
caso di Mucca Pazza. Solo allora la paura della BSE ha colpito i cuori
dei consumatori facendo cambiare le loro abitudini alimentari. Oggi il
7
mercato dei prodotti biologici rappresenta circa il 30 % del totale ed ha
un trend di continua crescita. Gli effetti di questi cambiamenti, poi,
hanno anche altri riflessi oltre quelli della salute dei cittadini e stanno
facendo nascere una nuova economia legata alle fattorie biologiche, agli
agriturismi, al ritorno alle campagne da parte di molti giovani, alla
riscoperta della bio-diversità oltre che della tradizione.
Ma che cosa ha innescato questo fenomeno che sembra
inarrestabile? Ad osservare attentamente è stata la paura della malattia,
ma una paura non alimentata da numeri, non dalla razionalità ma dal
cuore. I casi del morbo sull’uomo sono stati pochissimi ed anche i casi
di bestiame malato non giustificherebbero da soli tale effetto sul sistema
economico senza la comprensione che a guidare le emozioni sul
prodotto non è la testa ma il cuore.
Nel bellissimo libro “L’universo e la tazzina da te” il giornalista
scientifico K. C. Cole
2 ha illustrato alcuni paradossi nella percezione delrischio che vive ognuno di noi ogni giorno. Esilarante la considerazione
di come accaniti fumatori inorridiscano di fronte ad una bistecca con del
saporito grasso. Una popolazione soprappeso come quella americana
anziché preoccuparsi di eliminare il burro di arachidi dalla propria
alimentazione si preoccupa del tumore al cervello causato dall’uso dei
telefonini cellulari, che statisticamente è molto piccolo. Si dovrebbero
mobilitare contro lo strutto non contro le radiazioni elettromagnetiche!
Questa distanza fra realtà e percezione è la stessa che separa
cuore e ragione. Una distanza che si fa sempre più percepibile attraverso
linguaggi diversi, che evolvendosi aumentano la separazione
alimentando l’incomunicabilità e facendo perdere di vista la reale
dimensione dei problemi. Diventa impossibile ogni dialogo, ogni
conciliazione.
Nelle questioni ambientali avvengono fenomeni simili. Alcune
volte si riescono a scatenare passioni contro o a favore di una causa la
cui reale importanza è trascurabile. Alcune volte un razionale calcolo
delle convenienze potrebbe auspicare una partecipazione collettiva a
favore di una causa, ma non si riescono a convogliare queste energie per
risolvere problemi reali e drammaticamente pericolosi.
E questo fenomeno è lo stesso che porta alcuni Governi alla
necessità di promuovere azioni di sostegno a favore di alcune categorie
8
sociali pur sapendo che i costi relativi alla definizione di una equa
ripartizione superano di gran lunga i vantaggi reali. Non si tratta di
demagogia ma di comunicazione. E’ una scelta linguistica ancor prima
di essere politica. Supponiamo che la percentuale di beneficiari di una
certa azione sia molto esigua ma che questi abbiano un notevole spazio
nell’immaginario collettivo della sofferenza
3. Programmare un’azione disostegno a questa categoria può rappresentare due istanze: razionalmente
risolvere situazioni di disagio ed emotivamente stabilire una forma di
dialogo con la società.
Torniamo all’ambiente.
Se ci limitiamo ad una comprensione razionale dell’alterazione
del clima e ci soffermiamo solo sui concetti di alta e bassa pressione
della sacca africana potremo comprendere i fenomeni fisici ma non
riusciremo ad intervenire sulle cause. Se cerchiamo solo la razionalità e
non arriviamo al cuore delle persone, se non accendiamo le passioni non
possiano far avvenire alcuna rivoluzione in grado di dare una soluzione
al tracollo ecologico di alcune situazioni.
Anche se forse non è il caso di introdurre il concetto di tracollo.
Probabilmente è più corretto il termine perturbazione o ricerca di nuovi
equilibri.
Anche se tutto ci appare come una perturbazione che sta
sovvertendo le abitudini climatologiche consolidate negli ultimi secoli è
difficile immaginare che una catastrofe possa portare alla scomparsa
dell’umanità.
Anche se senza la Corrente del Golfo, in Scandinavia arriveranno
i ghiacciai perenni ma, forse, in Algeria potrebbero rifiorire gli orti.
Dovremo solo cambiare prospettiva ai nostri pensieri.
Anche se dovremmo riabituarci alle trasmigrazioni,
all’abbandono delle certezze, alla capacità di affrontare il rischio.
Anche se forse le estati ci sembrano più calde, o più piovose, o
meno piovose, o più fredde…
D’altra parte il grande Albert Einstein aveva detto a suo tempo:
“non so per quale motivo si combatterà la III guerra mondiale, ma la
quarta si combatterà certo per l’acqua”.
Vista con l’occhio del geologo la notizia di una nuova era
glaciale non sconcerterebbe più di quanto non sconcerterebbe la notizia
9
di un nuovo amore di un’attrice o di un presentatore. E’ una questione di
scala. La sopravvivenza della specie, direbbero gli antropologi, ci fa
credere di essere il punto di riferimento della vita del pianeta.
Antropocentrismo. Il nostro bisogno di soggettività non ci fa vedere il
passato e ci impedisce di vedere il futuro. Ma se manteniamo come unità
di misura la lunghezza della nostra vita (quaranta anni per gli africani ed
ottanta per gli occidentali) non possiamo riuscire a percepire il pulsare
del pianeta. La terra vista con l’ottica di un marziano, osservata da
lontano, da una stella di una qualsiasi costellazione, avendo come unità
di misura temporale l’anno luce, sarebbe molto diversa da quella che
percepiamo qui giù a contatto con la crosta terrestre.
