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Cosa è il comunitarismo?

di Manuel Zanarini - 08/07/2008

 

 

Prima di cominciare a parlare di “comunitarismo”, penso sia utile introdurre due distinzioni rintracciabili nelle varie idee sociologiche.

Nella prima si possono contrapporre coloro che ritengono l'uomo essere antecedente alla Società, quindi come “entità prima”,  che forma il raggruppamento sociale (come i contrattualisti alla Hobbes); e chi invece considera l'Uomo come “animale sociale”, cioè come entità riconoscibile solo all'interno di un contesto sociale già carico di significati (per esempio Durkheim e la sua teoria dei fatti sociali).

Altra dicotomia importante è quella tra chi ritiene la società come un tutt'uno, come un “organismo unico”, come Aristotele e Platone, e chi invece la ritiene inevitabilmente scossa da forze contrastanti, il più famoso di quest'ultimi è certamente Marx.

 

All'interno delle correnti di pensiero che riconoscono non nell'individuo, ma nel raggruppamento sociale il centro costitutivo primario, e che lo vede, o che se lo augura, come un gruppo organico, dove ogni parte deve agire per il bene comune, e non per esempio ogni classe per sé contro l'altra, il “comunitarismo” ricopre a mio avviso un ruolo fondamentale e meritevole di essere approfondito, soprattutto in un momento storico come quello attuale dove l'individuo sembra essere travolto da uno smarrimento esistenziale.

 

I primi cenni di questa concezione si possono rintracciare alla fine dell'800, quando la rivoluzione industriale stava cancellando la società tradizionale basata sulle corporazioni e su una visione trascendentale della vita.

Pensiamo ad esempio a Helmut Plessner, che individua, in contrasto all'artificioistà della società moderna, una comunità basata sulla fratellanza e sui rapporti immediati tra le persone, che eliminano dalla società la violenza, elemento considerato tipico dei rapporti “societari”, caratterizzati dal dominio della forma e dalle maschere indossate dagli individui, che consenteno al massimo una conoscenza superficiale tra gli individui.

Ma il primo filosofo che introduce esplicitamente il termine “comunità” è Ferdinand Tonnies (1855-1936). Distingue due forme di aggregazione umana: la “società”, caratterizzata dalla presenza di individui indipendenti tra di loro; e la “comunità”, che ha come elemento tipico il rapportarsi come se si fosse all'interno di una famiglia, quindi con forti legami tra i singoli, che definisce “consensus”.

La comunità ha come elemento fondante un insieme di valori e di simboli condivisi, che condizionano la personalità dei singoli individui. Ci possono essere due tipi di comunità: una su base più ristretta, con piccoli gruppi, basata su rapporti diretti di amore e simpatia; un'altra più allargata che invece si basa sulla tradizione, che permette ai singoli di interiorizzare delle norme comuni.

 

Come abbiamo visto, e sarà un tratto comune in tutta la storia del comunitarismo, un ruolo centrale lo ha la famiglia, intesa come primo nucleo di aggregazione degli individui.

Molto importante sarà questo aspetto nei pensatori francesi dopo la rivoluzione, quando tutti i legami sociali caratteristici dell'ancien regime vennero spazzati via. Tipico esempio è Jean Bodin, che rappresenterà uno dei capostipiti del pensiero conservatore europeo. Contro la concezione contrattualistica dello Stato, che si basa sull'esistenza di diritti individuali precedenti allo Stato, propone una rapporto tra governanti e governati come quello tra padre e figlio, all'interno di una visione organicista della società.

 

 

 

Sempre sulla necessità di trovare una risposta alla “società moderna”, possiamo notare il percorso di quello che è considerato il padre della sociologia, Emile Durkheim.

Così come Tonnies, anche Durkheim individua due modi di aggregazione sociale, che a differenza del primo che li distingueva in base ai legami tra i singoli, lui si basa sul grado di differenziazione del lavoro sociale, che genera due tipi di solidarietà che unisce gli individui.

Individua una “solidarietà meccanica”, tipica delle comunità tradizionali, in cui le mansioni svolte dai singoli sono ben distinte (situazione tipica delle botteghe medioevali) e quindi ognuno necessita di legami stretti con gli altri; e una “solidarietà organica”, tipica di quelle moderne, in cui le funzioni sono tutte identiche, quindi si rischia l'omologazione e soprattutto la necessità di un'entità statale sempre più penetrante nella vita individuale, e si mette al centro del vivere comune il contratto.

Per tutelare le forme di aggregazione più spontanee, quelle appunto meccaniche, Durkheim propone di ripristinare le “corporazioni”, come forme di potere politico intermedio tra il singolo e lo Stato.

