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Stromboli come porta dell'inferno? L'incredibile «caso» di Mr. Bootty del 1686

di Francesco Lamendola - 07/07/2008

Uno dei periodi meno documentati della vita di Friedrich Nietzsche è quello che comprende il suo viaggio in Sicilia, nell'aprile del 1882, dei cui particolari i biografi del filosofo (che aveva già scritto La gaia scienza, ma non ancora lo Zarathustra), con loro gran disappunto, ignorano praticamente tutto.

Nel quaderno relativo all'estate dell'anno successivo, il 1883, Nietzsche accenna diverse volte a un vulcano e anche a un sentiero che lo percorre, e questo ha fatto pensare che egli abbia compiuto una escursione alle Isole Eolie e che abbia potuto ammirare, magari anche senza sbarcarvi, l'isola di Stromboli, con il suo possente cono vulcanico.

In effetti, nella quarte parte di Also sprach Zarathustra, il capitolo Di grandi eventi presenta alcune indicazioni geografiche che suffragherebbero questa ipotesi.

Ne riportiamo la pagina iniziale, nella bellissima traduzione di Liliana Scalero (Longanesi & C., Milano, 1972, vol. 2, pp. 217-218):

 

C'è un'isola nel mare, poco lontana dalla beata isola di Zarathustra, su cui fuma in permanenza un vulcano; di essa dice il popolo (e in particolare le donnette del popolo) che è posta come un masso di roccia davanti alla porta degli Inferi; ma che attraverso il vulcano scende uno stretto sentiero che conduce a quella porta del mondo sotterraneo.

Ora, al tempo in cui Zarathustra soggiornava sull'isola beata, avvenne che una nave gettò l'ancora davanti all'isola su cui sorge il vulcano fumante; e l'equipaggio scese a terra per dar la caccia ai conigli.

Ma verso l'ora del meriggio, quando il capitano e i suoi uomini si trovavano di nuovo riuniti insieme, ecco che videro improvvisamente un uomo venire giù dall'aria verso di loro, e una voce disse chiaramente: «È l'ora! Non c'è più tempo da perdere!». Ma quando quella figura fu vicina a loro (essa tuttavia volò via di nuovo in fretta, come un'ombra, nella direzione dove sorgeva il vulcano), riconobbero con spavento che si trattava di Zarathustra; poiché l'avevano già visto tutti, eccetto il capitano, e l'amavano, come ama il popolo: alternando in parti uguali amore e timore, in modo ch'essi siano entrambi uniti insieme.

«Guardate un po'!» disse il vecchio timoniere. «Ecco Zarathustra che se ne va all'inferno!».

Nello stesso periodo di tempo in cui quei naviganti erano sbarcati nell'isola, correva voce che Zarathustra fosse sparito, e quando interrogarono i suoi amici, essi dissero che egli era salito di notte su una nave, senza dire dove voleva andare.

Così ne nacque una grande inquietudine; ma dopo tre giorni si aggiunse a quest'inquietudine la storia dei marinai, e allora il popolo disse che il diavolo era venuto a prendere Zarathustra. I suoi discepoli risero bensì di queste chiacchiere; e uno di essi disse perfino: «Credo piuttosto che sia stato Zarathustra a venire a prendere il diavolo».ma in fondo all'anima erano tutti pieni di ansia e nostalgia; sì che grande fu la loro gioia quando dopo cinque giorni Zarathustra comparve di nuovo in mezzo a loro…

 

 

Un'isola mediterranea, appartata e solitaria; un vulcano ancora attivo e fumante; e, come unici abitanti, i conigli selvatici e i marinai delle rare navi di passaggio, che scendono a terra per dare loro la caccia. Questi elementi farebbero effettivamente pensare all'isola di Stromboli (superficie di 12,6 kmq.; 926 m. di altitudine), l'unica isola del Mediterraneo che ospiti un vulcano in attività e intorno al quale, come vedremo, sono fiorite sin dai tempi antichi leggende popolari relative al diavolo e all'Inferno.