Che poi, chi è in grado di percepire la crosta terrestre? Quanti
camminano ancora “a piedi nudi nel parco?”. Il nostro corpo sarebbe
uno strumento perfetto per percepire il pulsare della vita. Prendiamo ad
esempio le persone sorde. Esistono grandi musicisti che non usano le
orecchie per percepire i suoni ma utilizzano tutto il resto del corpo per
sentire. Famoso il caso di Beethoven, ma attuale quello della grande
percussionista scozzese Evelyn Glennie che, percependo le vibrazioni
delle onde acustiche con il corpo, è in grado di suonare magicamente
con orchestre e di inserirsi armonicamente in corali di gruppo.
Però non dovrebbe essere necessario essere audio-lesi per
riscoprire la potenzialità comunicativa del nostro corpo. Forse
dovremmo riabituarci a percepire l’ambiente con il cuore senza farci
sopraffare da inutili paure di catastrofi, senza l’assillo di dover misurare
oggettivamente il rischio. L’uomo non può ancora comprendere
razionalmente quello che gli accade intorno. La fisica, la chimica, la
matematica non sono ancora in grado di spiegare quello che avviene nel
nostro pianeta. Gli illuministi credevano che tutto fosse riconducibile
alla meccanica, ma tutto il presunto rigore scientifico cade dinanzi ad
una banale osservazione. Che cos’è un sistema fisico? E’ possibile
astrarre un sistema fisico dal contesto in cui è inserito ed osservare
quello che avviene al suo interno come se fossimo completamente
esterni ai fenomeni? La fisica quantistica spiega come ciò sia
impossibile. Ma allora se la nostra interazione con l’ambiente modifica
la percezione che abbiamo di esso, occorre trovare il coraggio di
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superare Cartesio e di cercare di fare nostre valutazioni soggettive
sull’ambiente.
Osservando da lontano, riandando su una stella e banalizzando il
presente alla maniera di Pennac, nel corso dei millenni, il nostro pianeta
ha avuto molti cicli vitali che sono nati da grandi sconvolgimenti.
Dall’analisi delle prime immagini della terra riprese dai vari satelliti che
sfrecciano al di sopra dell’atmosfera, per la prima volta abbiamo potuto
avere una chiara percezione di alcuni cambiamenti e di quello che è
accaduto in qualche parte del pianeta.
Ad esempio abbiamo ritrovato il corso del grande fiume sacro
Sarasvati dell’India, ormai prosciugato, che scorreva nel deserto del
Thar o Grande Deserto Indiano, e lungo le sue antiche rive i resti di
grandi capitali del passato: Harappa, Mohenjo-Daro o Mehrgarh.
4Questo fiume era il più grande dei sette fiumi sacri della civiltà vedica:
al suo confronto il problema della secca del Po scompare! Abbiamo
potuto scorgere il vecchio tracciato di un imponente fiume che
attraversava il Sahara e che probabilmente rendeva fertili queste zone. Il
segnale della presenza di antichi laghi, di antichi mari. Andando a
scandagliare i fondali di alcuni mari si trovano resti di città imponenti un
po’ovunque, in Cina come in Egitto, che un tempo erano certamente
centri vitali dell’attività umana.
Scavando sotto i ghiacciai dell’Alaska o della Siberia si trovano
Mammouth congelati improvvisamente, immortalati mentre
mangiavano. Alberi di betulla carichi di foglie istantaneamente congelati
e non surgelati (subendo un processo rapidissimo di frozen). La
Groenlandia (terra verde) venne colonizzata nel 980 e venne così
chiamata per la rigogliosità della sua natura. Successivamente tra il 1300
ed il 1850 è intervenuta una piccola era glaciale e le terre verdi sono
state nascoste dal ghiaccio. Solo dal 1850 la temperatura del pianeta ha
iniziato a risalire.
Scorrendo gli archivi giornalistici, nel 1975 molti scienziati
lanciavano grida di allarme perché i ghiacciai del Monte Bianco erano
aumentati in modo inquietante di 500 metri in pochi anni e la banchisa
polare aveva raggiunto l’Islanda.
L’uomo è sopravvissuto e forse mai come in questi anni la
popolazione del pianeta è stata così numerosa, ha una vita così lunga e
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molti hanno nuovi problemi legati alla sovralimentazione. E’ vero che
aumentano gli squilibri economici fra gli individui ma è anche vero che
il trend del benessere è un po’ ovunque in aumento ed a frenarlo spesso
sono solo politiche miopi. Ci sono molti governanti che non governano
il futuro ma sono immersi solo nel presente. Asfittici. L’immanente può
essere compreso più semplicemente anche da piccoli satrapi, ma in
questo modo si corre il rischio di chiudere una porta sulla evoluzione e
sullo sviluppo sostenibile che, come vedremo, racchiude la conciliazione
degli interessi a breve ed a lungo periodo.
Con questa prospettiva le perturbazioni metereologiche in atto
potrebbero essere lette come cambiamenti in attesa di nuovi equilibri e
non come la fine del pianeta. Probabilmente sono scomparse città più
grandi di Parigi o di Roma. Pochi si ricordano di Sargon di Accadia
(2371-2316 a.C.)
5, forse il più grande sovrano di tutti i tempi. Ma noisiamo ancora qui ad osservare le pulsazioni del nostro pianeta ed a
cercare di capire dove andremo a finire.