Come abbiamo visto in Durkheim, la comunità, non designa solo un “tipo di società”, ma può anche rappresentare un tipo di legame sociale. Lo stesso accade con Weber, secondo il quale essa rappresenta il tipo ideale di relazione umana “fondata su una comune appartenenza” sentita dagli individui del gruppo. Oppure Gurvitch, che la considera come una forma di socialità molto spontanea.

 

Una “linea” di pensatori , che si possono far reinetrare tra i comunitaristi, anche se in età diversa, e particolarmente degno di nota, è quella formata da coloro che come reazione tradizionalista alla rivoluzione francese, si oppongono alla nuova società basata sull’Illuminismo e sui “Diritti universali”. Secondo loro, i moti francesi, con il dissolvimento dell'Ancien Regime, spezzano completamente il legame sociale che aveva le sue radici nel corporativismo medioevale, gettando l'individuo nella solitudine. Da questa analisi partono diversi pensatori conservatori, i quali si scagliano contro l'individualismo e l'universalismo. Tra questi i più importanti sono De Bonald, Lamennais e De Maistre, quest'ultimo affermerà: “non ho mai incontrato l'uomo della Dichiarazione dei diritti, ma solo italiani, russi, francesi, tedeschi,ecc”. Quindi una forte avversione all'Illuminismo, a cui si oppone una visione naturalistica, secondo la quale le costituzioni non sono frutto dell'ingegno dell'uomo, ma il frutto dei periodi storici precedenti, che formano le esperienze ed i valori delle società attuali.

 

Da questo momento però, il pensiero anti-illuminista, che  faremo rientrare nell’alveo del comunitarismo, si dividerà in due rivoli: uno che parte dal “basso”, dalle piccole comunità, dalle corporazioni, dai Comuni; e l'altro, successivo al primo, dall' “alto”, da una concezione che veda al centro lo Stato nazionale, concepito come unità organica.

Il primo pensatore che segna il trapasso, si può considerare il giurista tedesco Otto Von Gierke (1841-1921), che opponendosi all'assolutismo statale, propone un’idea basata su un “concetto di personalità collettiva sopravvivente all'avvicendarsi delle generazioni di individui”, che fonde “i singoli in una superiore unità di vita”.Allo stesso modo, lo Stato è concepito come un organo in cui i singoli e i corpi sociali “viventi” intermedi, collaborano insieme, invece che esservene assorbiti.

 Per un certo verso intermedio si può valutare il lavoro di Rousseau, che considera lo Stato come corpo politico, ma lo collega alla democrazia dei piccoli nuclei tipici dell'antica Grecia, e se non approva il proliferare delle società parziali, detesta il “mondo dell'apparenza” delle grandi società moderne.

Comunque, sulla scia di Von Gierke, è proprio in Germania che si sviluppa la concezione dello “Stato-organico comunitario”. L'autore più rilevante è probabilmente Adam Muller, che è forse il più famoso fautore del “romanticismo politico”. Lo Stato viene considerato come “l'intima unione di tutta la vita interna ed esterna della nazione”, col popolo che rappresenta “la comunità sublime di una lunga catena di generazioni passate”, la quale si manifesta nelle tradizioni e nei costumi del popolo, incarnati nella famiglia reale. Come vediamo, ormai i corpi intermedi non ricoprono più alcuna valenza, ormai il rapporto tra popolo-comunità-Stato è totalizzante.

 

Corrente interessante, ma poco conosciuta, è quella degli “slavofili russi”, che negli anni '30-'40 dell'800, si opponevano alla società mercantilistica a borghese occidentale. L'autore più importante è probabilmente Konstantin Aksakov, il quale espone una dicotomia particolare, ed esplicativa del movimento: da un lato le “verità esteriori”, le leggi e lo Stato; dall'altro le “verità interiori”, la religione, i costumi e le tradizioni. Le prime unsicono gli individui solo dal di fuori, con la minaccia della sanzione, non intimamente, sul terreno di un comune sentire, come invece fanno le seconde. La fortuna della Russia dipenderebbe dallo scarso successo del Diritto Romano, che essendo formalizzato, sfalderebbe le comunità primitive e tradizionali, basate sullo “spontaneismo” dei legami sociali. Come “comunità ideale”, Aksakov disegna la “obscina”, una comunità agricola in cui la terra è un bene collettivo (primogenita dei kibbutz israeliani), dove non esistono leggi scritte, ma tutto il potere è in mano alla “mir”, l'assemblea degli anziani, che decide all'unanimità, proprio per significare la caratteristica “organica” della gestione del potere.

