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La supercasta dello spreco

di Fabrizio d'Esposito - 27/03/2008

Fonte: dagospia

LA SUPERCASTA DELLO SPRECO – BERNARDO IOVENE (“REPORT”) SVELA IL PREZZO DELLA POLITICA: 8 MILIARDI – FANNO UNA LEGGE PER REGOLARIZZARE GLI OPERAI E POI HANNO L’ASSISTENTE AL NERO – IL TRUCCO DEL RIMBORSEGGIO… 




«Non ci credi eh?». Risata amara. «Comunque hai scritto bene: diecimila commissari straordinari che costano un miliardo di euro all'anno». Bernardo Iovene ha cinquant'anni e fa il giornalista free-lance. Casertano di provincia, vive a Bologna e lavora per Report di Milena Gabanelli, la trasmissione di inchieste tv più famosa d'Italia, che va in onda su Raitre. Per Report, Iovene da anni spulcia i costi della politica. Carte alla mano, le cifre che dà fanno venire il mal di testa. Numeri da capogiro. Un lavoro certosino che nell'autunno dello scorso anno è finito anche in un libro con tanto di dvd: “Cara Politica” edito da Bur e Rai Trade e firmato da Gabanelli con Iovene, Giovanna Boursier e Sabrina Giannini . Il sottotitolo è: Come abbiamo toccato il fondo.

IL CONTO GENERALE. In virtù di tutto questo la prima domanda della conversazione con Iovene spaventerebbe chiunque: «Quanto costa la politica in Italia?». Pausa. Risposta: «Cominciamo: il personale politico tra Senato, Camera, province, regioni, comuni e altri enti arriva a quattro miliardi di euro. Per le consulenze a tutta la pubblica amministrazione, l'unico dato disponibile è quello relativo al 2004: poco più di un miliardo di euro. Un altro miliardo serve per pagare i commissari straordinari, che sono diecimila. La cosa incredibile è che i commissari dovrebbero sostituire la politica per risolvere i problemi, tipo i rifiuti a Napoli». Altra risata amara. Totale, sinora: sei miliardi di euro.

Ma la conta non è finita: «Poi ci sono i bilanci di Camera e Senato, di cui solo una parte è impiegata per pagare i parlamentari. Quello di Montecitorio, che risale all'anno scorso, è di un miliardo di euro. Quello di Palazzo Madama è la metà, relativa però al 2006: 527 milioni di euro. Infine ci sono i rimborsi elettorali; i finanziamenti alla stampa di partito, tra cui ci siete anche voi del Riformista, e i contributi ai gruppi parlamentari: un altro mezzo miliardo circa di euro».

Il totale definitivo, allora, è otto miliardi di euro, sedicimila in lire, cui però vanno sottratti 127 milioni di euro per i deputati e 65 per i senatori, ché altrimenti verrebbero contati due volte: sia nel personale politico (quattro miliardi di euro) sia nei bilanci del Parlamento (un miliardo e mezzo). Otto miliardi: una cifra che peraltro ricorre spesso nel capitolo sprechi dell'Italia. Tanto, infatti, è costata, secondo i calcoli della commissione bicamerale sui rifiuti, l'emergenza munnezza a Napoli in tutti questi anni. Ma questa è un'altra storia.

L'ESERCITO DELLA CASTA. In Italia ci sono venti regioni, centodieci province (di cui quindici di recentissima formazione), più di ottomila municipi, trecentocinquanta comunità montane e altrettante unioni di comuni, che sorgono tra i paesi più piccoli. Dice Iovene: «Il paradosso è che, se contiamo pure i deputati e i senatori, sul territorio si verifica un groviglio, una contrapposizione di competenze e la gente finisce per non avere punti di riferimenti. Nonostante ci sia sul campo un vero e proprio esercito». Altri numeri: 1.200 consiglieri regionali, 150mila amministratori comunali, 4mila quelli provinciali, 12.800 consiglieri delle comunità montane, 7mila quelli circoscrizionali. Falangi di personale politico.

Continua Iovene: «Anche a livello locale, essere eletti in un ente è considerato un punto d'arrivo perché il seggio è un posto di lavoro certo. A Palermo un presidente circoscrizionale guadagna 3mila euro al mese e ha anche l'auto blu. Un consigliere regionale, invece, percepisce 15mila lordi. Tieni presente che in alcune regioni, a partire dalla Campania, è stato anche aumentato il numero dei consiglieri. A me non piace fare demagogia contro la casta, però abbiamo riscontrato un sacco di anomalie. Ci sono spese non rendicontate, manca la trasparenza. Cambiare? Si può, ma è soprattutto un problema di ricambio della classe politica. Sono sempre gli stessi».

STAFF AL NERO. Sommati agli stipendi dei mille parlamentari (deputati più senatori), i compensi di questo esercito di amministratori arrivano a quattro miliardi di euro, che comprendono persino quindici milioni per i comitati di vigilanza Inps e Inpdap. Tuttavia, nonostante la vigilanza, il lavoro nero istituzionale non manca. Proprio così. Dice il giornalista di Report: «Un deputato, di base, guadagna 11mila lordi, quindi 5.500 netti. Considera pure che dopo le polemiche sui costi della politica, non è che i parlamentari si sono ridotti lo stipendio, hanno solo bloccato il meccanismo che li aumenta. Detto questo, un deputato prende anche 4mila euro come diaria, cioè per le spese di soggiorno, peraltro senza nessuna distinzione tra chi risiede a Roma e chi no, e altri 4.200 per i collaboratori.

