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Astroarcheologia. Una scienza etica

di John Michell - 17/06/2008

Fonte: etadellacquario


pagine 184
Euro 16,50

Stukeley, Lockyer, Atkinson, Watkins, Thom: questi nomi dicono forse poco o
nulla, ma appartengono ad alcuni tra gli studiosi che più hanno contribuito,
dal ’700 fino a oggi, a svelare il mistero di Stonehenge e degli altri siti
megalitici delle isole britanniche. Scienziati romantici che hanno creduto
alla possibilità di un’astronomia antica, rovesciando con prove
difficoltosamente raccolte il facile paradigma della «splendida barbarie» in
cui, secondo la scienza ortodossa, vivevano le antiche popolazioni del Nord
Europa.

Grazie a loro, i misteriosi cromlech si sono rivelati rispecchiamenti in
terra del cielo, costruiti secondo precise corrispondenze astronomiche e
calendariali che per precisione non hanno nulla da invidiare ai calcoli
moderni. Non solo luoghi di culto, dunque, ma strumenti del sapere, sacri
orologi delle comunità che vivevano attorno a essi e prodigiose
testimonianze del genio umano. Gli stessi allineamenti ricorrono poi nei
templi egizi, nelle piramidi e infine anche nella gigantesca rete di linee,
centri e disegni che innervano le pianure del Sudamerica precolombiano.

In questo volume Michell schiude per noi la suggestiva prospettiva di coloro
che seppero guardare al passato senza infondati pregiudizi (mentre l’archeologia
cadeva sotto il dominio della tecnologia) e che per primi decifrarono il
libro di pietra a cui i nostri progenitori avevano affidato la loro sublime
sapienza.

l'autore
John Michell è uno studioso di scienza, numerologia e storia delle
religioni. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo Twelve Tribe Nations
and the Science of Enchanting the Landscape e The New View over Atlantis. Le
Edizioni L’Età dell’Acquario hanno pubblicato, nel 2006, Il segreto del
Tempio di Gerusalemme.
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dal libro

Sir Norman Lockyer in Egitto

Lo sviluppo scientifico dell’astroarcheologia all’inizio del ’900 venne
ispirato da un uomo, sir J. Norman Lockyer, eminente astronomo e scienziato,
fondatore e per ben cinquant’anni curatore della rivista «Magazine», nonché,
fra i tanti successi colti in una lunga carriera, accreditato anche della
scoperta dell’elio.

