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Lo sguardo di Giano. Attualità di Carl Schmitt?

di Franco Volpi - 31/05/2008

«È ora di smetterla con i toni tribunalizi», si lamentava già negli anni Settanta Hans Blumenberg in merito al caso Carl Schmitt. In seguito a quel lamento il rabbino Jacob Taubes cercò, e ottenne, il contatto personale con Schmitt. Nel vedere ancor oggi
il grande giurista attaccato da mediocri professori, lesti a emettere sentenze senza nemmeno una cognizione precisa della materia, viene alla mente una immagine: quella di cagnolini che, per sentirsi grandi, fanno pipì su una piramide.
Dopo la polemica sollevata dall'opuscolo di Yves Charles Zarka (Un dettaglio nazi nel pensiero di Carl Schmitt , il melangolo), sostenuto dallo storico della scienza Paolo Rossi improvvisatosi schmittologo, prende ora la parola Carlo Galli, il più autorevole studioso italiano dell'argomento, ristabilendo le proporzioni e mettendo in chiaro le cose. Nella sua magistrale silloge di studi Galli osserva, intanto, che il nazismo non è affatto un dettaglio nel pensiero di Schmitt, ma un elemento pesante della sua esperienza umana, politica e intellettuale. Sarebbe tuttavia un errore fatale assumerlo come «chiave esclusiva per comprendere il suo pensiero, antecedente e seguente la pur cospicua fase nazista»: bisogna tenere distinti la "dottrina" dal "pensiero" di Schmitt, il lato "ideologico" dall'efficacia "teorica" della sue analisi.
Già nella sua summa sull'opera schmittiana, Genealogia della politica (il Mulino), Galli aveva documentato tutta la capacità del controverso pensatore nell'attingere alla struttura profonda della modernità e nel capire il funzionamento di quella costruzione politica tipicamente moderna che è lo Stato. In questi saggi, Lo sguardo di Giano , egli approfondisce alcune intuizioni della teoria politica schmittiana che sono state recepite perfino a sinistra, determinando la sua vasta fortuna postuma. Tra queste c'è anzitutto l'idea che la forma dello Stato sia una compattazione della comunità politica relativamente recente, avvenuta soltanto in età moderna. In tal senso Schmitt ha dato un contributo essenziale alla relativizzazione storico-concettuale della nozione di Stato, alla ricostruzione della sua nascita e all'analisi della sua attuale crisi di legittimità, con la conseguente critica del parlamentarismo e dei limiti della rappresentanza tradizionale. Strettamente congiunta a ciò è l'ipotesi della "teologia politica", che Schmitt ha riportato in auge e ha sfruttato come chiave ermeneutica per spiegare la genesi dei concetti portanti della scienza politica moderna, procedenti dalla secolarizzazioni di altrettante categorie teologiche. Un'ipotesi, questa, che consente di capire anche perché lo Stato liberale moderno viva di presupposti che esso stesso non è in grado di garantire.
Nell'ultima sua grande opera, Il nomos della terra , con la diagnosi della crisi dello jus publicum Europeum Schmitt sollevava un lungimirante interrogativo: dopo la fine dell'ordinamento politico-giuridico continentale della vecchia Europa e l'entrata in scena degli Stati Uniti d'America, come è possibile un nuovo nomos su cui basare il governo del mondo? Per quanto attuale appaia la questione, Galli su questo punto si smarca da Schmitt: le categorie e i paradigmi concettuali da lui messi in campo rimangono vincolati alla modernità, e se applicati alla realtà politica attuale perdono il loro carattere stringente. Rispetto al mainstream liberale della politica moderna, effettivamente Schmitt risulta marginale. Certo, si tratta di una marginalità feconda perché apre uno sguardo alternativo sulle logiche politiche della modernità. Ma le nuove dinamiche della realtà globalizzata sembrano spiazzare il suo pensiero politico e consegnarlo all'inattualità.