Seppure la matematica ha fatto progressi enormi e la potenza dei
calcolatori elettronici aumenta vertiginosamente ogni anno, permettendo
di compiere calcoli inimmaginabili non siamo ancora in grado di porre la
giusta domanda al computer. Nella tetralogia del famoso scrittore
americano Douglas Adams, per capire il significato della vita gli esseri
umani costruiscono in dieci milioni di anni un computer gigantesco e gli
domandano il “perché della vita, dell’universo e di ogni cosa”. Il
computer inizia a lavorare e, impegnando tutta l’energia dell’universo,
dopo 17 milioni di anni finalmente da il suo responso. ”Ho la risposta –
scrive il computer – ma non potrete capirla perché avete sbagliato a
porre la domanda. La risposta al perché della vita, dell’universo e di
ogni cosa è: quarantasette.”
6Allo stesso modo la descrizione dei dati iniziali e delle situazioni
al contorno da inserire nelle elaborazioni sugli andamenti del clima e
sulle variazioni metereologiche è talmente complessa che non si
riescono ad ottenere risultati accettabili. Non è stata poi completamente
affrontata la questione dell’interazione fra l’osservatore ed il fenomeno
osservato, evidenziata dalla fisica quantistica. Così in televisione si
assiste spesso a dichiarazioni di impotenza da parte di esperti che
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candidamente affermano la propria incapacità di spiegare situazioni così
complesse.
Scriveva il grande matematico Laplace nel suo trattato filosofico
sulle probabilità (1814) “A rigore si può dire addirittura che quasi tutta
la nostra conoscenza è problematica; e nel piccolo museo di cose che noi
siamo in grado di conoscere con certezza, persino nelle stesse scienze
matematiche, i mezzi di principio per l’accertamento delle verità –
induzioni e analogie – si fondano su probabilità: così che l’intero sistema
della conoscenza umana è connesso con la teoria esposta in questo
saggio”.
7Ma dove non può arrivare la razionalità, dove il presunto rigore
di spiegazione scientifiche viene meno può arrivare il cuore. Le
spiegazioni diventano meno tecniche ma, sempre per la meccanica
quantistica, ed anche per la neurologia e le scienze cognitive, la nostra
interazione con l’ambiente ci può far percepire qualcosa che sfugge agli
elaborati calcoli matematici ed alla nostra capacità razionale di
comprensione.
Dopo una variazione i sistemi fisici allontanati dal loro punto di
equilibrio cercano una nuova stabilità al minimo di energie, così anche il
pianeta nella sua storia, si è ricomposto in nuove territori. E se anche
sono scomparse antiche civiltà l’uomo è sopravvissuto. A tal punto che
forse mai la terra è stata così sovraffollata di esseri umani ed il trend di
crescita degli abitanti del pianeta non segna inversioni di tendenza.
L’uomo vive di più, vive più in salute ed è stato in grado di colonizzare
ogni angolo del pianeta.
Ed allora anche oggi la terra deve trovare nuovi punti di
equilibrio. Probabilmente è proprio il sovraffollamento, l’aumento del
benessere e la follia di alcuni incoscienti una delle cause che sta creando
maggiori disagi. Con terrore si aspetta il momento in cui anche le
popolazioni di grandi Stati come l’India o la Cina inizieranno a
consumare energia e risorse non rinnovabili e dovremmo iniziare a
spartire in modo più o meno equo quello che abbiamo a disposizione.
Anche se poi i black-out di questa estate in varie parti del mondo
occidentale indicano come già oggi la richiesta di energia sia maggiore
della sua produzione, dell’offerta di disponibilità.
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Ma come fare? La razionalità ci consiglia di cambiare stile di vita
ma non è la razionalità a guidare la mano degli uomini. Se fossimo una
razza razionale, se ad operare le scelte fosse la testa non avremmo
guerre, soprusi o ingiustizie. E non avremo neanche bisogno di
rivoluzioni o rivolte per riportare la società a situazioni di nuovo
equilibrio. Se fossimo esseri razionali ci affideremmo ad agenzie
matrimoniali per scegliere il nostro partner anziché perdere tempo
passeggiando avanti ed indietro lungo i marciapiedi delle nostre città
arrossendo agli sguardi degli ammiratori e raccogliendo sottili
ammiccamenti. Se l’evoluzione di alcune società sta portando sempre
più frequentemente al ricorso ad intermediari questo può apparire come
una forma di regressione di tipo medioevale.
Tutti gli studiosi concordano sul fatto che per abbassare il deficit
energetico occorre agire su due livelli contemporaneamente: la
produzione di nuove energie e la riduzione dei consumi. Sul primo
elemento la possibilità che ciascuno di noi ha di far sentire la propria
opinione è abbastanza ridotta, mentre il secondo livello è squisitamente
soggettivo. Per ridurre i consumi occorre cambiare gli stili di vita di
molti di noi ed introdurre nella quotidianità nuovi comportamenti legati
al rapporto uomo/ambiente. Questo significa una rivoluzione vera, una
rottura con gli insegnamenti della generazione precedente (tipicamente e
fortemente energivora), una critica ai messaggi pubblicitari delle grandi
multinazionali, un’emancipazione da obsoleti modelli di vita.
Le rivoluzioni le fanno i cuori dei giovani per criticare il sistema
sociale preparato dalle generazioni precedenti e sempre nella speranza di
poterne creare uno migliore. Secondo Darendhorf ogni rivoluzione
nasconde anche un conflitto generazionale. Ognuno cerca di costruirsi
un mondo ideale in cui vivere impegnandosi in prima persona nella sua
realizzazione. E chi non combatte a venti anni probabilmente non lo farà
più!
