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L´Africa ci salverà dalla fine del petrolio? (ma chi salverà l´Africa?)

di Lucia Venturi - 01/07/2008

A Milano, nell’ambito della conferenza Euro-mediterranea, si torna a parlare nei prossimi giorni della possibilità di sviluppare le energie rinnovabili sulla sponda sud del Mediterraneo: dall´Africa, uno dei continenti più colpiti dai cambiamenti climatici e che meno ha contribuito alla loro evoluzione potrebbe quindi arrivare la risposta concreta per fronteggiare l´emergenza.
Stesso argomento sarà trattato anche dal Crea (Centre de recherche et de formation su l´ etat en Afrique) sempre a Milano, dove si è attivata una sessione del Comitato scientifico che tra ottobre e novembre prossimi organizzerà una conferenza di tutti i paesi dell´Africa occidentale ad Abidjan, con l’obiettivo di studiare l´impatto dei cambiamenti climatici sull´ economia e sulle società dei paesi dell´Africa occidentale e quale contributo potranno dare per fronteggiarlo, a partire proprio dalle fonti energetiche rinnovabili.
Una prospettiva cui, nell’ambito della cooperazione internazionale, si sta lavorando da anni, per la precisione dal 2004, con la nascita a Tunisi del centro per la promozione delle energie rinnovabili, noto come Medrec. E che è stata anche recentemente discussa in una conferenza internazionale sulle energie rinnovabili a Dakar, in Senegal, organizzata dall´agenzia dell´Onu per lo sviluppo industriale (Unido) insieme al governo senegalese e al ministero tedesco per la cooperazione economica.
Insomma l’attenzione verso questi paesi è altissima sia da parte dei governi occidentali che da parte delle varie multinazionali che lavorano nel settore e altrettanto è l’interesse da parte dei paesi della sponda sahariana.

Una opportunità per tutti: oltre a soddisfare il crescente fabbisogno energetico dei paesi europei, la proliferazione di centrali fotovoltaiche ed eoliche nelle aree desertiche potrebbe infatti contribuire a migliorare la situazione socio-economica di ampie zone del continente.
Sole e vento non mancano, l’energia serve anche a loro e se si sviluppa una sana cooperazione il guadagno è per tutti.

Lo aveva sottolineato anche il commissario dell´Unione africana alle infrastrutture e all´energia alla conferenza di Dakar: «oltre 600 milioni gli africani non hanno accesso all´elettricità e ben 35 paesi sui 53 del continente rischiano continue interruzioni nella fornitura di corrente. In simili condizioni le energie rinnovabili sono una soluzione reale per le aree più isolate del continente».

Il sistema di generazione diffusa su cui si basano di fondo le energie rinnovabili è infatti quello che meglio si presta a fornire il fabbisogno di energia in aree dove non esistono reti elettriche e, per il 70% della popolazione africana, che ancora oggi ancora non ha eccesso all’energia elettrica, significherebbe cominciare ad abbattere la barriera tecnologica che divide il nord dal sud del mondo e garantire forme di sviluppo economico locale incentrate sulle reali potenzialità di quei paesi.

Il rischio, ancora una volta, è che l’interesse del mondo occidentale nei confronti dello sviluppo di tecnologie legate alle fonti energetiche rinnovabili, sia quello di un approccio colonialista e di tornaconto delle aziende che vi investono. Senza apportare reali benefici alle popolazioni africane. Un film già visto (purtroppo) tante volte e che si dovrebbe evitare che si potesse protrarre all’infinito.

Per le aziende occidentali, infatti, investire in energie rinnovabili e in impianti a tale scopo, rappresenta la possibilità di una diversificazione del mercato energetico e di una riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico, e la possibilità di acquisire i certificati di credito delle emissioni, sfruttando la possibilità prevista dal protocollo di Kyoto di acquisire certificati verdi e crediti di riduzione delle emissioni attraverso progetti promossi con i Clean development mechanisms (Cdm).

Ovvero anziché intervenire a casa propria con tagli alle emissioni, si avvalgono del fatto che gli impianti costruiti in paesi in via di sviluppo valgono crediti di emissioni, per bilanciare i debiti accumulati. E’ evidente che al contempo per i paesi in via di sviluppo avere la possibilità di accedere all’energia elettrica e di farlo in maniera alternativa alle fonti fossili costituisce una concreta opportunità di sviluppo, oltretutto sostenibile. Ma i costi ancora elevati delle tecnologie rinnovabili rappresentano per questi paesi un ostacolo e impongono la necessità di avvalersi di una cooperazione internazionale. Niente di male in questo, purchè appunto rimanga nell’alveo della cooperazione e non degradi in mero opportunismo economico.