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L'Irlanda ha fatto la cosa giusta

di Massimiliano Viviani - 16/06/2008

     

 

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Gli irlandesi hanno respinto con un referendum il Trattato europeo di Lisbona e messo così a rischio l'entrata in vigore del piano di riforma dell'Unione. I no hanno conquistato il 53,4% dei consensi contro il 46,6% dei sì, su un totale di circa il 42% degli aventi diritto.
L'Irlanda è stato l'unico Paese a discutere il Trattato mediante referendum. Gli altri Paesi l'hanno ratificato o lo ratificheranno per via parlamentare. Tutto questo è eloquente: rimettere una decisione di questo tipo al popolo rischia di essere un boomerang, perchè si sa che la popolazione di molti Paesi europei non ha un buon feeling con l'Unione: un paio di anni fa già Francia e Olanda avevano bocciato il trattato nello stesso modo. Meglio ratificarlo in parlamento, è più sicuro onde evitare il responso popolare.
Non solo, ma nel caso di una votazione di questa delicatezza, trattandosi di una modifica costituzionale una maggioranza del 50% più 1 in linea di principio non sarebbe neppure adeguata, come semplicemente ridicola è la partecipazione al voto di meno della metà degli elettori: insomma, per una decisione di questa portata ci vorrebbero cifre da plebiscito!
E invece gli europei puntualmente o disertano, o votano no. Ogni volta i sì arrivano con il contagocce. Ha voglia a dire Napolitano che chi vota in senso negativo dovrebbe uscire dal trattato e non invece bloccarlo: è vero politicamente, ma l'opinione della gente va in considerazione, non ignorato o tacciato sempre di essere retrogrado ed egoista. Altrimenti significa che viviamo in democrazia solo a parole (e difatti...).
Non stupisce infatti l'esito della votazione, oltretutto di uno dei Paesi più europeisti: qualcuno potrà chiamarlo un atto di paura di un'apertura a un'immigrazione indiscriminata dai Paesi dell'Est, di perdita di peso verso paesi più importanti, di venire in contatto con legislazioni più arretrate. Sarà pure tutto vero, ma viene da chiedersi in ogni caso a chi possa interessare un'Europa così se non ad affaristi e politici: è stata fatta da loro a propria  immagine, e tutto ciò che non fosse interesse e affare è stato ripetutamente escluso. Altro che citare il sogno europeo! Neppure le radici cristiane sono state inserite nel trattato... E qui non si tratta di una concessione al Vaticano: le radici culturali del cristianesimo, piacciano o meno, sono state -e in buona parte sono ancora - un denominatore comune per tutti, credenti e atei, progressisti e conservatori. Fanno parte della nostra identità, sono un fattore spirituale che ci unisce, un qualcosa che ci accomuna al di là e forse più della bramosia di denaro.
Un'Europa che mira solo all'incremento del Pil, che agisce come una succursale degli Stati Uniti, che punta a un indiscriminato allargamento verso Paesi che con la Storia europea non c'entrano nulla (vedi la Turchia), un'Europa così che senso ha per noi? Cosa ce ne facciamo di una politica estera comune se poi agiamo da perfetti leccapiedi dell'America e tacciamo chi la critica di essere fascista e retrogrado? A questo punto, forse sono meglio i vecchi nazionalismi.
Se il referendum lo avessero fatto nel Medioevo all'epoca dei crociati, avremmo forse ottenuto risultati migliori. Abbiamo perso un'occasione d'oro: potevamo avere l'Europa degli europei e invece saremo costretti a mandar giù quella degli affaristi. Un bel progresso.