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Gli stipendi dei banchieri fanno male al sistema

di Mario Braconi - 04/07/2008

Secondo il professor Nouriel Roubini, la devastante crisi finanziaria che, associata a quella economica, minaccia di mettere in ginocchio interi continenti e di modificare per sempre il nostro modo di vivere, ha cause precise che possono essere sinteticamente elencate: un modello di business basato sul cosiddetto “originate and distribute” (“creare [prodotti finanziari complessi] per poi rivenderli immediatamente a qualcun altro - ossia la versione di lusso del gioco del cerino acceso); il fatto che la gran parte dell’intermediazione finanziaria dei prodotti potenzialmente “tossici” transiti ormai attraverso un sistema finanziario parallelo - ad esempio broker, hedge fund, “veicoli” speciali e via dicendo - non soggetto (come le banche) a regolamentazione pubblica; un tipo di regolamentazione incline a far leva su autodisciplina e standard di mercato più che su obblighi di legge; la scarsa capacità delle attuali pratiche contabili a valutare e gestire crisi di liquidità; i conflitti di interesse in cui sono incorse le agenzie di rating facendo gran parte dei loro profitti valutando prodotti finanziari infarciti di derivati complessi ed “esotici”.

Un’altra delle distorsioni che hanno prodotto le esplosive perdite realizzate quest’anno dalle banche d’affari è il modo in cui vengono remunerati i loro manager: i bonus, infatti, sono legati alle performance di breve periodo e si muovono in una sola direzione: verso l’alto. In questo modo i dirigenti sono strapagati quando le cose vanno bene, ma quando i profitti potenziali diventano vere perdite sui libri contabili, il massimo che può loro succedere è vedersi azzerato il bonus per quell’esercizio. E’ facile concludere con Raghuram Rajan, un altro economista, che questo metodo di retribuzione, oltre che iniquo, costituisce un robusto incentivo a mettere in atto comportamenti pericolosi.

Che ormai i bonus dei dirigenti delle merchant bank abbiano un andamento del tutto scollegato dai risultati aziendali è evidente: si pensi che la banca d’affari americana Morgan Stanley, pur avendo annunciato 9,4 miliardi di dollari di perdite nel quarto trimestre 2007, ha visto nello stesso esercizio crescere del 18% il valore delle risorse destinate ai bonus. Per quanto possa sembrare paradossale, insomma, i peggiori nemici dei capitalisti sono proprio i capitalisti: lo sostiene del resto lo stesso Raghuram Rajan, che assieme al collega Luigi Zingales, ha dedicato all’argomento un libro dal titolo ironico (“Salvare il capitalismo dai capitalisti”).

Per aggiungere valore (o "alfa"), un buon finanziere deve essere dotato di fiuto, dinamismo e creatività. Si ha fiuto quando si riesce a capire quali attività sul mercato sono valutate meno delle loro effettive potenzialità. Per dinamismo si intende l'abilità di "comprare controllo" in un'azienda e lavorarci sopra, in modo tale da modificare il rendimento del titolo azionario che la rappresenta. Quando si creano a tavolino strumenti o flussi di cassa ritagliati per investitori o esigenze specifiche, invece, si è creativi, a meno che non si stiano sfruttando i punti deboli o l'ignoranza della controparte (ed è noto dalle cronache che spesso è proprio questo ciò che accade).

Secondo Raghuram, solo un pugno di individui ha la stoffa per creare vero "alfa"; un sistema premiante basato sul profitto di breve periodo tende però a far prosperare altri soggetti che generano "falso alfa" mettendo in atto strategie con ritorni sensibilmente superiori alla media quale contropartita di una perdita drastica anche se assai improbabile. Esattamente la strategia seguita dalla Northern Rock, la banca britannica fallita e recentemente nazionalizzata, che prendeva a prestito a breve offrendo credito a lungo periodo; si suppone che i suoi capi di quando in quando si raccogliessero in preghiera per scongiurare l'improbabile crisi di liquidità che si è però realmente verificata, azzerando il bilancio.

Poiché dunque l'abilità dei manager finanziari si dovrebbe misurare nel lungo periodo, Raghuram Rajan propone di mantenere una parte rilevante del loro stipendio in un conto vincolato, con la possibilità per gli azionisti di riprenderselo in tutto o in parte se la strategia che ha funzionato bene per un po' finisce in un disastro. Sono tempi strani: tocca pure vedere il Financial Times argomentare a favore dell’equità e del controllo pubblico. Chi l'avrebbe mai detto?