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E adesso, che cosa vi resta da rubarci?

di Stefano Montanari - 18/06/2008

       
 

 L’ho già detto in tante occasioni, e l’ho detto perfino in quella caciara invereconda che è il programma chic di Vespa inteso non come insetto, nei pochi nanosecondi che il Non Zoologicamente Insetto non è riuscito a dedicare ad un mio presunto litigio con un noto comico o ad altre trivialità: io sono stato allevato in un ambiente che era passato spiritualmente da una sinistra antifascista militante al liberalismo.

Berlino, Budapest e Praga erano state le prove provate esibite a carico di un comunismo che, come spesso, se non sempre, avviene di  conseguenza alle rivoluzioni, si era trasformato in null’altro che un veicolo pretestuoso per privilegiare una casta a discapito di milioni di cellule schiave. Non parlo di filosofia né la giudico: parlo di fatti.

Dunque, di fronte all’evidenza, si passava “dall’altra parte”.

Ma oggi? Ambedue tese idealmente a scalare la montagna del benessere e della giustizia, una scalata da versanti opposti ma tesa alla vetta, unica, di quella fetta di felicità che la vita dell’Uomo può sperare di concedersi, chi riuscirebbe ora a trovare una traccia davvero collegabile ad una di quelle due dottrine politico-filosofiche?

Crollati in modo più o meno traumatico alcuni dei regimi comunisti, tutti obiettivamente dittatoriali, altri ne restano in piedi e qualcuno addirittura è in fase embrionale avanzata. E, quasi a fare da contrappeso, contrario ma uguale come ogni contrappeso non può che essere, prospera altrove una dittatura diversa, altrettanto ipocrita e altrettanto crudele. E le due dittature, in un nodo inestricabile e spesso indecifrabile, si aggomitolano e s’intrecciano l’una con l’altra fino a fondersi e a diventare indistinguibili.

La differenza immediata

si può forse trovare nel brodo di cultura in cui questi due modi di “governare” - e le virgolette sono d’obbligo - trovano terreno: l’una, il comunismo, alligna dove la povertà è generale e la dottrina promette almeno di campare; l’altra, il liberalismo, si trova dove c’è ricchezza e se ne desidera di più. In ambedue i casi nasce quasi per germinazione inevitabile e spontanea una casta, per dirla con Orwell, di “più uguali”. I mezzi d’informazione si comprano o, più sbrigativamente, s’imbavagliano con una violenza più o meno mascherata. Pragmaticamente le due cose non fanno differenza perché l’importante è che l’informazione possa arrivare opportunamente manipolata o non arrivi affatto, a seconda di ciò che fa più comodo nell’occasione.

Si crea in questo modo artificialmente una sorta di consensus gentium, una raccolta di credenze che diventano vere per il semplice motivo che le credono in tanti, tanti che devono diventare tutti per contagio, e questo senza il conforto di alcuna prova ma solo perché le credenze nascono già spacciate per scontate e chi non ci crede non ha dignità di attenzione né, tanto meno, può ambire ad avere voce in capitolo. Pare, e se la notizia che mi arriva è vera siamo davvero alla fine, che trecento psicologi saranno inviati a Napoli per rincretinire la gente e dare loro la mazzata della misericordia. Così, in questa sorta di anestesia mediatica, piano piano ognuno di noi si ritrova disteso in stato d’incoscienza o d’inebetimento e in balìa di chirurghi come quelli di certe cliniche che amputano di volta in volta il pezzetto di corpo che in quel momento rende di più.

Se qualcuno ha voglia di dedicare otto minuti e mezzo della sua vita a questo filmato (http://it.youtube.com/watch?v=LBBhHyg5saQ), lo faccia.

La Bolivia è dall’altra parte del mondo, Cochabamba è una città di cui molti qui da noi ignorano la stessa esistenza, e le cose che si vedono sembrano quelle di un qualunque film di propaganda cui siamo stati addestrati a non credere.

Ma davvero Cochabamba è così lontana? Magari qualcuno, qualcuno cui l’anestesia propinata a casa nostra tardi a fare effetto o non faccia effetto per niente, si sta accorgendo che la democrazia ce la stanno rubando ogni giorno e che non solo quei timonieri che così scriteriatamente ci siamo voluti ci sottraggono quotidianamente un pezzetto di anima ma ci rapinano anche di quanto è essenziale per il corpo, per la vita biologica stessa. Insieme con la libertà scompaiono persino l’acqua e l’aria, ambedue vendute da chi se n’è appropriato senza averne titolo, immoralmente, e vendute a chi offre di più, ambedue sempre più avvelenate. E con loro scompare ciò che da acqua e aria dipende: la vita vegetale e tutto quanto sta alla base della catena alimentare, quella catena di cui noi uomini siamo l’anello estremo e sul quale arriva inesorabilmente ogni ripercussione. Così, tanto per non fare che un paio d’esempi, il latte è sempre più arricchito di diossina di casta e il cibo in generale è pieno di polveri ignorate dalla legge. Si potrebbe continuare quasi all’infinito a compilare cahiers de doléances, lamentandosi come qualunque vecchietto all’osteria.

Se siamo ancora capaci di usare il cervello non intorpidito e di vedere con qualche obiettività la situazione, ci lamentiamo fino a diventare ossessivi e siamo terrorizzati dal fatto di vedere con chiarezza il muro contro cui chi ci pilota si avvia a schiantarsi con tutto il suo carico, noi, a bordo, ma siamo proprio sicuri di non avere qualche responsabilità anche noi? Siamo proprio sicuri che tutto questo sia ineluttabile come per volere divino?

Intanto, guardatevi quel filmato prima che a qualcuno venga in mente di punire con cinque anni di galera chi è pizzicato a possederne una copia.