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C'è un grande futuro per le guerre del mare

di Giuseppe Zaccagni - 18/06/2008

Nell’arena mondiale ci sono oggi 13 paesi che puntano ad allargare i loro confini basandosi sulla piattaforma continentale. Sono Russia, Brasile, Australia, Irlanda, Francia, Spagna, Inghilterra, Norvegia, Messico, Barbados, Argentina, Cile, Nuova Zelanda. E’ in arrivo, quindi, una nuova rivoluzione destinata a ridisegnare geopoliticamente il mondo e tutto avviene anche per effetto di una convenzione dell’Onu sui diritti del mare. Procediamo con ordine cercando di vedere i motivi che potrebbero provocare tsunami diplomaticamente epocali. L’intera vicenda non è nuova pur se c’è il tentativo di riscoprire il valore di vecchie regole. Ci si potrà riferire così anche allo zar russo - Pietro Il Grande - che aveva come obiettivo quello di conquistare uno sbocco al mare assicurandosi il predominio sul Baltico e sulla regione del Mar Nero.

Ma sicuramente, nei suoi piani c’era anche quello di spostare i confini russi nei vari oceani. Obiettivi che hanno poi trovato una serie di ideologi che hanno contribuito a fornire strumenti geopolitici validi per attuare le mire delle varie nazioni. Il richiamo d’obbligo, qui, è ad Halford Mackinder e a Nicholas Spikeman. Scienziati e studiosi del lontano 1800 che - fondando molte teorie geopolitiche - hanno poi trovato adepti in personaggi come Brzezinski e Kissinger impegnati sul fronte di un dominio globale del mondo da parte delle grandi potenze occidentali sempre pronte a sconvolgere gli assetti politici.

Mckinder, comunque, è all’origine di tutto questo. E’ stato lui - geografo di prestigio - a parlare di “heartland” e cioè del cuore della terra sostenendo che chi la controlla - il suo cuore eurasiatico - è in grado poi di comandare l’“Isola-mondo”. Toccò poi al suo “collega” Nicholas Spykman rivisitare le idee di Mackinder aggiungendo all’“heartland” la definizione di “rimland”, ossia le "terre sul bordo", quelle del blocco eurasiatico. Il controllo di queste – sosteneva - avrebbe permesso il dominio dell'intera Eurasia. E questa teoria fu alla base del "contenimento" americano all'espansionismo sovietico. E le prove in merito sono numerose…

Da allora è lotta per trovare le giustificazioni più impensate al fine di ottenere un dominio globale. E i mari, in tal senso, sono divenuti “arena” di scontro per i tanti paesi ansiosi di porre i loro paletti divisori anche tra le acque incuranti delle eventuali tensioni esplosive che si potrebbero registrare. Ed ecco scendere in mare la Russia dei tempi di Putin. Con gli scienziati mobilitati dal Cremlino che si impegnano nel sostenere che la struttura geologica del Polo è identica a quella della piattaforma continentale siberiana. Una tesi, questa, che porta Mosca a pretendere nuove aree e nuovi possibili giacimenti minerari sottomarini. Tutto nel nome della espansione della Russia. E questo anche in conseguenza del fatto che dai primi risultati delle analisi effettuate sui campioni prelevati dal fondo dell’Oceano polare artico risulta che i fondali polari avrebbero la stessa struttura della piattaforma continentale siberiana.

Di conseguenza Mosca sostiene che la struttura geologica del Polo è identica a quella della regione russa che vi si affaccia. Risultati questi che trovano conforto nelle riprese fototelevisive effettuate dalla nave scientifica “Akademik Fedorov” presentate alla Commissione dell’Onu sulle frontiere della piattaforma continentale di cui, appunto, fanno parte 21 paesi fra cui la Russia.

La parola è poi passata agli oceanologi i quali hanno fatto rilevare (rivolgendosi agli scienziati di tutto il mondo) che i primi materiali circa l’appartenenza alla Russia di questa piattaforma - al di là della zona di 200 miglia marine - furono presentati nel 2001, ma allora furono ritenuti insufficienti, per cui sarebbe stato necessario organizzare nuove spedizioni. E l’ultima si è svolta lo scorso anno quando per la prima volta nella storia due batiscafi russi hanno toccato il fondo dell’oceano ad una profondità di 4 mila metri.