8Non a caso proprio fra coloro che possono essere considerati i
leader di una rivolta si celano gli spiriti dei futuri manager, dei
condottieri. Chi a venti anni è protagonista delle proprie scelte ed è
disposto a lottare per le proprie idee, lo farà sempre. Anche se le sue
idee potranno evolversi e qualche volta cambiare anche radicalmente. E’
il caso di molti dei contestatori del ’68 che si ritrovano oggi in posti
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chiave della società civile. Era prevedibile e naturale che da leader della
passione dei cuori diventassero protagonisti della razionalità della
mente.
9Lo spiegano gli studiosi dell’intelligenza emotiva ed i
sociobiologi illustrando come nei momenti più critici della vita ci sia una
prevalenza del cuore sulla mente. E chi ha questa capacità di vivere le
emozioni e di provare empatia per coloro che “fanno gruppo” assieme
per un ideale ha maggiori possibilità di utilizzare queste doti in ogni
altro settore della sua vita.
10 Le manifestazioni giovanili diventano ilbanco di prova attraverso cui l’individuo misura la propria capacità di
relazionarsi con gli altri. Il vero successo, però, arriverà quando questa
capacità sarà mediata dall’educazione e dalla cultura (non
necessariamente ….. da altri individui) e da un senso di disciplina. In
sostanza dall’equilibrio fra cuore e razionalità, ragione e passione, mente
e sentimento. E l’attitudine alle emozioni, la capacità di far parte di
qualcosa, di provare euforia verso gli altri diventa una meta-abilità. È
grazie ad essa che possiamo valorizzare tutte le altre nostre doti.
Tutti quelli che partecipano a manifestazioni pubbliche ed hanno
il coraggio di difendere le proprie convinzioni nascondono doti di
leadership, ma anche un’anima sociale. La capacità di mantenere
amicizie, di alimentare relazioni, di risolvere conflitti, di negoziare, di
essere bravi insegnanti. Sarà solo la successiva mediazione operata dalla
ragione, la capacità di riflettere a freddo e di impegnarsi nella
costruzione del proprio destino a decretare chi sarà potenzialmente il
migliore.
In base a queste considerazioni tutti i ragazzi di una qualsiasi
manifestazione, violenta o non violenta, vanno guardati con rispetto ed
attenzione perché potranno far parte della schiera di coloro che
guideranno la società nel futuro. E se oggi questa generazione scende in
piazza per l’ambiente ci sono serie probabilità che questo possa
rappresentare, nel bene e nel male, il tema principale con cui la prossima
generazione fonderà la sua visione del mondo. Più tardi ragioneremo sul
concetto di ambiente “allargato” e potremo comprendere come siano
potuti nascere partiti verdi e come vi possa essere un naturale interesse
di associazioni ambientaliste: come i problemi un tempo ritenuti campo
esclusivo della politica.
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Nel frattempo, però, pensando all’ambiente i cuori di molti
sanguinano. Soprattutto di quelli più sensibili: quelli di molti giovani di
ogni parte del pianeta. Ed è incredibile come tutta questa passione non
sia indirizzata verso la costruzione attiva di un mondo diverso, ma
soprattutto, verso azioni di protesta. Si riescono a portare in piazza i
cuori per combattere contro i soprusi ma non si riesce a portare in piazza
l’esaltazione di un’azione positiva. A dirottare la passione verso la
realizzazione dei sogni. E’ vero che il volontariato e l’impegno sociale
sono in crescita ma l’impegno verso l’ambiente resta legato a spot
occasionali, magari alla pulizia di una spiaggia o di un bosco, e non si
riesce a concretizzare in impegno costante. Superando anche molti
pregiudizi. Ma la richiesta di partecipazione è forte.
Non a caso tramontate le grandi illusioni politiche, i sogni e gli
ideali legati al modo di gestire il potere (o lo Stato che in molti regimi
coincide con il potere), alla democrazia ed all’uguaglianza oggi i cuori
dei ragazzi riescono ad infiammarsi solo per le politiche ambientali. Non
solo per il rispetto dell’ambiente ma anche per l’uso dell’ambiente:
dall’energia all’agricoltura, dalle fonti rinnovabili agli OGM, dal
nucleare ai parchi, dalla pulizia delle spiagge al fenomeno
dell’abbandono e del maltrattamento degli animali.
Dopo l’11 settembre ci si sarebbe potuti attendere un
coinvolgimento dei ragazzi di nuovo in questioni politiche, negli scontri
di civiltà. Non più tra sistemi socialisti e capitalisti, ma tra culture con
storie e costumi profondamente diversi. Ma questo non è avvenuto.
Passata la prima fase in cui gli animi erano mossi soprattutto dalla spinta
emotiva del disastro delle torri gemelle, il desiderio di costruire una
società diversa non ha fatto breccia nei loro cuori. Non esiste concetto di
società diversa.
La spinta universale della globalizzazione sta uniformando molte
abitudini, molte usanze.
11 La colonizzazione delle multinazionaliprocede rapidamente a tappe forzate e nessuno ha nell’animo veri
modelli alternativi. Anche i movimenti no-global possono essere
compresi nell’ambito delle contestazioni sull’ambiente. La perdita di
identità nazionali ha portato alla frammentazione delle culture, con la
riscoperta delle identità locali (compresi i prodotti DOP, DOC, DOCG,
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IGP…) e della trasformazione dell’ambiente a significante culturale, a
simbolo di un modello di società migliore, più equa, più sana.
Così facendo alcune volte si rischia di perdere di vista la
questione del rapporto uomo/pianeta dirottando l’attenzione sul tema
uomo/uomo, dimenticandosi del detto latino homo homini lupus.
