Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il mondo e il suo caos

Il mondo e il suo caos

di Giovanni Petrosillo - 25/06/2008

 

 

La potenza centrale americana non si sente più sicura nell’esercizio incontrastato della sua egemonia, in quanto incrocia sempre maggiori difficoltà nel tenere sotto controllo le zone d’influenza già acquisite o nel mettere sotto il proprio giogo nuove aree, al fine di incrementare il suo “spazio vitale”.

Si può sostenere, pertanto, che la crescente instabilità dei rapporti internazionali è diretta conseguenza di questa messa in discussione del predominio statunitense da parte di alcune potenze, emergenti o riemergenti, come la Cina, l’India o la Russia, le quali, non soltanto si liberano del fardello statunitense ma, a propria volta, tentano di allargare le proprie sfere di autorità su altrettante regioni strategiche, indispensabili alla difesa della propria indipendenza sul teatro mondiale. Come sosteneva Machiavelli, gli Stati forti, destinati a durare,  sono quelli che non pensano esclusivamente alla propria conservazione ma, al contrario, si guadagnano l’indipendenza sapendosi difendere dai nemici, in quanto la preservazione della sovranità passa dalla capacità di mettere in atto una pronta reazione ai tentativi altrui di deprimerla (oggi, ovviamente, non si tratta della mera occupazione, manu militari, di un territorio come per il passato): “...di tutti gli stati infelici, è infelicissimo quello d'uno principe o d'una republica che è ridotto in termine che non può ricevere la pace o sostenere la guerra: a che si riducono quegli che sono dalle condizioni della pace troppo offesi; e dall'altro canto, volendo fare guerra, conviene loro o gittarsi in preda di chi gli aiuti o rimanere preda del nimico”.

Se questa instabilità si esprime, in questa fase, soprattutto, in termini di maggiore concorrenza sui mercati o di una forsennata ricerca e sfruttamento delle risorse energetiche è perché la competizione economica, nell’ambito delle formazioni capitalistiche, fornisce la linfa per il conflitto strategico “spaziale”, in previsione di un vero e proprio scontro geopolitico, il quale non sempre assume la forma della guerra guerreggiata.

Il caos che ne segue, prima di emergere sotto forma di attriti tra attori geopolitici, attraversa in profondità ogni sfera sociale delle formazioni capitalistiche implicate in questa lotta per la dominanza: da quella ideologico-culturale (per esempio le guerre di civiltà con le quali si genera l’emotività indispensabile a coinvolgere il popolo, a prescindere dalla sue stratificazioni di classe), a quella politica (che può portare alla marcescenza dei gruppi dominanti delle formazioni capitalistiche che rinunciano a ricavarsi i propri spazi di autonomia ,poichè legati passivamente ai dominanti dell’uno o dell’altro campo e che, in quanto tali, sono anche inabili a governare le crisi all’interno della propria formazione di riferimento), a quella economica appunto, (con le piccole crisi finanziarie, in rapida successione, che annunciano la grande crisi da crollo del sistema ma che in realtà conducono, più spesso, ad un “riordino” dei rapporti di forza tra agenti dominanti) fino a quella militare tout court (con conflitti che si mantengono, almeno per ora, sul piano regionale, benché vedano il coinvolgimento di più attori mondiali come in Iraq, Afghanistan, Libano e forse, in futuro, in Iran ecc. ecc.).

Questi ribollimenti geopolitici, nella loro crescente causticità, indicano che il magma sotto la terra comincia a premere sempre più seriamente, preannunciando eruzioni in più zone o aree del globo, tanto da poter causare un cambiamento nella morfologia del potere globale, rispetto a come lo conosciamo oggi.

Più volte, con le nostre analisi (ma soprattutto con quelle di La Grassa) abbiamo detto che con l’entrata in una fase policentrica, nel giro di dieci o vent’anni, la storia si sarebbe rimessa in marcia. Non che quest’ultima si fosse mai fermata, ma dalla “de-realizzazione” del socialismo sovietico in poi, gli attuali predominanti statunitensi (e il loro codazzo di subdominanti europei) hanno instillato nei popoli l’idea che, con la completa affermazione del modello liberista, si sarebbe raggiunta la pace perpetua, magari con un governo mondiale unificato e relativa perdita di autorità da parte delle varie entità statali nazionali.

Detta visione, che ha avuto la pretesa di sostituirsi alle grandi narrazioni socialiste o comuniste, riesce ormai a tenere sempre meno saldo l’involucro ideologico in cui è avvolta. La pace perpetua (meglio sarebbe parlare di pax americana) si afferma a suon di bombe o di minacce, più o meno velate, nei confronti di tutti i paesi recalcitranti. Gli americani si stanno preparando alla reazione geopolitica di queste nazioni attraverso una strategia complessiva che abbraccia tutti i campi e i settori della vita sociale, come si evince dal documento che pubblico oggi, il Joint Vision 2020.

In questo documento, di origine militare, vengono, a mio parere, affermati tre punti fondamentali che rispecchiano quanto il paese predominante abbia pienamente compreso l’approssimarsi di una fase policentrica. A tal scopo, le teste d’uovo statunitensi, si confrontano con uno spettro di azioni e di criticità che fanno riferimento al nuovo scenario:

1)      Gli Stati Uniti dovranno agire per la conservazione dei loro interessi globali approfondendo i legami economici con il mondo (estensione del liberismo “a dominanza” - nulla a che fare con la tanto decantata mano invisibile - come forma mascherata di controllo delle economie dei vari paesi)

2)     la consapevolezza, ormai maturata negli ambienti strategici USA, che gli avversari avranno accesso alle basi industriali del commercio globale (con le quali attiveranno le loro sfide contro la potenza centrale) potendo disporre della stessa tecnologia occidentale. Non a caso, nel documento viene detto esplicitamente che la supremazia tecnologica americana (anche in campo militare) andrà assottigliandosi.

3)      La conferma, da parte degli eventi, che i nemici degli Usa, tra dieci anni, saranno capaci di adattarsi alla stessa capacità di progresso.

 

Questi elementi strutturano il contesto strategico nel quale gli statunitensi si apprestano ad agire ed, in più, confermano le nostre previsioni circa l’avvicinarsi di una fase policentrica che rimetterà in discussione gli assetti geopolitici globali.

Inutile ribadire che l’Europa e l’Italia sono percepite dagli Usa come avamposti già conquistati, ai quali far pagare il prezzo maggiore dei conflitti mondiali (da non intendersi dal solo lato militare) che si scateneranno.

Buona lettura. Vedi documento:

http://files.splinder.com/dfe291f0d96e3d15c721e8dde8ca1314.pdf