Di questa opinione è anche Joachim Köhler, del cui libro: Nietzsche. Il segreto di Zarathustra (traduzione italiana di Paolo Fontana, Rusconi, Milano, 1994) abbiamo già avuto occasione di occuparci, nell'articolo intitolato L'omofilia di Nietzsche e la storia vista dal buco della serratura, consultabile sul sito di Arianna Editrice. 

E il particolare sconcertante di Zarathustra che appare in volo e che poi si allontana in direzione del vulcano, tanto da far sorgere la diceria che il diavolo sia venuto per portarselo giù all'Inferno, come si inserisce nel contesto di quella scena e di quel paesaggio?

La cosa, in realtà, ha una sua spiegazione.

Nietzsche, da ragazzo, si era vivamente interessato alle visioni degli spiriti, come del resto il suo «maestro» Schopenhauer, che vi aveva dedicato uno dei sei trattati che compongono il primo volume dei  Parerga und Paralipomena (Berlino, 1851, 2 voll.), l'opera che gli aveva dato, benché tardivamente, l'agognato successo di pubblico.

Elisabeth Nietzsche, l'amata-odiata sorella, ci racconta che il fratello, all'età di dodici-quindici anni (dunque, fra il 1856 e il 1859), nella biblioteca parrocchiale di Pobles, si immerse nella lettura dei libri di Justinus Kerner, il celebre medico che aveva studiato, fra l'altro, il «caso» di Friederike Hauffe, la cosiddetta «veggente di Prevorst», del quale noi pure ci siano recentemente occupati (cfr. Leggere con lo stomaco, vedere gli spiriti: il «caso» della veggente di Prevorst, consultabile sul sito di Edicolaweb e di Arianna Editrice).

Ma già alcuni anni prima, all'età di appena sei anni (il padre del filosofo, il pastore luterano Karl Ludwig, era stato sepolto sei mesi prima), Nietzsche aveva fatto una strana esperienza: un sogno, o forse una visione, che rafforzò la sua credenza nei fantasmi. Era una notte d'inverno del 1850 e  Nietzsche dormiva nel suo letto, nella canonica immersa nel silenzio. Fuori delle finestre, la  quiete del cimitero.

Ed ecco, fece questo sogno. Era nel cimitero, e dalla chiesa si spandeva il suono dell'organo; ma era un suono triste, come per un funerale. Di colpo una tomba si spalancò, e il padre di Nietzsche ne emerse, avvolto nel sudario. Egli corse in chiesa e poco dopo ne uscì, recando un bambino in braccio. A questo punto il tumulo si aprì, l'uomo vi entrò e il coperchio si richiuse sopra di lui. Mentre il suono dell'organo cessava improvvisamente, il piccolo Nietzsche si risvegliò da quel sogno, o piuttosto da quell'incubo. Parecchi anni dopo, egli ne ricordava ancora ogni singolo, angoscioso particolare, come se lo avesse fatto il giorno prima.

Esperienza senza dubbio impressionante, specie per un bambino di quell'età. Non aveva visto, semplicemente, il padre morto uscire dalla tomba; ma il padre uscire dalla tomba per venire a prendere lui, e portarlo con sé fin dentro il sepolcro.

 

Nel suo libro (Op. cit., pp. 472-474), il Köhler osserva, a proposito dell'ipotetico viaggio di Nietzsche all'isola di Stromboli e alla credenza nei fantasmi, che il filosofo aveva nutrito da bambino (in compagnia, bisogna dire, di una gran parte dei suoi contemporanei, anche adulti): 

 

Nietzsche, come Maupassant, era andato da Messina alle Lipari e poi in barca fino al «monte delle ceneri»? Un paio di pagine dopo annota: «Come ultima scena l'apparizione a Stromboli». Quindi non vi era semplicemente stato, aveva anche avuto un'«apparizione»? Forse quell'ombra nella quale lui stesso - o altri - riconobbero Zarathustra? La risposta che diede Jung in una dissertazione del 1901 suona infinitamente più prosaica: L'autore dello Zarathustra ha ripreso la scena iniziale del capitolo semplicemente dal giornale dell'orrore di Justinus Kerner, i Blätter au Prevorst. Non volendo accusar di plagio lo stimato Nietzsche, Jung parlò di «criptomnesia», cioè di un ricordo che non entra in quanto tale nella coscienza - un po' come lo scudo dell'eterno ritorno o il saggio greco al mare. Tra i dodici ed i quindici anni Friedrich aveva effettivamente studiato a fondo, a Pobles, il libro di devozione occultistico di Kerner e vi aveva scoperto quella storia del 1686 che proprio per la sua inusuale conclusione deve averlo vivamente impressionato. Quattro navi inglesi gettano l'ancora a Stromboli perché i loro comandanti vogliono scendere a terra ed andare a caccia di conigli.