Perdendo di vista l’ecologia, i comportamenti delle società occidentali
non sono cambiati e quelli di molte civiltà orientali sempre di più
assomigliano pericolosamente agli stili di vita europei o americani. Il
clamore delle nuove guerre in Afghanistan ed in Iraq non è riuscito a
superare la strumentalizzazione elettorale e non ha inciso sugli
atteggiamenti dei giovani che manifestano di ambiente ma rischiano di
allontanarsi da esso.
Ma se vogliamo aiutare la terra a trovare presto un nuovo
equilibrio dobbiamo pensare ad una rivoluzione e non a semplici
accorgimenti tecnici di lieve incidenza i cui effetti potrebbero non esser
percepiti da nessuno. Riportare il tema dell’ambiente in un dibattito
culturale sull’uomo cercando di de-ideologizzare alcune questioni per
permettere una condivisione più ampia dei problemi aperta a tutti coloro
che vogliono sognare senza mediazioni di significato.
Vedremo se i black-out programmati in Italia, ma soprattutto
quelli canadesi e americani, porteranno ad un vero dibattito sulle
energie, sul rapporto uomo/pianeta e sui nostri stili di vita.
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1. La sostenibilità
Essere immortali è cosa da poco:
tranne l’uomo, tutte le creature lo sono,
giacché ignorano la morte.
…….
Nei linguaggi umani non c’è proposizione
che non implichi l’universo intero;
dire “tigre” è dire le tigri che la generarono,
i cervi e le testuggini che divorò,
il pascolo di cui si alimentarono i cervi,
la terra che fu madre del pascolo,
il cielo che dette luce alla terra.
(Jorge Luis Borges)
La parola sostenibilità dovrebbe essere abolita per l’uso
improprio a cui è sottoposta. Viene tirata in ballo in ogni situazione e
sottoposta ad ogni strumentalizzazione, spesso senza conoscerne il
significato. Senza addentrarsi in questioni semantiche occorre però
stabilire un significato condiviso del termine altrimenti la possibilità del
suo abuso terminologico in salotti e comizi diventa naturale. In fondo
questa parola ha anche un bel suono ed armonizza le frasi in cui è
inserita per cui è abbastanza ovvio il suo uso come intercalare.
Robert Salow, Nobel per l'economia a cui si deve una delle
formulazioni del concetto di sviluppo sostenibile. "Il concetto di
sviluppo sostenibile è ormai diventato uno slogan. Un ritornello che ci
ricorda come sia importante, quando si parla di sviluppo economico,
considerare con estrema attenzione le conseguenze a lungo termine delle
decisioni che prendiamo oggi".
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Ma che cos’è la sostenibilità? Fra le definizione che ne sono state
date durante la conferenza sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992, una
mi ha colpito per la semplice possibile rappresentabilità attraverso un
disegno. La trasposizione grafica, infatti, permette di allargare la
comprensibilità del concetto ad un numero maggiore di individui, anche
culturalmente molto diversi fra loro, e contribuisce a ridurre la distanza
fra cuore e ragione. Si dice “sviluppo sostenibile” una modifica che
comporti contemporaneamente un miglioramento sociale, economico ed
ambientale. Quando si ha soltanto il rispetto di uno dei tre aspetti non si
ha sostenibilità. Si prenda allora un triangolo equilatero sui cui vertici
siano indicati i tre aspetti (sociale, economico ed ambientale): lo
sviluppo sostenibile si trova pressappoco sul baricentro di questa figura,
cioè in una posizione intermedia fra i tre vertici. Allontanandoci
dall’ipotetico baricentro si produce uno squilibrio che, nel breve o medio
periodo, farà naufragare l’iniziativa.
Se infatti l’attenzione è spostata verso il fattore economico siamo
di fronte ad una speculazione, ma se siamo troppo vicini al sociale
entriamo nell’utopia. Essere vicini all’ambientale rende il cambiamento
pressoché impossibile. L’ambiente infatti non si riesce a valutare
razionalmente né si hanno le sufficienti conoscenze scientifiche in grado
di prevedere la sua evoluzione complessiva. Oggi si cerca di utilizzarlo
nelle politiche di marketing di alcuni prodotti ed in un certo modo,
attraverso le misure degli effetti economici delle vendite di certi
prodotti, cercare di dare un valore al rispetto ambientale. Ma non basta.
Si possono fare anche dei ragionamenti a posteriori sulle conseguenze
economiche di alcune catastrofi ecologiche, come quella della nave
Prestige naufragata al largo della Galizia fra la Spagna e la Francia. In
questo sono brave soprattutto le compagnie di assicurazione e di
riassicurazioni del rischio che hanno interesse a quantificare i disastri
ambientali. Ma non basta. Né possiamo lasciare a dei finanzieri la
qualificazione e la certificazione del significato di un disastro ecologico.
Le logiche economiche prevarranno su quelle ambientali fintanto
che quelle ambientali non susciteranno un diverso interesse dettato da
una propria logica diversa da quelle del mercato. Ed infatti il naufragio
delle petroliere si impone all’attenzione del pubblico il tempo necessario
a dare una prima ripulita ai gabbiani, poi scompare nei ricordi dei
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ragazzi. D’altra parte la potenza emotiva di queste catastrofi ambientali è
fortissima.
Migliaia, qualche volta milioni, di giovani cuori sono impegnati
nelle operazioni di volontariato per ripulire le spiagge dai resti del
petrolio e lo spettacolo che si pone di fronte a questi ragazzi potrebbe
modificare per sempre la loro vita emotiva e senza volontari non si
riuscirebbero ad arginare i danni. Se provvedesse uno stato, i costi a
carico del suo bilancio sarebbero talmente elevati che non potrebbero
essere sostenuti. Solo la passione emotiva di giovani cuori è più forte di
ogni possibile indicatore di bilancio.