 

Anche tra il finire dell'800 e l'inizio del '900 si notano ispirazioni comunitarie; soprattutto nelle due idee “rivoluzionarie” dell'epoca: il socialismo ed il fascismo.

Per quanto riguarda il primo movimento, è soprattutto nel “socialismo utopico” che le sue tracce sono più evidenti. Infatti, prende le mosse dall'avversione della società industriale e capitalista, che ha generato lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, opponendo un'ideale di “bontà naturale” dell'uomo, che se si potesse esprimere “istintivamente”, senza l'interposizione dello Stato, realizzerebbe una “comunità armoniosa”, senza bisogno di leggi.

Possiamo vederlo in alcuni principi che emergono dall'opera di Proudhon: la necessità che il politico prevalga sull'economico; il principio federativo, che porti in primo piano le piccole comunità contro il centralismo statale; l'avversione al capitalismo, che ha generato l'atomismo individuale, ecc.

Oppure, nei lavori degli anarchici statunitensi, come Murray Bookchin, i quali ritengono prioritario

ricostruire la “base molecolare della società”, il vicinato, le piazze pubbliche, le assemblee, per riportare al centro le “relazioni faccia a faccia”. Direi che questa analisi, in una società che sempre più ruota attorno a centri commerciali e multisale cinematografiche (i “non luoghi”, come li definisce Marc Augè), sia di estremo interesse!

Come dicevo, anche nel fascismo sono esistite correnti “comunitariste”. In Italia, si può pensare all'idea corporativa, che nasce dalla volontà di eliminare le divisioni sociali che spaccavano la società, dovute allo sfruttamento capitalista e alla lotta di classe; oppure alla concezione organica dello Stato; oppure, seppur verso la fine e in forma più teorica che pratica, alla socializzazione delle imprese.

In Germania, invece, i fermenti comunitari, sono antecedenti al Nazismo.La loro origine la possiamo far risalire ad un movimento giovanile, chiamato “Jugendbewegung”, nato per iniziativa di un gruppo di studenti del liceo di Stiglitz, vicino Berlino, che poi ha dato vita a molteplici associazioni, la più famosa è quella dei “Wandervogel”. Sono movimenti che si caratterizzano per l'avversione alla società moderna, alla rigidità dell'impero guglielmino, che ripropongono un legame più stretto tra uomo e natura, tanto da organizzare viaggi avventurosi in luoghi incontaminati e selvaggi. In seguito, la “Hitlerjugend”, riprenderà in parte alcuni loro valori, ma il regime nazista li irregimenterà nella nuova concezione statalista nazista.

 

 

Nel dopoguerra, il “comunitarismo”, si pone come via alternativa al capitalismo e al contempo al comunismo, cercando una via alternativa, che coniughi la libertà individuale e l'esigenza di ritrovare dei legami sociali che permettano all'uomo di uscire dalla fase di isolamento in cui si trova.

Possiamo individuare due filoni principali, che comunque contengono differenze al loro interno: uno statunitense (con Sandel, McIntyre ed Etzioni in prima fila), quello del “communitarism”; e quello europeo, che coinvolge sia la “destra” (De Benoist o Veneziani) sia parte del comunismo, soprattutto italiano e francese (Barcellona o Gorz).

Vedremo questi pensatori più nello specifico in altri articoli. Penso che in generale basti dire che la loro polemica si concentra soprattutto sulla società moderna, mercantilistica e iper-tecnologica, che tende a massificare gli individui, cancellando i legami sociali dati da valori e tradizioni comuni, e con essi le differenze sia tra gli individui che tra le varie comunità di individui.

 

Insomma, al termine di questa lunga carrellata, penso che alcuni tratti comuni tra i vari pensatori analizzati, che possano rappresentare le basi per definire il comunitarismo, si possano rapidamente tracciare.

L'idea di comunità nasce in contrasto con la società moderna, che dalla Rivoluzione Francese in poi, cancella tutti i legami sociali basati sulla tradizione o comunque su una serie di valori comuni e condivisi. In conseguenza a questa analisi, parimenti viene criticata la tendenza a mercificare tutti gli spazi sociali, dai rapporti tra i singoli a quelle tra nazioni, col risultato di aver creato un mercato globale che massifica gli individui, annullandone le caratteristiche, e li considera solo per le loro capacità di produrre e di consumare. In opposizione, si vuole proporre una “comunità” che rimetta al centro diverse “comunità” di individui, ognuna delle quali con valori propri condivisi all'interno, che si basi sulla cooperazione e sui legami spontanei tra i suoi componenti.