 

«Con loro indicibile stupore videro in aria venire verso di loro due uomini. L'uno era vestito di nero, l'altro aveva un vestito grigio; passarono davanti a loro da vicino e discesero con loro grande costernazione in mezzo alle fiamme ardenti, nel cratere del terribile vulcano Stromboli».

 

Uno degli uomini sceso all'inferno in modo tanto spettacolare venne riconosciuto. Era un certo Mr. Bootty ce, come volle il caso, viveva nelle vicinanze di uno dei comandanti. Viveva? Appena tornato in patria, l'equipaggio apprese che costui all'ora della sua apparizione e sparizione nella bocca del vulcano era morto nella sua casa di Wapping, in Inghilterra. La vedova di Bootty trovò la storia poco divertente e sporse querela per diffamazione del suo povero marito. Invano. Poiché i comandanti erano uomini di onore ed avevano riconosciuto non solo il volto dello scomparso, ma anche i bottoni speciali della sua giacca, l'accusa venne respinta e la donna dovette pure pagare le spese del processo che, caso unico nella storia del diritto, aveva confermato l'esistenza dei fantasmi.

La storia deve aver avuto su Fritz l'effetto di una rivelazione: vi trovava confermato sotto giuramento che i morti tornano come fantasmi e, peggio ancora, vengono attirati dal diavolo nell'inferno. Chi altri avrebbe potuto essere la seconda figura! Qui stava nero su bianco quel che Fritz aveva visto nella notte d'inverno a Röcken per metà sveglio e per metà in sogno.  L'impressione fu così forte che un quarto d secolo dopo era in grado di ripetere la storia quasi alla lettera, compreso il divertente dettaglio della caccia ai conigli. Contrariamente alla sue solite «criptomnesie» allucinatorie, il quarantenne Nietzsche sapeva assai bene cosa stava ricordando  tanto da annotarsi «l'apparizione a Stromboli». Ma perché rivanga questa storia di diavoli e fantasmi proprio adesso che il suo eroe è a suo agio sulle isole beate e prossimo ad attuare l'ideale del superuomo? Perché è prossimo anche il timore della punizione: il fantasma del dio morto, che getta la sua ombra sul paradiso. Non aveva già temuto da bambino che il diavolo - o lo spettro del padre - potesse venire a prenderlo? E l'imprecazione «che il diavolo mi/ti porti!» non era la sua preferita? E se improvvisamente fosse successo davvero? Alla paura dell'inferno, che era connessa ai ricordi della sua prima infanzia, se ne aggiungeva un'altra moto più realistica: poteva essere riconosciuto come seguace dei costumi greci in contrade permissive - magari proprio, come il povero Mr. Bootty, con un oscuro accompagnatore… Più ancora che la paura infantile per la salvezza dell'anima ed il rimorso di coscienza emerse in primo piano un pensiero che lo gettava nel panico: era sul punto di rovinarsi irrimediabilmente la reputazione. Un conoscente qualunque poteva vederlo ed allora non sarebbero stato guastati solo i dolci frutti del paradiso - per il professor Nietzsche sarebbe stata la fine.

Il timore che il diavolo venisse a prenderlo - la sua abitudine di mandare al diavolo - s'era già fatto vedere nel prologo dello Zarathustra. L'eroe aveva consolato il funambolo morente, vittima del diabolico pagliaccio, assicurandogli che non c'è né il diavolo né l'inferno. L'autore vuol confutare l'idea dell'inferno mettendola in ridicolo. Ciò che le vecchiette del popolo ritenevano un aldilà di fuoco, non è altro che lava allo stato liquido all'interno della terra - così racconta dopo il suo ritorno sulle isole. Poteva con le sue rumorose eruzioni provocare scompiglio e distruzione, ma rimanendo comunque insensata come ogni rivoluzione. Col suo ritorno Zarathustra dimostra che l'inferno è inoffensivo, il suo Cerbero senza denti: è tornato dall'Ade come Eracle - peraltro al prezzo di essere diventato lui stesso qualcosa di irreale ed impalpabile.