Se riprendiamo l’etimologia della parola emozione (dal latino emoveo:
muovere da) comprendiamo perché all’emozione è associata
l’azione, il bisogno di dare sfogo ai propri sentimenti. Con la crescita
degli individui, le successive sovrastrutture create dall’educazione,
dall’esperienza e dalla cultura possono essere in grado di frenare la
potenza di questa spinta emozionale. Secondo gli studiosi
dell’intelligenza emotiva l’attitudine emozionale è una potentissima
molla in grado di automotivare le persone e di spingerle a compiere
azioni eroiche che comportano anche un duro programma di lavoro. Un
volontario è in grado di lavorare ininterrottamente per giorni eliminando
quasi le sue necessità fisiologiche primordiali.
13Che cos'altro è in grado di incidere così intensamente nella vita
di un giovane? Si combatte e si muore per i sogni. Ma quali sono i sogni
per cui combatte un ragazzo di venti anni? Perché ragazzi da tutta
Europa sono accorsi in Galizia per cercare di frenare il disastro
ecologico?
I sogni di molti ragazzi di oggi non sono più quelli della ricerca
di uno Stato Ideale o di una Società Perfetta. E’ crollato il muro di
Berlino portandosi via molti sogni di giustizia. Ma i sogni non muoiono
e quelli dei ragazzi di oggi sono spesso legati all’ambiente. Le guerre
urbane (quelle interne alle nostre società occidentali) si combattono per
gli OGM. L’età media di quelli che fanno i girotondi è cinquantasessanta
anni. L’età media di quelli che erano a Genova per il G8 è
venti.
Le politiche ambientali hanno il potere di aumentare o diminuire
il livello dei sogni. Un Ministro dell’Ambiente o dell’Agricoltura può
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decidere del futuro di molti ragazzi più di quello della Pubblica
Istruzione. I sogni forgiano gli individui più della scuola. I sogni creano
gli eroi. Ed allora forse il Ministro dell’Ambiente potrebbe essere
chiamato il Ministro del Futuro, delle Prossime Generazioni.
Se per affrontare le questioni ambientali si usasse la stessa
struttura mentale con cui si risolve un calcolo degli interessi sui mutui
bancari non si riuscirebbe a percepire l’energia emanata da tutti i giovani
che, provenendo da varie parti del mondo, si ritrovano a combattere per i
loro sogni. In Galizia come a Genova. A Seattle come a Nizza. Ed
ovunque nel mondo.
Visto lo squilibrio di età potremmo dire che siamo
all’emancipazione generazionale, all’iniziazione alla vita, all’autonomia
dell’individuo. La questione ambientale rappresenta allora anche il
culmine del conflitto generazionale. Se si analizza una qualsiasi
manifestazione di piazza, una di quelle che nasce in un qualsiasi Stato
del mondo in occasione di una qualsiasi riunione di un qualsiasi
organismo internazionale legato all’economia, si osserva una eclatante
differenza di età fra le due parti in causa. Da una parte le generazioni di
coloro che hanno già raggiunto il potere, le leve di comando, e cercano
di organizzare strutture amministrative e sociali in grado di gestire i
rapporti economici, commerciali, di lavoro, ecc.. fra gli abitanti del
pianeta (ONU, WTO, NATO, WHO, FAO, …). Dall’altra i loro ideali
figli, ragazzi che oltre al problema ambientale cercano la propria
autoaffermazione attraverso una scontro vero, una vera rivoluzione: un
passaggio iniziatico da conservare nella memoria, qualcosa che possa
assurgere a simbolo.
L’età media di questi giovani è sui venti anni, difficilmente si
supera questa soglia. E a quella età occorre urlare per far sentire la
propria voce. Non si conoscono altri metodi oppure sono ritenuti
inefficaci. Le emozioni sono più forti della razionalità.
E’ per questo motivo che il termine sostenibile difficilmente può
essere compreso a venti anni. Il raggiungimento della sostenibilità
contiene in sé la negoziazione fra i tre aspetti che lo caratterizzano, una
mediazione fra le pulsioni che non può essere compresa con il cuore ma
con la razionalità.
14 Occorre operare scelte, scartare soluzioni, alcuneanche apparentemente interessanti ma che renderebbero irrealizzabile lo
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sviluppo. Ma il cuore porta al sogno ed all’utopia. A venti anni non si
vuole sentire parlare di mediazione ma di scelta drastica e netta a favore
di quelli che sono gli ideali che muovono gli animi. Come si fanno a
percepire sfumature se il mondo è nero o bianco? Se si sfida il mondo, la
sfida è totale, no-limits. Come si possono accettare limitazioni?
La sostenibilità come mediazione fra tre aspetti distinti
(ambientale, sociale ed economica) si può raggiungere solo attraverso
l’aiuto di specialisti della negoziazione e della gestione dei conflitti. Nel
gioco si introducono nuove figure, quasi asettiche, con il compito di far
dialogare cuore e mente. Ragione e sentimento. Inaccettabile a venti
anni da chi vuole esser protagonista del cambiamento, da chi si aspetta
di poter cambiare il mondo attraverso il proprio impegno. Basta con i
parolai! La parola è intesa come un'arma negativa a vantaggio di esperti
verbali che hanno il compito di inquinare i cuori. I mediatori vengono
percepiti come emissari delle forze retrive del male, ostili ad ogni
cambiamento, ad ogni novità.
