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L'antislamismo in Europa

di Enrico Galoppini - 20/06/2008





Vista la tendenza dei media a creare notevole confusione su quel che concerne i rapporti tra l’Islam e l’Occidente al fine di far accettare l’ormai famoso teorema dello “Scontro di civiltà” imposto da chi sta scatenando una guerra dopo l’altra (e non accenna a fermarsi), per discutere in maniera più approfondita di tutto questo abbiamo parlato con il Prof. Enrico Galoppini, studioso del mondo arabo-islamico e redattore della rivista di Studi geopolitici “Eurasia” (www.eurasia-rivista.org).

Secondo Lei, dove ha le radici questa recente campagna di antislamismo ma anche di islamofobia nell’Europa?

In questo momento l’islamofobia rappresenta, se vogliamo, una necessità da parte degli Stati Uniti, perché si trovano ad operare in un teatro strategico come quello vicino e mediorientale occupato da popolazioni in maggioranza arabo-musulmane. Quindi l’esigenza primaria è quella di creare delle opinioni pubbliche nei Paesi da essi controllati, delle correnti del pensiero certamente ostili, nel peggiore dei casi, o comunque che reputino la religione islamica e tutto quello che le è correlato un “problema”. Si tratta ovviamente della creazione della giustificazione di ciò che gli Usa intendono già operare, però non potendolo fare naturalmente, spudoratamente, senza una giustificazione, costruiscono una copertura ideologica. Secondo me, se dovessero operare su altri teatri, per esempio il teatro del sud-est asiatico, probabilmente mostrerebbero come qualcosa di grave e terribile, quello che oggi presentano come un cultura eccezionale, il Buddismo, solo perché fa comodo al fine della demonizzazione della Cina. Si tratta di quel vecchio trucco che consiste nel crearsi delle giustificazioni come è stato ai tempi della “Guerra fredda”: l’anticomunismo viscerale (e teatrale) che giustificava un’intera politica (economica, soprattutto, come rilevato da John Kleeves in Vecchi trucchi).

Allora, Lei vede forse un legame tra l’islamofobia e le strategie geopolitiche atlantiche?

Direi che il legame è necessario! L’ultimo capitolo del mio libro
Disinformazione e Islam: attori, tattiche e finalità”, che verrà pubblicato dalle Edizioni all’insegna del Veltro, s’intitola Islamofobia e strategie geopolitiche atlantiche: un legame necessario, e dimostra che le due cose – le strategie geopolitiche atlantiche e l’islamofobia – non vanno assolutamente disgiunte; anzi, l’islamofobia, o comunque l’agitare un “problema islamico” è una necessità sostanziale in questa fase della politica mondiale degli Usa. Che poi l’islamofobia, e quindi la creazione di uno stato d’animo di allarmismo verso l’Islam ed i musulmani, sia un paravento ed una giustificazione lo dimostra il fatto che in fondo gli Usa ed il cosidetto Occidente (ovvero quella parte d’Europa inserita in tutta una serie di organizzazioni, in primis la NATO) non trovano nessuno scrupolo a trattare con realtà come gli Emirati del Golfo o l’Arabia Saudita. Se dovesse trattarsi davvero di una questione di principio (ovvero l’Islam come “religione terribile, fanatica e sanguinaria”), tutti costoro non dovrebbero assolutamente nemmeno essere visti con il binocolo! Invece, gli Stati Uniti (questi maestri della recitazione) hanno con quegli emirati, sultanati, regni ecc. delle relazioni d’interessi privilegiate.
Quindi la necessità per gli Stati Uniti è quella di creare un’islamofobia funzionale puntando di volta in volta all’obiettivo che s’intende perseguire. Prima lo si è visto con l’Iraq (e tutte le invenzioni propagandistiche per invaderlo), adesso il clima ostile verso l’Iran… in Libano il “problema” è Hezbollah, mentre in Palestina, sfruttando sempre questo clima di islamofobia selettiva, è stata creata mediaticamente una situazione per cui adesso il “problema” è Hamas (che tra l’altro persiedeva un governo legittimamente eletto dal popolo palestinese).

Professore, alcuni dicono che l’Islam non cura la propria immagine, né promuove la sua conoscenza in Occidente, e che neppure si difende. Secondo Lei, l’Islam, quello vero, è impaziente, indifferente oppure assente?

