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A Roma la spazzatura è nel bilancio

di Carlo Panella - 24/06/2008



Il bilancio del Comune di Roma è falso, alcune scritture contabili sono state alterate, sono state commesse irregolarità di rilevanza penale anche nella emissione dei bond: tutto questo è noto, di questo si parla da giorni sottovoce a Roma, ma la stampa tace.
In questi giorni si sta scrivendo una delle pagine più nere del giornalismo italiano, perché in tutte le redazioni della capitale sono arrivate le notizie della rapida ispezione che Alemanno ha fatto fare ai tecnici della Ragioneria dello Stato sui bilanci ereditati dall’amministrazione di Veltroni.  Tutte le redazioni sanno che alcuni tra i più grandi studi internazionali legali della capitale sono stati incaricati di seguire lo scandalo. Ma tutti tacciono, complici. Unica eccezione, a nostra conoscenza, sono gli articoli di Franco Bechis, direttore di Italia Oggi.
La ragione di questa pavida  complicità della stampa nazionale nei confronti della “monnezza nei conti a Roma” è semplice: siccome il nuovo sindaco ha le mani legate, non può denunciare i falsi per ragioni politiche, loro stanno accucciati buoni buoni, fanno da palo a Veltroni e aspettano che passi la nottata..
Gianni Alemanno, infatti, è in una situazione paradossale : se divulgasse il vero stato delle cose -che peraltro gli impedisce una libera disponibilità del bilancio- si suiciderebbe come sindaco. Il governo sarebbe infatti immediatamente costretto a commissariare il Comune, il sindaco e la Giunta non potrebbero più disporre di un euro e, per di più, le agenzie di rating sarebbero costrette a prendere atto e a divulgare la notizia -che ben conoscono ma che tacciono, al solito- del fatto che parte dei bond emessi dal Comune di Roma sono hedge funds, spazzatura, peggio di quella di Napoli.
Per questo, Alemanno -di concerto col governo Berlusconi- ha scelto la strada del silenzio, ieri ha incontrato Tremonti e Fini, ha concordato un intervento diretto e immediato del Tesoro  per fare fronte alle scadenze dei pagamenti degli interessi dei Bond emessi e ad altre necessità di cassa improrogabili e lavora a impostare un riassetto dei conti sul lungo periodo.
Veltroni, da parte sua, sa di disporre di una omertà sociale e giornalistica ampiamente e letteralmente “pagata” negli anni scorsi. Basta guardare alla fine che hanno fatto centinaia di milioni di consulenze -vedi lista pubblicata da Brunetta- per capire come tante iniziative palesemente inutili e demenziali, finanziate dal Comune di Roma, coprissero in realtà una forma di corruzione sociale diffusa.
In più, Veltroni gode del paradosso dell’obbligo di  Berlusconi di concedergli immunità, per ragioni simili a quelle di Alemanno.
Se infatti il governo denunciasse la verità delle terribili responsabilità , quantomeno politiche, di Veltroni, e le suffragasse con i dati economici inoppugnabili che ha verificato la Ragioneria, Veltroni ben difficilmente non sarebbe travolto dallo scandalo e dovrebbe abbandonare la segreteria del Pd, o comunque non potrebbe rendere nessuna iniziativa politica di rilievo. Nella migliore delle ipotesi sarebbe una sorta di “morto politico” che cammina..
Ma la caduta di Veltroni comporterebbe anche e subito la caduta di ogni ipotesi di dialogo bipartisan sulle riforme istituzionali, su cui Berlusconi punta molto (e che D’Alema ora contrasta per pure ragioni di interesse personale: non può sopportare che Veltroni applichi la sua strategia). E quindi... neanche i giornali dell’area del governo denunciano più di tanto l’entità gravissima dello scandalo.
Insomma, Veltroni sindaco ha ripetuto alla grande il disastro della sua direzione dell’Unità. Anche allora, lui portò il giornale oltre il livello del fallimento. Le sue disgraziate promozioni con le figurine Panini e le videocassette, ebbero tanto elogio dalla platea adorante dei media, quanto rosso nei conti del giornale.
Ma anche l’Unità era tenuta assieme da un complesso gioco di pesi e contrappesi interni ed esterni al Partito, che impedirono che lo scandalo di una gestione economica così demenziale scoppiasse subito.
Passarono vari anni perché la realtà dei conti si imponesse e il giornale, di fatto, fallisse.
Oggi, Veltroni tenta lo stesso trucco e spera che quando la verità verrà a galla, la colpa del dissesto  venga attribuita ai suoi successori, come avvenne col giornale.
Se solo, però, ci fossero giornali, soprattutto grandi giornali, con forti uffici legali, in grado di reggere le inevitabili richieste di danni e battaglie giudiziarie, e sopprattutto con forti palle, il gioco avrebbe fiato corto.
Ma se deve temere solo i giornali, Veltroni può star tranquillo, sono tutti addomesticati, o quasi, e deve temere -e anche questo la dice lunga- solo i non pochi giornalisti che tifano per D’Alema.