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L'ultima idiozia, il dark tourism

di Bianca Cerri - 19/06/2008

Disaster Tourism: in breve, fare un viaggio verso i luoghi delle catastrofi e delle miseria per osservare il dolore (degli altri) senza esserne sfiorati. Ci sono agenzie di viaggio specializzate che organizzano tours all-inclusive per turisti desiderosi di vedere da vicino come sono fatti gli ultimi della terra. L’offerta è molto variegata: si va dalle favelas di Rio de Janeiro alle bidonville indiane ma c’è anche la possibilità di scalare le montagne del Tibet alla ricerca di tombe a cielo aperto o perlustrare i sacrari militari negli Stati Uniti. C’è chi ha dovuto attendere per anni per scalare il plateau tibetano alla ricerca di corpi in decomposizione. Negli anni ’80 infatti i monaci buddisti con carovane di turisti al seguito che s’inerpicavano fino alla cima dell’altopiano venivano presi a sassate dai parenti dei defunti che non volevano intrusi nel loro dolore. Alla fine il governo cinese era stato costretto a vietare le escursioni nelle zone delle tombe dove la situazione minacciava di degenerare.

Oggi i turisti hanno di nuovo la possibilità di salire sull’altopiano e persino fotografare i cadaveri incontrati strada previa concessione di un permesso che viene rilasciato dalle agenzie di viaggio di Lasha. L’unico inconveniente è che non si possono indossare abiti di colore rosso o giallo perché pare che attirino gli avvoltoi che svolazzano numerosi alla ricerca di resti umani di cui cibarsi.

Altre mete orientali del “dark-tourism” sono i luoghi devastati dallo tsunami che nel 2004 fece duecentomila vittime e le baraccopoli di Dharavi, dove almeno un milione di esseri umani vivono in condizioni di degrado inimmaginabile. Una full-immersion nella miseria, almeno secondo le riviste specializzate, permette di rendersi conto da vicino che i poveri non sono pigri come si dice, solo sfortunati. La Reality Tours Travel conduce gli escursionisti nei meandri più inesplorati della baraccopoli su pullman gran turismo dotati di aria condizionata dai quali è possibile fotografare i mucchi di rifiuti che assediano le case e i topi che scorazzano liberi.

Volendo si può scendere a terra per registrare anche i suoni e gli odori del degrado ma le guide avvertono che è meglio non avvicinarsi troppo alle case. Parte dell’escursione è dedicata alla strada dove i bambini dormono sul marciapiede. La guida spiega che si tratta di bambini senza famiglia che sopravvivono elemosinando. Il poverty-tour dura mezza giornata e costa circa cinquanta dollari, più o meno la somma con cui una famiglia residente nella baraccopoli di Dharavi vive per un intero mese.

Alcuni operatori del turismo estremo speravano che il 2008 sarebbe stato l’anno giusto per fare delle isole Andamane la quintessenza del settore ma gli abitanti, che non gradiscono la presenza occidentale, li hanno messi in fuga con arco e frecce. Continuano invece a tirare bene Brasile e Argentina. La Favela Tour, sede a Rio de Janeiro, preleva i turisti dagli hotel della città alle nove del mattino e li porta a visitare la zona delle favelas con le sue strade infestate di ratti morti.

Il tour prevede un giro a piedi tra le baracche e una sosta in una scuola dove i ragazzi assistono alle lezioni seduti sul pavimento visto che i banchi non esistono. Più o meno le stesse cose che i turisti della povertà vedranno a Villa Miseria, quartiere di Buenos Aires dove però gli abitanti mal tollerano di essere fotografati come animali allo zoo dai turisti in bermuda e spesso reagiscono insultandoli.

Non sempre è necessario sorbirsi ore ed ore di volo per vedere da vicino come vivono i poveri, anche l’Europa pullula di esseri umani costretti a sopravvivere in condizioni che nulla hanno da invidiare a quelle dei paria indiani o degli africani vittime delle carestie. Da qualche tempo, le agenzie di viaggio olandesi organizzano poverty-tours nei sobborghi di Rotterdam, dove le tendopoli fatiscenti ospitano quegli immigrati che tutti chiamano clandestini prima ancora che abbiano toccato il suolo di un qualunque paese. Non c’è guida, i turisti devono riuscire a cavarsela con l’aiuto di una mappa della zona. Quarantacinque euro a persona ma la mappa si paga a parte.

Dopo l’11 settembre, anche gli Stati Uniti sono diventati una delle mete preferite dei turisti del disastro. Un tempo, chi veniva a New York preferiva visitare l’Empire State Building o la Statua della Libertà, oggi si deve fare la fila per salire sui torpedoni a due piani che portano a Ground Zero. I carrettini dei venditori di souvenirs e dei gelatai ambulanti hanno sostituito le macerie fumanti ma c’è sempre chi versa qualche lacrima per i caduti dell’11 settembre. La scultura di luce che simulerà le due Torri come se fossero ancora al loro posto sarà pronta solo tra un anno, per ora l’unica attrazione è una mostra fotografica permanente con le immagini della tragedia. Presto ci sarà però anche un muro di marmo con i nomi delle tremila vittime e il governo americano spera che aiuti a ricordare al mondo che gli Stati Uniti sono ancora sotto il costante pericolo di un attacco terrorista.

Un’altra località molto frequentata dagli amanti dei disaster-tours è il cimitero militare di Arlington, seguito a ruota dal campo di battaglia di Gettysburg, in Pennsylvania, punto cruciale della Guerra Civile. Come accade con tutte le guerre l’epilogo fu tragico: migliaia di morti da entrambe le parti. Oggi i turisti che hanno voglia di rivivere quei momenti possono indossare una divisa dell’epoca e cimentarsi in giochi di ruolo nello stesso luogo dove tanti anni fa si scontrarono gli eserciti veri per soli dieci dollari. La serata si passa girando per i casino che si trovano proprio al centro del campo di battaglia dove i saloni pullulano di prostitute alla ricerca di uomini soli desiderosi di celebrare le gioie della carne.

Un rapporto dell’Accademia di Medicina rivela che gli Stati Uniti attraggono come una calamita anche gli amanti della forma più estrema di turismo dark: il suicide-tourism. Proprio New York, con la sua atmosfera rutilante, agirebbe come catalizzatore sulle menti dei depressi spingendoli a viaggiare allo scopo di mettere fine ai propri giorni dove la vita ferve. Questo ha costretto molti alberghi e alcune università a mettere delle grate di ferro alle finestre per impedire il verificarsi di altri drammi. Ponti ed edifici turistici sono monitorati costantemente e una rete circonda la terrazza dell’Empire State Building dove negli ultimi 15 anni ben 407 persone si sono buttate giù. Un buontempone ha voluto dare a suo modo un consiglio agli aspiranti suicidi appendendo alla rete un cartello che dice: “Prima di saltare pensaci, se lo fai risparmi i soldi del biglietto per tornare a casa ma a metà strada potresti cambiare idea…”.