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Iraq, Consulenti a stelle e strisce per il ministero del Petrolio

di Ornella Sangiovanni - 02/07/2008




I Technical Service Agreements (TSA), i contratti di servizio che l'Iraq sta negoziando da mesi con alcune delle maggiori compagnie petrolifere internazionali, sono stati messi a punto con la consulenza degli Stati Uniti.

A fare lo "scoop" è ancora una volta il New York Times, e proprio alla vigilia dell'annuncio, da parte di Baghdad, dei primi sei giacimenti (anzi otto, considerando anche due giacimenti di gas) che verranno offerti alle compagnie petrolifere internazionali attraverso gare d'appalto.

Si tratta, scrive il giornale statunitense, della prima conferma di un coinvolgimento diretto dell'amministrazione Bush negli accordi per aprire il settore petrolifero iracheno agli investimenti stranieri, e probabilmente – viene sottolineato – "susciterà critiche".

Come stanno le cose? E' presto detto.

Un gruppo di "consiglieri americani", sotto la guida di un piccolo team del Dipartimento di Stato, avrebbe fornito consulenza nella stesura dei contratti al ministero del Petrolio, dove i "consiglieri" – legali del governo Usa e consulenti del settore privato – lavorano nella veste appunto di consulenti.

Sembra un gioco di parole, se non uno scioglilingua, ma rende l'idea.

A parlare al quotidiano statunitense, ovviamente a condizione di mantenere l'anonimato, sono stati proprio i "consiglieri" e "un alto funzionario del Dipartimento di Stato".

Che cosa hanno rivelato? Di avere fornito al ministero iracheno del Petrolio modelli di contratto e "suggerimenti dettagliati" per la stesura dei contratti, che Baghdad dovrebbe firmare con sei fra le maggiori compagnie internazionali, fra cui Shell, ExxonMobil, BP, e Total.

Anche se ieri il ministro del Petrolio, Hussein al Shahristani, ha comunicato, senza nascondere la propria frustrazione, che le trattative sono tuttora in corso.

Un ruolo limitato

Le fonti parlano, ma, al tempo stesso, si preoccupano di circoscrivere il loro ruolo. E dicono di essersi limitate ad aiutare il ministero, che non ha sufficiente personale qualificato, fornendo dettagli tecnici e legali dei contratti. Non hanno avuto alcuna parte, sottolineano, nella scelta delle compagnie.

I nostri consigli – dice l'alto funzionario del Dipartimento di Stato – non erano vincolanti, e a volte il ministero ha scelto di ignorarli. Non solo: gli iracheni si sono rivolti anche al governo norvegese per avere consulenza. E a decidere sono stati solo loro.

L'altra campana non c'è modo di sentirla – perché dal ministero del Petrolio di Baghdad non rispondono alle ripetute telefonate del quotidiano Usa che chiedono commenti.

Quindi non resta che continuare a sentire la versione americana.

Ovvero l'alto funzionario del Dipartimento di Stato, che rivela che presso il ministero iracheno del Petrolio sono assegnati "consiglieri" statunitensi provenienti appunto dal Dipartimento di Stato, da quello del Commercio, dell'Energia, e degli Interni. Insomma un bel gruppo, e variegato quanto a competenze.

Arriva USAID

Non solo: la United States Agency for International Development (USAID) - l'agenzia del Dipartimento di Stato che si occupa degli aiuti allo sviluppo, ha un contratto con una società di consulenza di Washington, la Management Systems International, per "consigliare" non solo il ministero del Petrolio, ma anche altri ministeri iracheni. E un programma dal nome significativo: Tatwir, che in arabo vuol dire sviluppo.

A parlare è proprio un dipendente di Tatwir, un canadese di origine irachena che non ha problemi a far sapere il suo nome: Samir Abid.

"Il dipartimento legale del ministero del Petrolio ci ha passato una bozza del contratto", dice Abid, in riferimento ai TSA, "e ci hanno chiesto i nostri commenti". "Non so se li abbiano utilizzati oppure no", aggiunge, parlando al telefono col New York Times.

Da USAID arriva la conferma. "Su richiesta del ministero del Petrolio, il team di Tatwir che si occupa dell'energia  ha rivisto il format, la struttura, e la chiarezza di linguaggio delle bozze di contratto", dice un comunicato dell'agenzia statunitense, affrettandosi a sottolineare che il team non ha avuto accesso a informazioni confidenziali da parte delle compagnie petrolifere.

Nonostante lo "scoop", l'articolo del New York Times usa toni cauti e prudenti.

E lascia che a lanciare il sasso nello stagno sia Frederick D. Barton, un esperto che lavora al Center for Strategic and International Studies di Washington – un think tank non propriamente progressista.

"Facciamo finta che [il petrolio] non sia un elemento centrale delle nostre motivazioni, e tuttavia continuiamo a confermare che lo è", è il suo commento.