 

Abbiamo già avuto occasione, nell'articolo sopra ricordato, di avanzare le nostre riserve sulla metodologia di ricerca adottata da Joachim Köhler. In quella sede avevamo criticato sia l'interesse della tesi di fondo del suoi libro - l'omosessualità a lungo repressa, e infine accettata, di Nietzsche -, sia la fragilità delle basi documentarie sulle quali tale tesi si regge. Fedele al metodo psicanalitico classico, Köhler pensa di aver dimostrato che Nietzsche era un omofilo represso semplicemente sulla base di una interpretazione freudiana di passi della sua opera letteraria, dei suoi diari e del suo carteggio privato. Ma un tale metodo indiziario e, per così dire, poliziesco, potrebbe consentire - crediamo - di «dimostrare» esattamente la stessa cosa per il novantanove per cento degli esseri umani, a patto di maneggiare con estrema disinvoltura alcune circostanze della loro vita, per supportare una tesi precostituita.

Anche nel caso presente, ci troviamo in disaccordo con il Köhler sia nel merito, che nel metodo. Non è affatto dimostrato che Nietzsche, durante il suo viaggio in Sicilia  - da cui sarebbero nati gli Idilli di Messina -, si sia abbandonato infine a quella sua tendenza repressa. Il fatto che non sappiamo esattamente né dove sia stato, né cosa abbia fatto, non autorizza a dedurne che egli aveva voluto far perdere deliberatamente le sue tracce, per potersi abbandonare alla pratica omosessuale senza correre il rischio di essere riconosciuto e svergognato. E neppure è dimostrato - come pure afferma il Köhler, che «nel fantasma si nasconde la paura per la predominante autorità patriarcale». Questo credeva di averlo dimostrato Freud; ma Freud credeva di aver dimostrato un sacco di cose le quali, invece, risultano «dimostrate» solo per i suoi seguaci.

 

Ma torniamo all'episodio di Mr. Bootty e del vulcano Stromboli, riferito da Justinus Kerner e che - questo sì, possiamo senz'altro ammetterlo - sarà ritornato in mente a Nietzsche mentre, tanti anni dopo aver letto quella storia di fantasmi, si accingeva a comporre la quarta ed ultima parte del suo capolavoro, lo Zarathustra.

Kerner, come abbiamo avuto modo di osservare, non era uno sciocco o un semplicione; era un medico con forti interessi per la psicologia e la psichiatria e uno scrittore tutt'altro che disprezzabile, visto che ancora oggi è ricordato come autore di ballate e poesie pervase da un soffio di freschezza popolaresca, tanto da essere considerato come il caposcuola dei cosiddetti «poeti svevi».Quanto alla sua serietà di studioso, basti ricordare la stima di cui godette ai suoi tempi, quando la sua casa era frequentata da personaggi come Ludwig Tieck, Achim von Arnim,  Nikolaus Lenau ed Eduard Mörike; nonché la circostanza che ebbe in cura, a Tubinga, un paziente di nome Friedrich Hölderlin: l'astro degli scrittori romantici tedeschi, purtroppo precipitato nei gorghi della follia per ben 37 anni, gli ultimi della sua vita.

E non è affatto vero che Justinus Kerner era un pastore luterano, come scrive Joachim Köhler nel suo libro Nietzsche. Il segreto di Zarathustra. Qui il biografo si rivela disinformato circa il  personaggio, del quale vorrebbe farci credere che altro non era se non un ingenuo e visionario collezionista di fantasmi e di singolari manifestazioni di tipo soprannaturale.

 

Non siamo in grado di fornire maggiori ragguagli circa la sconvolgente vicenda relativa a Mr. Bootty e alla sua apparizione ai capitani delle navi britanniche.

