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Aristotele non arrivò in Europa dall'islam, ma da Bisanzio

di Marina Valensise - 24/06/2008

Fonte: marinavalensise


L'occidente cristiano deve la scoperta e la trasmissione del pensiero greco
non agli arabi musulmani, ma ai cristiani d'oriente.
Questa tesi, professata di recente da un medievista francese, ha scatenato
un conflitto ideologico.
Sylvain Gouguenheim, specialista dei cavalieri teutonici, di Ildegarda di
Bingen, la badessa del Reno che combattè l'indegnità dei preti, l'empietà
degli imperatori e l'eresia catara, professore dell'Ecole normale supérieure
di Lione è l'autore di "Aristote au Mont Saint-Michel" (Editions du Seuil)
il libro al centro delle polemiche, un saggio molto dotto sulle radici
dell'Europa, anzi sul contributo della cultura araba alla trasmissione della
cultura classica greca. La sinistra islamofila multiculturalista
politicamente corretta lo accusa di sottovalutare il suddetto contributo, e
di attizzare lo scontro di civiltà. La destra cristiana islamofoba e il
centro moderato e antimulticulturalista ne lodano il coraggio e il rigore
storico nel puntualizzare il ruolo decisivo esercitato dalla cultura
cristiano-bizantina durante i secoli bui.
Le cose sono più complicate,  ma il libro l'hanno letto in pochi e i pochi
che l'hanno letto ne hanno offerto un riassunto a effetto. Il Figaro, per
esempio, lo ha salutato in maniera entusiastica, citando il precedente del
discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, accusato a suo tempo di stabilire un
nesso tra islam e violenza, quando mirava invece a denunciare "il programma
di disellenizzazione" dell'occidente cristiano. Anche Gouguenheim, muovendo
sulle tracce di Papa Ratzinger, secondo il Figaro, non fa altro che indagare
i limiti dell'ellenizzazione; ritorna sulle radici dell'occidente cristiano,
richiamando in particolare l'esistenza di una "diaspora cristiana
orientale", per dimostrare che se l'islam ha trasmesso la filosofia greca
all'occidente, lo ha fatto in un certo senso in modo preterintenzionale,
"mandando in esilio quanti rifiutavano la sua dominazione".
La polemica ideologico-politica, però, è divampata quando è apparsa sul
Monde una recensione, a firma di Roger Pol Droit, intitolata: "E se l'Europa
non dovesse il suo patrimonio all'islam?". Roger Pol Droit, il papa del
giornalismo culturale francese, non è andato per le lunghe: "Credevamo che
la cultura greca antica - filosofia, medicina, matematica, astronomia - dopo
esser scomparsa dall'Europa avesse trovato rifugio nel mondo musulmano, che
l'ha tradotta in arabo, l'ha accolta e prolungata, prima di trasmetterla
all'occidente, permettendone la rinascita, e poi l'improvvisa espansione
della cultura in Europa? Sylvain Gouguenheim è convinto che questa vulgata
sia intessuta di errori, di verità deformate, di dati parziali e cerca di
correggerne le inesattezze e le esagerazioni". Come? Facilissimo.
Prima di tutto, la circolazione dei manoscritti di Aristotele e Galiano
[Galeno] in occidente è continuata ben oltre la fine dell'impero romano:
insomma non c'era bisogno della traslatio araba, come dimostrano i tanti
Papi di origine greca e siriaca, il re francese Pipino il Breve, che nel 758
si fece inviare dal Papa Paolo I la Retorica di Aristotele, i Padri della
chiesa, che citavano Platone e altri autori pagani.
Secondo, non è vero che l'islam accolse la cultura greca. In realtà, scrive
Pol Droit riassumendo il libro di Gouguenheim "l'essenziale del lavoro di
traduzione dei testi greci in arabo non venne compiuto da musulmani". Al
Farabi, Avicenna, Averroé, per quanto grandi ammiratori della filosofia
