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Thyssen, due milioni a testa alle famiglie delle vittime. Alcune (amare) riflessioni

di Carlo Gambescia - 01/07/2008


“I familiari delle sette vittime dell'incendio alla Thyssen Krupp di Torino hanno accettato il risarcimento proposto dagli avvocati della multinazionale siderurgica: due milioni circa di euro per ogni famiglia, una cifra totale di 12 milioni e 970mila euro. L'accordo impegna i famigliari delle vittime a rinunciare alla costituzione di parte civile nel processo. Due persone, legate a una delle vittime e comprese nell'elenco delle persone offese stilato dalla procura, non sono state comprese nell'offerta e si costituiranno parte civile. Andrà fino in fondo la Fiom: "rispettiamo la decisione dei familiari delle vittime - ha dichiarato il segretario nazionale Giorgio Cremaschi - per quanto ci riguarda la costituzione di parte civile della Fiom significa che il processo deve arrivare a una conclusione, individuare e punire in maniera esemplare i responsabili”.
(
http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/cronaca/incendio-acciaieria-2/rimborso-accettato/rimborso-accettato.html)

Cosa dire? Che non è facile né giusto dare giudizi su persone così duramente colpite negli affetti più cari. Tuttavia riteniamo non sia neppure giusto “quantificare” una vita. Ma soprattutto - ecco il punto - ci ferisce il fatto che il “quantum” venga stabilito, pur in accordo con le parti offese, da chi ha provocato quelle morti. E solo perché dispone di grandi risorse economiche... E perciò, per dire le cose pane al pane e vino al vino, di una grande capacità di persuasione.
In questo contesto, la pur lodevole decisione della Fiom di andare fino in fondo, perde parte del suo vigore morale, assumendo il carattere di una sovrapposizione istituzionale di bandiera. Importante ma, ripetiamo, di bandiera. Probabilmente i dirigenti Fiom avrebbero potuto esercitare sulle famiglie degli scomparsi maggiore pressione morale, anche in termini di concreti aiuti economici e legali. Si tratta, comunque, solo di una nostra supposizione. Dal momento che non è dato sapere con certezza che tipo di rapporti siano finora intercorsi tra le famiglie degli scomparsi e il sindacato.
Resta l’immagine, certamente non positiva, di un potere economico che in modo spavaldo può aggiustare ogni cosa. E qui è bene ricordare che stando alle indagini della procura, i dirigenti della Thyssen si sarebbero comportati con “superficialità e leggerezza al fine di risparmiare denaro”: i possibili rischi che correvano gli operai, erano noti da tempo, ma la multinazionale si guardò bene dal finanziare investimenti negli impianti di sicurezza, dal momento che si era già deciso di chiudere la fabbrica nel giro di sei mesi. L’accusa, nelle quindici pagine dell'atto di fissazione dell'udienza preliminare, indica come principale responsabile l’ amministratore delegato Harald Espenhahn. E per la prima volta in un caso di infortuni sul lavoro, si sostiene, nel suo caso, la tesi dell’omicidio con dolo eventuale. Mentre gli altri cinque imputati rispondono “di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e di omissione dolosa e aggravata di cautele antinfortunistiche”.
Probabilmente la costituzione di parte civile delle famiglie avrebbe conferito al processo ben altro peso morale e giuridico. E proprio dal punto di vista di una necessaria (ma diremmo pure "sacrosanta") quantificazione "comunitaria" del “danno”, da parte di un Terzo Sociale. Che avrebbe avuto nella procura, e poi nella giustizia penale e civile, gli organismi istituzionali preposti a stabilire colpe e giusta reintegrazione di un gravissimo danno oggettivo, riguardante - attenzione - non soltanto le famiglie ( o un sindacato di categoria...), ma principalmente la società, come tipo morale, nel suo insieme.
Peccato. Ma, come alcuni un tempo dicevano, "la lotta continua".