Il vulcano di Stromboli non era considerato, al tempo del paganesimo greco-romano, uno dei siti di accesso all'Ade, come lo era, ad esempio, il lago d'Averno, nei pressi di Cuma, in Campania. La credenza che lo vuole come porta non di un generico regno dei morti, ma dell'Inferno vero e proprio, è di origine cristiana e risale alla più tarda antichità e ai primi secoli del Medioevo. Bisogna comunque premettere che i vulcani, nell'alto Medioevo, hanno visto fiorire una quantità di leggende intorno ad alcuni importanti personaggi storici o storico-leggendari. Valga per tutti il caso dell'Etna e del mitico re Artù, argomento che è stato trattato da uno studioso del valore di Arturo Graf nel suo Artù nell'Etna. Miti e leggende (ripubblicato dalla Casa Editrice Atanor di Roma nel 1980, insieme ad altri saggi del medesimo Autore).

Ma, tornando a Stromboli, chi non conosce la poesia di Giosuè Carducci, La leggenda di Teodorico, nel VI libro delle Rime Nuove? In essa si racconta di come il re ostrogoto, rapito da un corsiero infernale mentre inseguiva un cervo di meravigliosa bellezza, venne trascinato fino alle isole Lipari e precipitato nell'Inferno, quale punizione per aver ordinato l'uccisione del filosofo Severino Boezio. Fin dai tempi antichi, infatti, si favoleggiava che in quelle isole vi fosse la reggia di Vulcano (Efesto), dio del fuoco, il quale - appunto - lasciò il suo nome a una delle isole di quell'arcipelago.

Ne riportiamo le due strofe conclusive (versi 89-104), nei quali culmina la punizione divina e appare chiaro che il cavallo nero, apparso misteriosamente fuori della reggia di Verona, altri non era che il diavolo, venuto a portare via l'anima, insieme col corpo, del sovrano destinato all'eterna dannazione:

 

Ecco Lipari, la reggia

di Vulcano ardua che fuma

e tra i bombiti lampeggia

de l'ardor che la consuma:

quivi giunti il caval nero

contro il ciel forte springò

annitrendo; e il cavaliero

nel cratere inabissò.

 

Ma dal calabro confine

Che mai sorge in vetta al monte?

Non è il sole, è un bianco crine;

non è il sole, è un'ampia fronte

sanguinosa, in un sorriso

di martirio e di splendor:

di Boezio è il santo viso,

del romano senator.

 

L'isola che dà accesso all'inferno, in questa poesia, è - dunque - Lipari (che dà il nome all'intero arcipelago, chiamato anche delle Eolie) e non Stromboli.

Inoltre, vale la pena di osservare che Carducci compose questa ballata tra il dicembre del 1884 e il gennaio del 1885, dunque dopo che Nietzsche ebbe scritto la quarta parte dello Zarathustra, nel corso del 1884 e in vari luoghi - in Engadina, a Zurigo, a Mentone e a Nizza -, ma prima che il filosofo la facesse stampare, fra il marzo e l'aprile del 1885, a proprie spese, in quaranta esemplari da regalare agli amici.

Apparentemente, anche se si tratta di una curiosa coincidenza cronologica, sembra che si debba escludere un influsso reciproco.

Ad ogni modo, la leggenda più diffusa sulla fine di Teoderico - citata anche da papa Gregorio Magno ma, probabilmente, ancora più antica - non parla dell'isola di Lipari, ma di Stromboli: l'isola, appunto, che avrebbe ispirato - con la mediazione della lettura di Justinus Kerner - l'episodio del "volo" di Zarathustra nel capitolo intitolato Di grandi cose.

 

Ecco come ricostruisce la nascita della leggenda sulla dannazione di Teoderico il grande storico tedesco Ferdinand Gregorovius nella sua celebre Storia della città di Roma nel Medioevo (titolo originale: Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, 1859-73; traduzione italiana a cura di Luigi Trompeo, Gherardo Casini Editore, Roma, 1988, vol. 1, pp. 392-393):

 

Teodorico morì il 30 agosto 526. Fanatico santi raccontano che l'anima di Teodorico, nuda, scalza e carica di catene, fosse trascinata per l'etere dalle ombre irate di papa Giovanni e del patrizio Simmaco, che lo scagliarono nel cratere dello Stromboli; e dicono che tanto avesse veduto, coi suoi propri occhi un anacoreta che dimorava in quell'isola. Ed il grande Gregorio introdusse nei suoi Dialoghi questa favola infernale.