L'evoluzione e la crescita sono segnate dall'alternare di questi
due aspetti: osservazione dei cambiamenti in corso e contestazione, da
un lato, ed il successivo tentativo di modificare il contesto dell'altro.
Questa alternanza corrisponde all'alternanza di cuore e
razionalità. Una ciclicità ben nota alle filosofie orientali. Lo Yin e lo
Yang. Nel simbolo quando uno dei due aspetti è al massimo contiene
dentro di sé i segni dell'inizio del nuovo ciclo.
15Il rischio è che lo scontro generazionale ipotizzato da Darendhorf
diventi ideologico, prevalga sullo scontro sulle questioni ambientali, e
che questi cuori coraggiosi non riescano a modificare non solo le
abitudini delle società evolute ma neanche le proprie. Il rischio è che
finito il pretesto della discesa in piazza lo spreco di risorse non
rinnovabili (le energie dei cuori) si perpetui anche fra questi giovani che
potrebbero invece dare l’avvio alla costruzione di una nuova società.
E che le motivazioni generazionali possano prevalere su quelle
connesse all’ambiente appare verosimile da un altro indicatore: le
manifestazioni di piazza legate alle riforme pensionistiche. In teoria la
questione dello squilibrio economico per l’eccessivo onere dei costi
sociali legati ai vitalizi più o meno alti dovrebbe riguardare soprattutto i
giovani che devono mantenere, con il proprio lavoro, un esercito sempre
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maggiore di individui. Eppure anche in questi incontri, proprio come nei
girotondi, l’età media dei manifestanti è molto alta. Il tema diventa
quello dei diritti acquisiti e non quello dei diritti delle future generazioni.
Sono finiti i sogni e prevale la rassegnazione. La logica del naufrago che
non abbandona lo scoglio invece di cercare alternative per salvarsi
cambiando la propria vita, sfidando il mondo e se stesso.
Però questo atteggiamento è studiato dagli analisti del rischio che
spiegano come gli individui sono propensi a correre rischi pur di non
perdere qualcosa, ma sono anche incapaci di affrontare gli stessi rischi
per assicurarsi vantaggi e guadagni futuri. Oppure, in campo sanitario, è
il motivo per cui è difficile impegnare fondi propri o pubblici in
programmi di prevenzione di malattie nonostante sia noto come la
prevenzione sia generalmente molto meno costosa della cura.
Un altro dei modi per descrivere le conclusioni della conferenza
di Rio de Janeiro del 1992, è nella constatazione che lo sviluppo
sostenibile propone un approccio nuovo basato sulla
responsabilizzazione di tutte le parti in causa: autorità politiche,
cittadini, imprese, gruppi ambientalisti, portatori di interessi diffusi,
banche… “La realizzazione dell’equilibrio auspicato tra attività umana e
sviluppo da un lato e protezione dell’ambiente dall’altro richiede una
ripartizione delle responsabilità chiaramente definita rispetto ai consumi
e al comportamento nei confronti dell’ambiente, delle risorse naturali.
Tale equilibrio richiede anche un dialogo ed un’azione concertata tra le
parti interessate che possono avere, nel breve periodo, priorità
divergenti”.
Non a caso dopo questo incontro le democrazie europee hanno
cominciato a recepire queste istanze ed a porsi dinanzi all'evidenza di
trovare un sistema per aumentare la partecipazione democratica dei
cittadini alle scelte. In campo urbanistico come in campo sociale, ma
anche in quello economico. I sindacati sono chiamati ad esprimere
opinioni in tutte le decisioni del governo. Gli studenti a giudicare gli
insegnanti e la scuola. Si moltiplicano i referendum popolari che non
riescono più a raggiungere il quorum necessario per essere convalidabili.
Non solo quelli nazionali ma anche quelli regionali o locali. Se c'è
qualcuno che sa che in Sardegna è da poco naufragato un referendum
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per non far aumentare il numero delle province, si tratta certamente di un
maniaco della notizia. Nell'800 Manzoni scriveva "per venticinque
lettori”, oggi i referendum si fanno per venticinque elettori.
Ma torniamo alle questioni ambientali analizzando quello che sta
accadendo in Italia in materia urbanistica, questa disciplina, infatti,
studia le modalità con cui possono avvenire le trasformazioni territoriali
e quindi, in sostanza, quelle ambientali.
16Fino agli anni novanta il sistema era completamente
programmato e gestito dalle varie strutture amministrative competenti:
dal Comune alla Regione in una serie di rimandi autoritativi. Il processo
decisionale poteva durare diversi anni, generalmente oltre i cinque. In
tutto questo enorme lasso di tempo lo spazio riservato ai cittadini di
poter fare "osservazioni" alle scelte delle oligarchie decisionali era di
pochi giorno, generalmente di circa due mesi. I cittadini ammessi a tale
immensa opportunità non erano tutti gli abitanti di quel territorio, ma
solo i proprietari dei lotti danneggiati dalle scelte.
Dalla metà degli anni novanta, prima il Governo Centrale, con
una legge che istituiva i cosiddetti Piani Integrati, poi, sotto la spinta
popolare, le regioni cominciarono a regolare forme alternative attraverso
le quali raggiungere la definizione degli sviluppi urbanistici e, quindi,
dei nuovi assetti territoriali.
Generalmente questi programmi hanno varie sigle pittoresche a
seconda dei contesti in cui operano, ma tutti si articolano in alcuni
concetti fondamentali: la negoziazione articolata fra soggetti privati e
pubbliche amministrazioni e la condivisione delle scelte con tutti i
portatori di interessi diffusi, gli stakeholders.