Tutti questi rimborsi sono esentasse e ognuno si comporta come gli pare. C'è chi dà 500 euro in nero al mese al suo assistente e chi invece fa tutto da sé. In un'azienda privata, di norma, ti viene rimborsato ciò che spendi. In Parlamento non è così. Poi magari fanno una legge che ti obbliga a regolarizzare i tuoi operai mentre loro usufruiscono di collaboratori al nero». In teoria, potrebbero anche essere soldi spesi bene. Spiega Iovene: «A parte la mancanza di trasparenza, la gran parte dei politici mobilita gli staff anche per questioni di partito.

Ricordo l'ultima campagna elettorale per le europee del 2004. L'allora governo Berlusconi, compreso il premier, si candidò al completo per un mandato da europarlamentare che in partenza, era evidente, nessuno di loro sarebbe andato a ricoprire. Eppure per due mesi ministri come Alemanno o Gasparri hanno impegnato i loro uffici per la campagna elettorale. Io, per esempio, mi rivolsi al ministero dell'Agricoltura per avere dei dati sul vino e i collaboratori di Alemanno mi risposero che dovevo aspettare fino a dopo le elezioni. Tutto questo, sia chiaro, coi soldi nostri».


CONSULENTI D'ORO. Quando la politica e la burocrazia sono lente e inefficaci, purtroppo molto spesso, i rimedi sono due. La prima, la politica, viene sostituita con l'istituto del commissario straordinario. La seconda, la burocrazia, con l'ingaggio dei famigerati consulenti esterni. Risultato: altri due miliardi di euro, uno a testa per commissari e consulenti. Una sorta di mercato parallelo che quasi sempre alimenta clientele e assicura un posto ai candidati trombati alle varie elezioni.

Sostiene Iovene: «Secondo i dati forniti dal dipartimento della Funzione pubblica, dati che risalgono al 2004, i consulenti della pubblica amministrazione, a partire cioè dai comuni, sono 300mila. Ed è un dato per difetto, perché non tutti i comuni, benché obbligati a farlo per legge, hanno fornito le indicazioni sui consulenti esterni. Che cos'è il consulente? La legge prevede che quando tu hai riscontrato che all'interno del comune o della provincia o del ministero non hai il personale specializzato per questo o quel compito ti rivolgi all'esterno.

Solo che la Corte dei conti ha constatato che non avviene così e quasi tutte le nomine sono di natura elettoralistica, ossia un modo per accontentare chi ha sostenuto l'elezione di un candidato. Dopo i primi scandali Berlusconi ha tagliato le consulenze del 10 per cento. Ma chi ha fatto molto è stato Prodi, che è arrivato a un altro 20 per cento, risparmiando 43 milioni di euro in commissioni ministeriali».

Tra i comuni, il record negativo di consulenze tocca alla capitale del nord, considerata anche la capitale morale del paese: Milano. Spiega Iovene: «Subito dopo essere stata eletta, il sindaco Moratti, berlusconiana, ha nominato 91 consulenti esterni. La Corte dei conti ha appurato che molti di essi non hanno la laurea, come prevede la legge. Il costo di quest'operazione è di undici milioni di euro, mentre la Moratti rischia una sanzione di due. Si è scoperto che sono state assunte addirittura persone trombate elettoralmente in Calabria. Su un miliardo totale di euro spesi per i consulenti, più della metà va agli enti locali: 34 per cento ai comuni, 12 alle province e 2 alle regioni. Le storie strane sono tante: ai tempi di Berlusconi ogni ministero aveva voci cospicue di bilancio per consulenze mai specificate: per esempio, 13 milioni di euro solo per l'agricoltura».

IL RIMBORSEGGIO ELETTORALE. Nel 1993, ricorda infine Bernardo Iovene, al termine di questa lunga conversazione, «il 90 per cento di 31 milioni di italiani andati a votare per il referendum, si pronunciò a favore dell'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti». Tangentopoli era appena scoppiata, devastando la prima repubblica: «Da allora la politica si è sempre data da fare per aggirare quel voto popolare. La prima mossa fu fatta nel 1997 con la donazione volontaria del quattro per mille. Tu davi i soldi senza però scegliere il partito. Fu un fallimento.

Così nel 1999, un governo di centrosinistra varò il rimborseggio elettorale, come lo hanno chiamato i radicali, rinunciando alla donazione del quattro per mille. Lo schema era semplice: ogni elettore valeva 800 lire, poi i partiti si dividevano in modo proporzionale la torta». Con l'avvento del secondo Berlusconi, il meccanismo è destinato a una messa a punto supermiliardaria: grazie al tesoriere leghista Maurizio Balocchi, si passa a un euro a votante da moltiplicare però per tutte le varie tornate elettorali: «Un esponente della Margherita mi ha spiegato che in questo modo il contributo al suo partito è passato da cinque miliardi di lire annui a quaranta, cioè venti milioni di euro.

Non solo: è stata pure abbassata la soglia, in modo retroattivo, per accedere ai rimborsi: dal quattro per cento dei voti all'uno. Tutti soldi che in genere non servono per la campagna elettorale, ma per mantenere le strutture di partito. Il totale è duecento milioni di euro». Ecco perché numerosi partitini sono ancora presenti sulla scheda elettorale delle prossime politiche di aprile: il loro obiettivo non è il quorum per Camera o Senato, ma quello per il rimborseggio elettorale. Basta l'uno per cento, appunto.

da “Il Riformista”