 

E aggiunge, in nota:

 

S. Gregor., Dial., c. 30. Nell'VIII secolo ancora il santo Wililbaldo asseriva che presso l'isola di Vulcano, che appartiene alle Lipari, vi fosse l'inferno di Teodorico («ibi est infernus Theodorici»).Vita sei Hodoeporicon S. Wilibaldi di Tito Tobler, De scriptiones terrae sanctae, p. 42 la leggenda che Teodorico fosse precipitato tra gli spiriti maligni, appare anche nelle poesie della corte di Etel dove Dietrich, il figlio di uno spirito cattivo, vedeva quegli che aveva costruito la cittadella di Verona, condotto finalmente da un cavallo infernale nel deserto, combattere ininterrottamente contro due vermi. Anche sul portale della chiesa di San Zanone a Verona esso è raffigurato come un selvaggio cacciatore. V.  Fr. V. A. Hagen, Lettere alla patria, 1818, vol. II, pag. 60.

 

Tirando le somme, abbiamo i seguenti elementi sui quali riflettere: un arcipelago mediterraneo che, da antica data, è indicato quale via di accesso al mondo infernale; uno studioso del paranormale che vi colloca una straordinaria storia di fantasmi, risalente al 1686; un filosofo che, suggestionato - probabilmente - da entrambe queste fonti, descrive una apparizione soprannaturale sopra la bocca del vulcano.

Che cosa possiamo concludere?

Leggende e letteratura a parte, l'episodio relativo al «caso»di Mr. Bootty presenta aspetti che lasciano pensosi..

Che interesse avrebbero avuto, quattro stimati capitani di nave britannici, ad inventarsi una storia che sembra fatta apposta per non essere creduta?

E, anche ammesso che se la fossero inventata, come avrebbero potuto indovinare il giorno preciso della morte di Mr. Bootty, avvenuta in Gran Bretagna, e cioè a migliaia di chilometri e a settimane di navigazione dalle isole Eolie?

Ancora: avrebbe potuto sbilanciarsi, un tribunale di Sua Maestà britannica, fino al punto di convalidare il loro racconto, dando torto alla denuncia per calunnia della vedova di Mr. Bootty, se i suoi membri non fossero stati talmente convinti della realtà del fatto, da non temere l'incredulità e la derisione del pubblico?

E, d'altra parte, si può realmente credere che il diavolo prenda le anime dei defunti e se le porti verso la bocca di un vulcano, volando nell'aria, sotto gli occhi di parecchi testimoni, come in un romanzo di Michail Bulgakov?

Ricordiamo l'affermazione della veggente Friederike Hauffe, secondo la quale il mondo è pieno di spiriti; e che, se noi potessimo vederli (come lei li vedeva), ci accorgeremmo che ne siamo letteralmente circondati.

Può essere che, talvolta - in circostanze del tutto eccezionali, ad esempio per un risveglio spontaneo di facoltà medianiche  - persone assolutamente «normali» abbiano la ventura di assistere a quello spettacolo, superando la soglia dell'invisibile?

E l'isola di Stromboli è legata a qualche circostanza, a qualche mistero riguardante le apparizione dei defunti?

Anche di recente, il suo possente cono vulcanico è entrato in una fase di forte attività eruttiva, con gran spavento degli abitanti. Fra il 27 febbraio e il 15 marzo del 2007, esso è entrato nelle nostre case, attraverso le spettacolari immagini della cosiddetta Sciara del fuoco, mostrate dalla televisione e dalle riviste illustrate.

Se un mistero di tipo soprannaturale ha a che fare con quell'isola, esso è ben protetto dietro lo schermo dei densi vapori e della lava incandescente che erompono dal ventre infuocato del suo alto, impressionante vulcano.