La fase di contrattazione prevede vari livelli di operatività: da
quella progettuale tradizionale, a quella economica, alla gestione degli
interventi. In sostanza si cerca di raggiungere la sostenibilità proprio
seguendo le indicazioni della conferenza di Rio de Janeiro. La
conciliazione fra interessi mediati ed interessi diffusi avviene inserendo
la trattativa sulla gestione delle opere, ossia allargando la fascia
temporale del rapporto fra pubblico e privato per compensare quelli che
potrebbero apparire come squilibri nel breve periodo.
In questo senso la negoziazione è complessa e le figure in gioco
sono veramente molteplici e la loro composizione è varia. In uno stesso
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tavolo si trovano a discutere imprenditori, professionisti e pubbliche
amministrazioni. Ma anche assicuratori, banche, certificatori di progetto
e certificatori di rischio, avvocati civilisti, amministrativisti ed urbanisti.
A volte la durata del processo decisionale si riduce a pochi anni
ma, soprattutto, la fase negoziale di definizione del progetto di
trasformazione occupa circa la metà del tempo. Chiaro indice di
evoluzione delle forme democratiche ma anche della democrazia se
andiamo a considerare il secondo aspetto che caratterizza tutti questi
piani complessi: il ruolo delle associazioni di categoria e quindi di quelle
ambientaliste.
La possibilità di inserirsi nel processo progettuale è stata estesa a
tutti i portatori di interessi diffusi a tutti coloro, cioè, che più o meno
rappresentano gli interessi di un gruppo di individui. Così in teoria
ognuno di noi potrebbe chiedere di essere ascoltato in qualsiasi
programma di trasformazione territoriale.
Certo la democrazia ha un suo peso e la partecipazione richiede
impegno, uno sforzo volontario di impegnare parte della propria giornata
ad interessarsi di quello che gli altri ci stanno predisponendo.
L'astensione referendaria indica che passata una prima sbornia
partecipativa, l'interesse collettivo sta diminuendo a favore di una
indifferenza o, peggio, di una strumentalizzazione.
17 Così la Sardegna sidivide in province che hanno un numero di abitanti pari a quello di un
isolato di un quartiere di Roma.
Perché aumenti di nuovo l’interesse verso la partecipazione delle
scelte le amministrazioni predispongono programmi di comunicazione
sempre più articolati e mirati. Anche le discipline cognitive cercano di
elaborare programmi di soft education a confine fra la comunicazione e
l'informazione strutturata.
18Ma se non si raggiungono i cuori delle persone, se queste non
scatenano emozioni (e-moveo), difficilmente potrà invertirsi la tendenza
all'apatia ed i linguaggi usati dagli amministratori facilitano l'aumento
della distanza con i cittadini.
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2. La percezione delle diversità
I venti forti non soffiano per tutta la mattina;
la pioggia battente non cade per tutto il giorno.
Non sono forse creati dal cielo e dalla terra?
Se la forza del cielo e della terra
Non può far durare l’attività violenta,
come puoi farlo tu?
....
Non conquistate il mondo con la forza,
perché la forza causa solo resistenza.
Spine spuntano al passaggio di un esercito.
Anni di miseria seguono una grande vittoria.
Fa solo quello che deve essere fatto,
senza ricorrere alla violenza.
....
(Lao-Tzu, dal Tao Tê Ching)
Se il termine sostenibilità non può essere compreso, e quindi
difficilmente accettato, a venti anni, vediamo come si mettono le cose
con il concetto di negoziazione.
La negoziazione è anche la capacità di far dialogare culture
differenti: l’arabo con il francese. Ma anche l’avvocato con l’ingegnere.
Una volta, appena laureata, dovevo realizzare un solaio in legno
massiccio con una doppia orditura di legname posta incrociata a novanta
gradi per ragioni sismiche. Mi recai con un geometra, amico di famiglia,
da un falegname e utilizzando l’italiano più semplice che avessi a
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disposizione gli spiegai come dovesse tagliarmi il legname. Dopo un
po’ uscii soddisfatta immaginando che il giorno dopo avrei cominciato a
costruire il solaio.
Fuori dall’officina il geometra mi disse: << pensi che abbia
capito?>>. Con la massima sicurezza possibile gli risposi che certamente
aveva capito perché il lavoro era estremamente semplice ed il falegname
aveva più volte annuito. <<Allora non ti dispiace se rientriamo e gli
chiediamo di ripetere le istruzioni che gli hai dato?>>, mi disse il
geometra.
La sfida mi sembrava inutile ma la accettai convinta di vincerla
in un secondo. Alla mia domanda gli occhi del falegname si persero nel
cielo e cominciarono a vagare cercando di cogliere le giuste parole
attraverso una ispirazione divina. Non aveva capito nulla. O meglio, non
ero stata in grado di comunicargli nulla di quello che intendevo fare.
Il geometra mi ha allora spiegato che il segreto era quello di farsi
ripetere sempre con proprie parole quello che si era detto e di utilizzare
linguaggi comuni con significati condivisi come quello dei disegni.
Anche quando tutto ti sembra semplice usa sempre il vocabolario
universale del disegno in grado di tradurre in ogni lingua le operazioni di
costruzioni. In effetti qualche anno più tardi mi sono trovata in un
cantiere ai Caraibi con manovalanza di immigrati indiani che parlavano
uno slung di difficile comprensione ed i disegni erano il solo mezzo per
raggiungere una comunicazione efficace.
In un recente saggio sulle traduzioni letterarie, Umberto Eco ha
definito la traduzione come una negoziazione fra i significati di due
lingue ad opera del traduttore. Proprio come la negoziazione operata dal
geometra tra me ed il falegname.
L'elaborazione di un l