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Il tesoretto dell’Inail

di Dimitri Buffa - 02/07/2008

Fonte: L'Opinione

 

 

 

Si parla tanto di infortuni sul lavoro. Ma cosa fa l’Inail, Istituto nazionale assicurazioni per infortuni sul lavoro, per prevenirli? L’Inail più che altro da anni accumula un vero e proprio tesoretto, oggi di circa 13 miliardi di euro, fatto soprattutto di risparmi su mancati investimenti. E si comporta più come una banca o appunto un’assicurazione, che gode sia dell’obbligatorietà della polizza per tutte le imprese e per tutti i dipendenti oltre che del monopolio pubblico del settore, piuttosto che come un ente utile a prevenire queste continue disgrazie. Di certo non vigila abbastanza sulle aziende visto che nel proprio sito internet ammette, tra l’altro, che,se dovesse controllarle tutte, con il personale attualmente a disposizione, potrebbe fare un’ispezione per ciascuna delle imprese a rischio ogni 23 anni. Ma allora perché continuare ad accantonare soldi per mancati investimenti e non puntare ad esempio sull’aumento del personale operativo? E che scopo sociale ha questo ente capacissimo di fare risparmi di gestione, ma del tutto inutile per quello cui dovrebbe servire? Tempo fa i Radicali italiani presentarono una proposta di legge per abolire il regime di monopolio in cui l’Inail agisce. E proprio domenica la segretaria uscente di Radicali italiani, Rita Bernardini, deputata al parlamento, ha denunciato questo ennesimo scandalo all’italiana nel proprio intervento al Comitato nazionale del partito.

Dice la Bernardini che “fra i tanti tabù italiani che è arduo infrangere c’è quello del Monopolio Inail in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.” E poi ricorda che “nel 1999 i radicali raccolsero le firme per un referendum che mirava ad abrogare il monopolio legale dell’Inail al fine di garantire maggiore libertà di scelta ai lavoratori ed un sistema di tutele più efficiente e plurale, ma, come spesso è accaduto, tale quesito referendario non giunse a votazione a causa dell’intervento politico della Corte Costituzionale che lo dichiarò inammissibile, non per ragioni attinenti al merito del quesito, ma perché giudicava inadeguato lo strumento referendario. I radicali – spiega la Bernardini - sono convinti che, al fine di garantire il diritto fondamentale dei lavoratori a tutele assicurative adeguate in caso di infortunio professionale, debba permanere l’obbligo assicurativo, ma che ciò non necessariamente implichi il ricorso ad un regime di monopolio legale a favore di un ente pubblico”. E allora? “E’ essenziale che il legislatore definisca le condizioni affinché sia garantito a tutti i lavoratori la prestazione assicurativa, anche nei casi in cui il datore di lavoro non ha rispettato l’obbligo di assicurazione, e la misura dell’indennizzo minimo, che consenta al lavoratore di disporre di mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita.

Inoltre, lo Stato dovrebbe intervenire per correggere possibili distorsioni derivanti dal funzionamento del mercato, per effetto delle quali alcuni lavoratori esposti a lavorazioni particolarmente pericolose potrebbero non trovare adeguata copertura assicurativa, ovvero trovarla a condizioni eccessivamente onerose.” Tutto ciò si concilia con l’apertura al mercato nella gestione dell’assicurazione, come dimostra l’esperienza di diversi paesi della Unione Europea come Belgio, Germania, Inghilterra, Olanda, dove il sistema non è gestito in regime di monopolio ed è possibile affidare la operatività del servizio assicurativo anche ad imprese e privati in regime di concorrenza. E’ inoltre giusto che lo Stato si assuma il compito politico-istituzionale di ridurre drasticamente il fenomeno degli incidenti sul lavoro, che oggi dovrebbe essere uno dei compiti principali dell’Inail. Ma se l’Inail si limita a gestirsi il proprio tesoretto e a vivere nella propria isola felice, come si farà a migliorare la situazione? Un capitolo a parte meritano gli accordi stra giudiziari tra aziende e lavoratori, specie quando ci scappa il morto. Ma questo è terreno più per la magistratura penale che per le leggi dei politici.