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Il caso di Thomas Beatie: il Transgender e il Capitale

di Carlo Gambescia - 04/07/2008


Thomas Beatie, transgender americano trentaquattrenne, è divenuto padre di una bambina (http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/esteri/uomo-incinto-partorito/uomo-incinto-partorito/uomo-incinto-partorito.html).
Che dire? Innanzitutto che la vita va sempre apprezzata dovunque e comunque fiorisca… Ma va segnalato anche un altro aspetto, e certamente non positivo, della questione. Beatie, che aveva cambiato sesso dieci anni fa mantenendo però gli organi genitali femminili, ha dichiarato che “avere un bambino non è un desiderio femminile, né maschile. E' un bisogno umano. Sono una persona e dunque ho diritto ad un figlio biologico”.
Due questioni.
La prima. Crediamo che Beatie, pur se in buona fede, scambi, il concetto di desiderio con quello di bisogno. Si può desiderare un figlio, ma si può vivere anche senza. Il bisogno, come quello di nutrirsi, ad esempio, distingue la persona ma in termini biologici: se non ci si nutre si muore. Mentre un figlio, come desiderio di averne uno, è un fatto culturale. Dal momento, che si sopravvive biologicamente, per quando riguarda la propria stretta esistenza vitale, anche senza. La questione della continuità "biologica" - come trasmissione del nome di padre in figlio - è in realtà un fatto culturale, che varia in base alle diverse culture storiche. E dunque legato alle differenti forme di socializzazione.
La seconda. In questo “desiderare” un figlio a tutti i costi” scorgiamo il riproporsi di quel respingere ogni limite (della biologia umana, della tecnica, dell’economia, eccetera), tipico del nostro tempo. Il figlio “voluto a tutti i costi” fa il paio con quell’assenza di limiti che secondo molti deve segnare , l'inarrestabile ma benevola, marcia tronfale della “macchina capitalistica”: la mancanza di limiti è vista, di per sé, come segno di progresso. E ogni intralcio (biologico, morale culturale, eccetera) è giudicato come un ostacolo all’inarrestabile marcia dell’uomo verso “il sempre meglio”. Facciamo notare che la categoria di desiderio, scambiata da Beatie, con quella di bisogno, rinvia all’approccio capitalistico alle questioni umane: un'antropologia culturale dove i desideri sono di regola presentati, e mascherati, come bisogni (il bisogno di un' automobile nuova, di un abito firmato, eccetera).
Di riflesso - e concludiamo - un sincero anticapitalista, magari fautore anche della “decrescita”, dovrebbe riflettere un momento prima di approvare comportamenti tipicamente “consumistici” come quelli di Thomas Beatie. Che, attenzione, se tanto ci dà tanto, prima o poi potrebbe anche stancarsi di questa figlia, proprio come di un paio di mutande firmate passate di moda.
E allora?