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Cisa: una strada che attraversa i secoli

di Franco Cardini - 04/07/2008

   
Prendendo spunto dai diversi usi del passo appenninico della Cisa nelle differenti epoche, Franco Cardini esamina come l’importante ricostruzione storica del sistema viario debba tener conto di complesse ragioni geografiche, politiche, economiche e tecnologiche.
Per tutto il Medioevo il passo della Cisa fu uno dei nodi fondamentali della Via Francigena, la principale arteria dell’Italia nord-occidentale, veicolo di merci e pellegrini in viaggio da Roma alla Francia. Solo all’inizio del XIX secolo, per volere di Napoleone, si ridisegnò il tracciato viario che collegava Parma a La Spezia cercando così di migliorare i collegamenti con l’entroterra dei vitali porti di Genova e La Spezia, fornendo una via “carrozzabile” e militarmente efficace che unisse la Francia a Roma. Ma la nuova strada fu finita solo nel 1835 da Maria Luigia d’Asburgo.


Si è piuttosto abituati a fare la storia ‘per anniversary’, specie quando ci si serve dei mass media. Non è detto si tratti di una cattiva abitudine: solo che, così facendo, è facile incappare nella banalità o nella retorica.
Ma ciò non accade quando capiti di dover parlare di anniversari di avvenimenti in apparenza ‘minori’, di quelli tuttavia che, guardati un po’ più da vicino, rivelano un senso e un’importanza speciali, a volte straordinari.
Prendiamone uno che sono certo in pochi a ricordare e a celebrare, per quanto abbia costituito l’oggetto di un bel libro recente di Giampiero Salvanelli, La Cisa e il Cerreto.
Storia di due strade del XIX secolo fra Mar Tirreno, la Pianura Padana e Vienna. […] Fare la storia delle strade significa affrontare argomenti complessi di storia della geografia e della topografia, di storia della tecnologia e dell’economia. Tanto più poi quando si parla della Cisa, in quanto il celebre passo appenninico – che oggi si affronta agevolmente, imboccando l’autostrada A 15 Parma-mare – è per secoli stato l’ardua porta verso la Pianura Padana e il Piemonte per chi, provenendo dalla Toscana, puntava ad esempio verso la Francia.
Per lunghi secoli, da circa il VI al XVIII, il Mons Bardonis ha dominato i cammini e i traffici tra Piacenza e Lucca, tanto che in Toscana era noto anche come ‘Passo dei Longobardi’. Durante il Medioevo, abbandonate o comunque entrate in disuso almeno per larghi tratti le vecchie vie consolari romane, il sistema di comunicazioni che percorreva l’antica Tuscia fondandosi sulle vie Aurelia lungo il Tirreno e Cassia nell’interno entrò in crisi: e si provvide gradualmente a sostituirlo con una strada che attraversava la regione da sud a nord, vale a dire appunto dal lago di Bolsena al passo della Cisa. Fu questa la gloriosa, oggi tornata celebre Via Francigena, […] o semplicemente come Via Peregrinorum. Provenendo da Roma, e attraversati i centri urbani di Siena e di Lucca, tale via varcava appunto la Cisa per passare poi il Po a Piacenza e da lì, attraverso il Monferrato e il Piemonte, giungere sino al valico alpino del Monviso. Al di là delle Alpi, attraverso la Borgogna e la Provenza, la strada continuava fino a valicare i Pirenei ai due passi di Somport e di Roincisvalle: e, una volta nella penisola iberica, si univa agli altri itinerari provenienti dal nord e dal centro della Francia per formare un solo prestigioso tratto, il cosiddetto Camino de Santiago, che dall’Aragona e dalla Navarra conduceva a Compostela in Galizia, al santuario cioè di Santiago, tappa principale – insieme con Roma e con Gerusalemme – della grande rete di pellegrinaggio che per secoli ha avvolto Europa e Mediterraneo.
Ebbene: l’antica via dei pellegrini resse per secoli, adempiendo validamente alle necessità viarie dell’Italia nordoccidentale. Ma il progresso, con il secolo XIX, cominciò a divenir vorticoso. Specie quando l’imperatore Napoleone I – che dominava nel primo quindicennio del secolo direttamente almeno mezza penisola, come re d’Italia ma anche come imperatore dei francesi, in quanto aveva annesso la Toscana all’impero – volse la sua dinamica attenzione alla situazione viaria della penisola. I due porti di Genova e di La Spezia andavano collegati meglio all’entroterra che non attraverso l’impervia ‘via del Bisagno’: e alle ragioni economiche e commerciali si aggiungevano quelle tecnologiche – v’era ormai bisogno di ‘vie carozzabili’ su cui far transitare un traffico sempre più frequente e pesante di carrozze e diligenze – e infine quelle militari. Fu per questo che, con decreto dato in Bayonne il 5 luglio del 1808, si ordinava l’apertura della ‘strada imperiale di seconda classe’, la route n.213, destinata a collegare Parma e La Spezia, cioè la pianura padana con la ‘Cornice’ litoranea che lungo il Tirreno scendeva dalla Francia per giungere a Roma.
L’imperatore, che aveva impegnato il meglio della tecnologia del suo tempo nell’ardua opera, non ce la fece a vederla ultimata. Ma – ironia o sorpendente ‘sapienza’ della storia – il compito di ultimarla toccò alla sua non troppo fedele consorte, Maria Luigia d’Asburgo, che una volta divenuta con la restaurazione duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, continuò con il pieno appoggio del principe di Metternich il lavoro avviato dal consorte. Una volta terminata, la strada si configurò come una continuazione della via che da Parma, attraverso Mantova, giungeva fino a Vienna: una vera e propria arteria della Restaurazione, che congiungeva la Mitteleuropa al Tirreno.
Non fu un’impresa facile. I lavori, difficili e costosi, furono interrotti più volte: soltanto nel 1835 fu completato l’ultimo tratto e un decennio più tardi istituito un servizio postale che fu prolungato in seguito e che copriva quasi per intero il tracciato. Si ebbe addirittura un servizio giornaliero di diligenze tra Parma e Pontremoli.
Naturalmente, l’avvento delle ferrovie e poi delle automobili sconvolse di nuovo questo assetto viario tanto faticosamente rinnovato. La statale 62 restò comunque a lungo la via principale per arrivare al Tirreno dalle città della Pianura Padana […].