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'Addio alla Romania': il Nord Est fa dietrofront. L'implosione della globalizzazione

di Francesco Jori - 25/06/2008

 
Non per petrolio, ma per braccia: il Nordest che in anni recenti era sbarcato in massa in Romania, al punto da catalogare la contea di Timisoara come l' ottava provincia veneta, impatta oggi con il lato oscuro della delocalizzazione, arrivando in alcuni casi a programmare addirittura la marcia indietro. Per un problema legato alla più classica delle materie prime: la manodopera. Spinti dal miraggio dell' Italia ma più ancora dal caro vita del loro Paese, gli operai romeni si licenziano ed emigrano a decine di migliaia anche a costo di andare a lavorare in nero, mettendo in crisi chi aveva aperto un' azienda in casa loro. Ne sta pagando le spese, tra i tanti, un autentico pioniere: "In Romania sono arrivato 26 anni fa, ero il quinto imprenditore italiano del tessile a delocalizzare", spiega Luigino Gastaldon, trevigiano di Castelfranco, settore abbigliamento da uomo, titolare di Bagar-Sartori Veneti, che a Bucarest ha aperto un' azienda in cooperazione con un industriale romeno. Quella che sta conoscendo è una vera e propria emorragia.«Nel giro dell' ultimo anno e mezzo, ho perso 360 dei miei 480 dipendenti, come dire tre quarti del personale. Oggi mi ritrovo con 120 unità, e sono costretto a rivedere i miei piani, spostando altrove una parte consistente della produzione». Proprio in questi giorni Gastaldon è a Tunisi per definire un' alternativa («sto trattando con due aziende italiane già presenti sul posto»), e intanto ha avviato una trattativa anche in Bulgaria. Bucarest addio, dunque? «Qualcosa terremo: questa in fin dei conti è la nostra prima base, dove lavoriamo solo con tessuti italiani e con lo stile italiano. Ma certo è un problema ormai permanente: ogni settimana ci sono operai che si licenziano, e molti di loro lo fanno per trasferirsi in Italia». Cosa c' è alla base di questo esodo? «Sono attratti dal benessere del nostro Paese così come lo vedono in tv. Se ne vanno in particolare le donne: la metà di quelle fino ai 35-40 anni scelgono di andare a fare le badanti a 8-900 euro al mese, e magari tra loro c' è anche chi poi arrotonda con, diciamo, uno stile di vita diverso da quello cui era abituata~ Sta di fatto che chi sceglie l' Italia lo fa nella convinzione di realizzare soldi». Pesa comunque anche l' inflazione, balzata a marzo all' 8,6 per cento, contro il 4,9 del 2007, e dovuta in misura consistente all' aumento dei prezzi dei beni di largo consumo: a fronte di uno stipendio medio mensile compreso tra i 280 e i 360 euro, ad esempio, un operaio romeno paga 1,50 euro un chilo di zucchero bianco raffinato, contro gli 0,74 dell' Italia, e un litro di olio 2,04 euro contro poco meno di 1 di quello più commerciale italiano. Come si fa fronte all' esodo, che nel solo 2007 ha registrato 25mila romeni neo assunti in Veneto? Risponde Gastaldon: «Sono stati reclutati molti lavoratori asiatici, specie del Bangladesh, ma l' esperienza si sta rivelando negativa; così il governo sta adottando una serie di misure per cercare di frenare l' emorragia». Tra queste, una Borsa dei posti di lavoro disponibili in Romania, organizzata nel febbraio scorso a Roma, con le aziende locali che oltre allo stipendio promettono a chi rientra bonus particolari, buoni-pasto e alloggi. Ma intanto in fabbrica restano i vuoti, e gli imprenditori italiani sono preoccupati non solo per i posti di lavoro non coperti, ma anche e soprattutto per la perdita di professionalità. Gastaldon insiste molto su questo aspetto: «Nei tanti anni di presenza a Bucarest, noi abbiamo portato tutto il nostro know-how per sostenere l' immagine del prodotto. Con queste defezioni massicce di dipendenti, stiamo perdendo valori ed esperienze significative. Solo per addestrare una persona a stirare correttamente ci vuole un anno e mezzo; servono da quattro a sei mesi per imparare ad eseguire il cucito sulle operazioni normali, e da otto a dodici per le cuciture più impegnative, tipo collo e maniche. Abbiamo investito tantissimo, anche in tempo e pazienza, per adattarci alla loro mentalità. Oggi ci ritroviamo con tre quarti del personale in meno, e non è un vuoto che si possa rimpiazzare da un giorno all' altro». Sono difficoltà che su altri piani investono anche "grandi firme" nordestine come Mario Moretti Polegato (scarpe Geox) e Gianfranco Zoppas (componentistica elettronica). Avverte Moretti Polegato: «Le cose stanno effettivamente cambiando, e una serie di piccole e medie industrie manifatturiere, soprattutto terziste, hanno deciso di chiudere i battenti. Il fatto è che la delocalizzazione deve correggere il tiro; occorre capire cosa sta succedendo e adeguarsi». O arrendersi.