È un po’ dura definire “l’Islam vero”… Certo è che l’immagine dell’Islam forse dovrebbe essere un po’ più curata, non dico dagli Stati, perché ogni Stato fa la sua politica... Per quanto riguarda l’immagine dell’Islam presso un pubblico non musulmano, nello specifico il pubblico europeo o euroccidentale, la questione è da porre nei termini di un’azione che andrebbe svolta dalle organizzazioni rappresentative di un’ampia gamma di Paesi musulmani, per esempio l’Organizzazione della Conferenza Islamica (anche se non m’illudo sulla natura super partes di tali organizzazioni), e non dai singoli Stati che sono impegnati, ciascuno, nella propria Realpolitik per cui ciascuno pensa ai propri interessi. Queste organizzazioni dovrebbero curare maggiormente la diffusione di una corretta immagine della cultura, della religione e dell’Islam tramite, ad esempio, le pubblicazioni e la creazione di case editrici apposite che non siano solamente di nicchia.
Mentre quello che si nota è differente. Probabilmente si dovrebbe conoscere certi retroscena, perché ci sta non possano muoversi più di tanto in realtà controllate da altri (tipo l’Italia, colonia degli Stati Uniti); comunque si nota una certa di remissività che deriva, non mi si fraintenda, da una sorta di ‘fatalismo’, soprattutto quando da parte dei musulmani si sostiene che la “vittoria finale” sarà dell’Islam malgrado tutte le mosse che potrà mettere in opera l’avversario. Ovviamente questo dal punto di vista rigorosamente islamico quadra perfettamente, quindi è logico che non sia avvertita l’esigenza della diffusione di una migliore immagine dell’Islam presso un pubblico europeo attraverso i normali strumenti ai quali esso è abituato (documentari, pubblicazione dei testi ecc.). Per farla breve, dal punto di vista islamico, grazie alla certezza nella “vittoria finale” si giustifica quella strategia per cui basta nient’altro che diffondere in tutto il mondo i principali testi religiosi, in primis il testo sacro dei musulmani, il Corano, e poi impegnarsi non più di tanto in un’opera di sensibilizzazione a livello culturale in senso più ampio. Altrimenti un gran lavoro ci sarebbe da fare! Penso alla messa in opera di stazioni televisive, come una sorta di Aljazeera rivolta ad un pubblico non solo di lingua inglese, ma anche di lingua italiana, di lingua francese ecc. Credo comunque che i mezzi non manchino, e potrebbero essere coinvolti nei lavori anche quei molti studenti di materie arabo-musulmane che escono laureati in Lingua araba ma poi non trovano uno sbocco professionale proprio a causa di quel clima d’islamofobia che viene creato per i motivi summenzionati sinteticamente e che sinceramente li lascia un po’ delusi una volta usciti dall’università…


Fonte: http://italian.irib.ir/index.php?option=com_content&task=view&id=3191&Itemid=63
audio: http://italian.irib.ir/images/stories/interaudio/galoppini1.mp3



Enrico Galoppini, saggista e traduttore dall'arabo (diplomato a Tunisi ed Amman), ha insegnato Storia dei Paesi islamici presso Università di Torino e di Enna. È nel comitato di redazione della rivista di Studi geopolitici "Eurasia" (www.eurasia-rivista.org). Particolarmente interessato agli aspetti religioso e storico-politico del mondo arabo-islamico, alla storia del colonialismo, all'attualità politica internazionale, ma anche a fenomeni di costume, collabora o ha collaborato a "LiMes", "Imperi",
"Eurasia", "Levante", "La Porta d'Oriente", "Diorama Letterario", "Italicum", "Kervàn", "Africana", "Meridione. Sud e Nord del mondo", "Identità", "Il Consapevole", "La Gazzetta di Sondrio", "Luci sulla città", "Rinascita". Ha pubblicato alcuni saggi e prefazioni, ed il suo primo libro è "Il Fascismo e l'Islàm" (Edizioni All'Insegna del Veltro, Parma 2001). Sta per essere pubblicato "Disinformazione e Islàm. Attori, tattiche, finalità", una raccolta di saggi ed articoli sull'islamofobia e il cosiddetto "problema islamico".