antica, non leggevano il greco, ma attingevano alle traduzioni in arabo
opera dei cristiani aramaici e siriaci come Hunayn ibn Ishaq, che forgiò
gran parte del vocabolario medico arabo, attraverso la trasposizione di più
di 200 opere di Galieno [Galeno] , Ippocrate e Platone. Altro punto,
continua Roger Pol Droit, lungi dall'essere unanimemente entusiasta, la
recezione araba del pensiero greco fu secondo Gouguenheim "selettiva e
limitata e senza grande influenza" sulla realtà religiosa, giuridica e
politica dell'islam. "La ragione - sintetizza il recensore del Monde - non
venne mai posta al di sopra della rivelazione, la politica non fu separata
dalla rivelazione, né mai s'impose l'autonomia della scienza". Ergo, "invece
di sognare un mondo islamico aperto e generoso che offre all'Europa
decadente gli strumenti della sua rinascita, bisogna ricordare che
l'occidente non ha ricevuto la cultura classica in regalo, ma è andata a
cercarla, perché completava i testi già in suo possesso". Conclusione,
contrariamente a quanto si va dicendo dagli anni Sessanta, "la storia della
cultura europea non ha mai avuto un grosso debito verso l'islam, e comunque
non essenziale". Sia lodato il coraggio di Gouguenheim.
Passano venti giorni e al Monde arriva una rettifica sottoscritta da
quaranta filosofi e storici della scienza:
 "Nessuno studioso serio può sostenere che l'Europa deve la sua cultura
all'islam, al cristianesimo a qualsiasi altra religione.
L'idea che la scienza moderna sia erede diretta della scienza greca non è
nuova, ma le Monde la banalizza". Altra replica, il medievista direttore di
collana al Seuil Alain de Libera fustiga "l'ameno esercizio di fantastoria"
degno degli "amanti delle crociate" e la propensione a scatenare una
"mobilitazione huntingtoniana". Allude al Monde, prima che a Gouguenheim, ma
il guaio è fatto.
La faccenda poteva finire lì, e invece s'aggiungono altri due medievisti di
rango, Gabriel Martinez Gros e Julien Loiseau, che esercitano a Paris VIII e
Montpellier III, e accusano il collega lionese di sopravvalutare il ruolo
del mondo bizantino; di confondere "musulmano e islamico", senza distinguere
la religione dalla civiltà; e di porre una dimostrazione dettata dalla paura
e dalla chiusura al centro di "una nuova grammatica delle civiltà,
avvalendosi di fonti discutibili, come *René Marchand*, autore di una
controinchiesta su *Maometto*, dal sottotitolo esplicito "*Un despota
contemporaneo, una biografia ufficiale truccata, 14 secoli di
disinformazione*".
Pazienza, se lo stesso Gouguenheim, chiamato in causa, ricorda di provenire
da una famiglia ha fatto la Resistenza, di non voler rivolgere alcuna
critica alla civiltà arabo-musulmana, e di non aderire nemmeno alla tesi di
Samuel Huntington sullo scontro di civiltà. E pazienza se davanti a John
Vinocur, che ieri ne ha scritto sull'Herald Tribune, il professore abbia
riconosciuto la dimensione politica del suo studio, confessando di aver
avviato quello che considera un semplice "tentativo di chiarificazione" già
nel 2002, quando fu la stessa Unione europea a raccomandare agli autori dei
manuali di storia uno sguardo più positivo sul retaggio islamico nella
cultura europea. Il rapporto tra l'Europa cristiana e il mondo arabo ormai è
materia incandescente; per dar fuoco all'incendio è bastato riesumare
dall'oblio dei tempi un oscuro traduttore vissuto alla corte di
Costantinopoli come Giacomo da Venezia, il quale, monaco all'abbazia del
Monte Saint-Michel, ebbe come unico merito storico di cominciare a tradurre
Aristotele cinquant'anni prima che la versione araba comparisse nella Spagna
dominata dai Mori.