Sull’intera vicenda interviene un grande esperto di diritto della navigazione: Anatolij Kolodkin. E’ lui che precisa che la Russia non ha nessuna intenzione di impadronirsi dei territori altrui e che, di conseguenza, la piattaforma continentale non appartiene a nessun paese e i paesi limitrofi possono soltanto godere del diritto di prospezione e dello sfruttamento geologico. Ma mai una annessione. La Russia, pertanto, intende soltanto difendere i propri interessi economici e geopolitici proprio in una regione le cui riserve di idrocarburi sarebbero la metà di quelle accertate nel mondo.

E questo non vuol dire che vi siano piani di espansione per il controllo delle acque. Vuol dire solo che se la piattaforma continentale si prolunga il paese costiero ha pur sempre qualche diritto nelle operazioni di ricerca e di estrazione di eventuali risorse energetiche. E qui troviamo molti studiosi che sostengono come nel conflitto planetario tra il “Mare” e la “Terra” - intese come categorie geopolitiche - il possesso dell’heartland assicurerebbe il controllo dell’Eurasia, quindi dell’Isola Mondo, quindi del mondo intero.

Si potrebbe ad esempio fare riferimento alle recenti invasioni americane in Afghanistan e in Iraq, con minacce all’Iran e alla Corea del Nord e agli avamposti nel Caucaso (Georgia) e delle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale. Aree tutte che rivelano il tentativo di penetrare quanto più possibile all’interno della massa continentale, verso l’heartland appunto: mirando da una parte al “ventre molle” della Russia e alle spalle “terrestri” della Cina, il cui baricentro politico e demografico è tutto spostato a oriente, verso il mare e le cui retrovie terrestri sono abitate in buona parte da popolazioni non-cinesi (Uiguri, Tibetani, Mongoli).

Il discorso si fa complesso ed entrano in campo questioni di geopolitica che la Russia di Medvedev, ad esempio, dovrà affrontare in un futuro sempre più vicino. Intanto Putin ha già posto i primi paletti. Perché prima di lasciare la poltrona presidenziale ha ricordato a tutti che sulla base dei risultati ottenuti in seguito alla immersione dei due batiscafi russi pilotati - avvenuta il 2 agosto 2007 fino alla profondità di 4300 metri - è appurata la continuazione della piattaforma continentale a favore del territorio russo.

Sulla base di queste “rilevazioni” è ora più che mai chiaro che i russi saranno in grado di iniziare la trivellazione della piattaforma continentale alla ricerca di gas e petrolio. Tale previsione è stata avanzata dal direttore generale della società di navigazione di Murmansk che ha già annunciato l’esistenza di un piano concreto di lavori in questa direzione. E si dice che verrebbe trasformato in piattaforma di trivellazione un rompighiaccio atomico oggi adibito ad operazioni di trasporto. Questo impianto sarebbe in grado di funzionare tutto l’anno ad una profondità di alcuni chilometri.

Immediate, intanto, proteste e reazioni in varie parti del mondo. Con la Russia accusata di aver organizzato un’iniziativa mediatica. Il Sunday Times, ad esempio, sostiene che se la Russia dovesse ricevere l’Artico il mondo andrebbe incontro a nuove catastrofi ecologiche. Il giornale, in proposito, sostiene che “ la Russia - che più di ogni altro paese al mondo ha danneggiato l’ambiente - adesso vuole finanche la piattaforma polare”. Si annunciano “guerre” a colpi di decisioni scientifiche e di spedizioni. Tutto basato sul fatto che entro il maggio del 2009 cinquanta paesi - tra i 155 che hanno ratificato la Convenzione dell’Onu sui diritti del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea, il trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani) - potranno far sentire la loro voce ponendo il problema della “proprietà” di fondali a patto che dimostrino che questi sono la prosecuzione della loro piattaforma continentale.

Si prevedono, in merito, parametri validi fino a 200 miglia dalla costa. Ma non mancheranno contenziosi, litigi e scontri. Perché in gioco ci sono risorse naturali come petrolio, gas, minerali. Si annuncia, di conseguenza, uno scontro epocale tra Eurasia e America, fra Terra e Mare. Una nuova corsa all’oro con la partecipazione di paesi che avanzano diritti di proprietà sui fondali sottomarini.