Nel marzo del 1890 Lockyer, all’epoca cinquantatreenne, nel corso di una
vacanza in Grecia, venne colpito nel constatare il diverso orientamento fra
il vecchio e il nuovo Partenone e dai cambi di direzione degli assi di
allineamento di altri templi, come per esempio quello di Eleusi. Avendo in
testa il concetto tradizionale che le chiese venivano orientate nella
direzione del sorgere del sole nel giorno festivo dedicato al santo patrono
dell’edificio, immaginò che la stessa cosa potesse valere per i templi dei
greci e degli egizi. Per verificare questo presupposto raggiunse l’Egitto,
dove si fermò dal novembre del 1890 al marzo dell’anno successivo, quando
rientrò in Inghilterra allo scopo di opporsi nel nome della scienza al
trasferimento della Tate Gallery in Exhibition Road, pronto a tornare in
Egitto a dicembre, a missione compiuta.
Le sue ricerche evidenziarono che gli antichi templi egizi erano rivolti in
direzione del sorgere e del tramontare di certi corpi celesti in determinati
momenti dell’anno. Per esempio, il tempio di Amon-Ra a Karnak, «le più
maestose rovine archeologiche del mondo», presentava un asse di allineamento
lungo 458 m, orientato a nord-ovest e inclinato di 26° verso il tramonto del
solstizio d’estate. Nelle sue osservazioni, Lockyer annotò che in questo
particolare giorno dell’anno 1891 soltanto la parte destra del sole calante
risultava visibile. Calcolando il rateo di cambiamento nell’inclinazione
dell’ellittica, Lockyer scoprì che solo nel 3700 a.C. gli ultimi raggi del
sole calante, interamente visibile, avrebbero potuto penetrare nel santuario
interno posto al termine del lungo asse di allineamento – santuario,
inoltre, i cui ingressi via via sempre più stretti gli fecero venire in
mente il diaframma di un telescopio.
Altri templi risultavano allineati con determinate stelle al loro sorgere o
tramontare ai poli nord e sud nel corso della notte, così da essere
utilizzate come «stelle orologio» per segnare il tempo, oppure, nel caso di
quelle eliacali, esattamente un’ora prima dell’alba dei giorni di festa,
annunciando il levare del sole con la conseguente attivazione dei riti
preliminari. Per esempio, si scoprì che ben sette templi puntavano verso la
stella Sirio, quella stella che si affaccia all’orizzonte appena prima dell’alba
nel giorno del solstizio d’estate, evento che coincideva con la piena del
Nilo e con l’inizio del nuovo anno egizio.
All’obiezione che con così tante stelle in cielo non era affatto
sorprendente riscontrare in terra dei templi rivolti verso l’una o l’altra
di esse, Lockyer risposte di aver trovato soltanto otto stelle indicate dai
templi egizi e che corrispondevano sempre alle divinità menzionate nelle
iscrizioni del tempio stesso. Gli egizi riconoscevano un numero limitato di
divinità, ma ciascuna di esse era venerata sotto molteplici aspetti e nomi.
Stando a Plutarco, per esempio, Hathor era Iside e nel suo tempio di
Denderah a lei è dedicata l’iscrizione: «Iside risplende nel tempio del
Nuovo Anno a lei consacrato e all’orizzonte unisce la sua radiosità a quella
del padre Ra». Ra è il sole e Iside, in questo caso sotto il nome di Sothis,
è la stella Sirio. Lockyer calcolò che nel 700 a.C. la stella Sirio si era
levata in perfetto allineamento lungo l’asse del tempio di Iside,
concordando con la datazione attribuita al tempio dagli archeologi, e
sorgendo aveva accompagnato il nascere del sole, provando che l’antica
iscrizione si riferiva a un autentico evento astronomico. Quando Lockyer
aveva dato inizio alle sue ricerche, non sapeva nulla in merito alle
iscrizioni che parlano della nascita del tempio e descrive la cerimonia
della fondazione: veniva tracciata una lunga linea retta dal centro
tellurico del santuario verso un corpo celeste visibile all’orizzonte, che
rappresentava la divinità tutelare. In parecchi casi, e in particolare a
Denderah ed Efdu, Lockyer fu in grado di riconoscere la stella in questione
e così, risalendo al momento in qui quel certo corpo celeste si trovava
allineato con l’asse del tempio, di stabilire la data della fondazione.
All’inizio del 1893 Lockyer tornò in Egitto, dove venne messo al corrente
dei risultati delle osservazioni astronomiche eseguite presso i templi dal
capitano H.G. Lyons (già direttore del Museo delle Scienze), incaricato dal
ministro dei Lavori Pubblici egiziano di collaborare alle ricerche di
Lockyer. Grazie anche a questi dati, Lockyer redasse il libro The Dawn of
Astronomy, pubblicato nel gennaio del 1894. Venne accolto con reazioni
contrastanti; i suoi calcoli furono oggetto di molte contestazioni, mentre
gli archeologi sollevarono contro le sue tesi una violenta opposizione. Da
parte sua Lockyer si limitò a controbattere pacatamente che sarebbe stato
bello se gli archeologi conoscessero anche un po’ di astronomia.

Stonehenge

Mentre Lockyer si occupava dei templi egizi, il suo amico F.C. Penrose,
astronomo e archeologo, faceva lo stesso in Grecia. Dal momento che per la
maggior parte di essi era nota la data di fondazione, il suo lavoro apparve
sin da subito più semplice ed egli fu in grado di dimostrare che i templi
greci, al pari di quelli egizi, erano stati eretti con osservando le stelle
che sorgevano eliacalmente per annunciare l’alba dei giorni di festa. In
certi gironi precisi, i primi raggi del sole nascente illuminavano la statua
del dio o l’altare collocato nell’aditum del tempio. Il testo della ben
documentata ricerca di Penrose venne presentato nel febbraio del 1892 presso
la Society of Antiquaries.
Nel 1901 Lockyer e Penrose rivolsero la loro attenzione al sito di
Stonehenge. Fra tutti i monumenti megalitici britannici questo possedeva
infatti il più evidente risvolto astronomico, soprattutto per via del fatto
ben noto che sorgendo nel solstizio d’estate il sole si allineava lungo l’asse
del monumento che seguiva lungo la strada, mentre al solstizio d’inverno
calava esattamente nella posizione opposta; questi due eventi erano visibili
dal centro del tempio attraverso lo stretto portale in pietra. Ma c’era una
grossa difficoltà, poiché tutte e tre le tre coppie di pietre, tranne una,
che definivano l’asse di allineamento – la linea centrale che si allungava
nella strada attraverso il tempio – non si stagliavano più nella loro
collocazione originaria, cosa che rendeva ardua una datazione corretta.
Secondo le misurazioni effettuate da Lockyer, l’azimut assiale dell’insieme
(il numero dei gradi che caratterizza lo spostamento verso est dell’asse
rispetto al nord) risultava molto vicino a quello della linea immaginaria
che da Stonehenge scendeva lungo la strada fino a toccare un punto di
riferimento appositamente collocato a Sidbury Hill per ordinanza municipale.
La stessa linea proseguiva nella direzione opposta di sud-ovest verso un
terrapieno in località Grovely Castle, a circa 12 km di distanza. L’azimut
di questa linea era di 49° 34’ 18’’, e assumendo questa indicazione come
approssimativamente valida per l’asse di Stonehenge, Lockyer dedusse che la
sua fondazione doveva risalire al 1680 a.C., che tenendo conto dell’incertezza
relativa del dato comportava un margine di errore di circa 200 anni. Più
tardi si scoprì che le tavole astrali di cui Lockyer si era servito per
calcolare la variazione dell’inclinazione dell’ellittica erano imprecise e
la sua stima venne così riportata al 1820 a.C., mantenendo un margine d’errore
di circa 200 anni. Questa corrisponde perfettamente a recenti test di
datazione al radio carbonio effettuati a Stonehenge. Lockyer e Penerose
presentarono gli esiti delle loro speculazioni in una memoria inoltrata alla
Royal Society nell’ottobre del 1901.
L’anno successivo, in qualità di presidente della British Association,
Lockyer ebbe molto più tempo da dedicare alla ricerca archeologica, tanto
che riuscì a sintetizzare gli ulteriori risultati conseguiti nell’analisi
dei siti megalitici della Gran Bretagna in una nuova opera, Stonehenge and
Other British Monuments Astronomically Considered, pubblicata nell’estate
del 1906. La seconda edizione, uscita solo tre anni dopo, era ampliata con
ulteriori prove delle relazioni geografiche fra i vari monumenti che Lockyer
interpretava astronomicamente. La conclusione alla quale era arrivato
sosteneva che i siti più antichi furono eretti per fissare il sorgere e il
calare del sole o il transito di alcune stelle «annunciatrici», che
anticipavano l’apparire dell’astro nel primo giorno di ogni trimestre dell’anno
basato sul mese di maggio. Si trattava dei giorni in cui venivano celebrate
le feste principali dell’antico calendario celtico che Lockyer riteneva di
aver ereditato dai costruttori megalitici, appuntamenti che cadevano nei
quattro giorni dell’anno a metà strada fra un equinozio e un solstizio,
ossia a maggio, agosto, novembre e febbraio. Altre pietre erano state
collocate per segnare le «stelle orologio», quelle che venivano osservate
per valutare l’ora della notte. Nel sito di Stonehenge, Lockyer scoprì che
il tramonto del sole nella prima settimana di maggio e l’alba nella prima di
novembre erano indicati dalle due pietre stazionarie osservabili dal centro
del complesso. Stabilito che queste pietre risalivano alla parte più antica
della costruzione, Lockyer concluse che in origine Stonehenge era stato
realizzato nel contesto di un calendario maggio-novembre e solo in un
secondo momento riconvertito a tempio solstiziale. A partire dal 1600 a.C. l’osservazione
del sole ai solstizi era diventata pratica comune, mentre gli antichi
riferimenti che facevano capo al calendario maggio-novembre non venivano più
considerati.
Malgrado i numerosi difetti, le non poche inesattezze, le deduzioni un po’
azzardate e lo stile monotono e piatto, Stonehenge si pone come un vero e
proprio nobile monumento all’erudizione anche un po’ visionaria di Lockyer.
La seconda edizione dell’opera venne pubblicata quando l’autore era ormai un
settantaduenne al termine di un’illustre carriera professionale nel campo
scientifico e amministrativo. Ciononostante, Lockyer era ancora un uomo
pieno di energia. Praticamente da solo era riuscito a dare corpo e a
sviluppare la nuova scienza dell’astroarcheologia, spalancando una visione
completamente nuova sulla civiltà preistorica, contraddicendo le principali
convinzioni di fondo dell’archeologia del suo tempo. Questo ardire non gli
venne mai perdonato dagli archeologi professionisti, né gli venne mai dato
merito sufficiente per la profondità e l’originalità della sua ricerca e per
il coraggio che ebbe nel perseguirla con tanta convinzione.
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Lockyer fu il primo scienziato ad avviare uno studio sistematico dell’astronomia
antica attraverso i monumenti,
e la moderna astroarcheologia non può davvero fare a meno di riconoscerlo
suo padre fondatore.
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indice dell’opera

5 Introduzione

PARTE PRIMA
13 Un’idea in fasce
27 Sir Norman Lockyer in Egitto
33 Stonehenge
41 Contemporanei e seguaci di Lockyer
59 Le obiezioni contro Lockyer
67 La rete degli antichi tracciati rettilinei
79 Il «nazionalismo preistorico», ovvero
la singolare storia dell’astroarcheologia in Germania
91 Stonehenge decodificato
99 Alexander Thom e la rinascita moderna
dell'astroarcheologia
109 Linee attraverso il paesaggio
121 Approcci mistici

PARTE SECONDA
129 Luce solare, ombre e raggi di luna
139 Linee e allineamenti in Sud America
155 Conclusioni.
L’astroarcheologia: una parente stretta della geomanzia.

169 Bibliografia
173 Riferimenti iconografici