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Le Olimpiadi in un Paese sotto sorveglianza speciale. Monasteri vuoti, reporter in carcere

di Antonia Cimini - 08/07/2008

Fonte: ilmessaggero

 

 

 

Per chi ama i conti alla rovescia il calendario, che segna meno un mese all’apertura delle Olimpiadi di Pechino 2008, scandisce oggi l’ultima data simbolo degli attesi giochi cinesi. A questo punto tutto dovrebbe essere già pronto, e di certo nella capitale dell’impero di mezzo lo è. 

 

Gli ultimi ritocchi alle infrastrutture stanno per essere terminati: nuove linee di metropolitana, treni ad alta velocità e interi quartieri risorti a nuovo dalle macerie di trasandate zone tradizionali contribuiranno a fare ancora più bella la scatola delle Olimpiadi. All’ interno, lontano delle luci della ribalta, tutto sembra scorrere secondo usanza e con rinnovata severità, nell’affannoso tentativo di garantire Olimpiade armoniose a tutti i costi.

 

Eppure nelle ultime settimane la Cina ha visto succedersi una catena di incidenti che per molti non sono casuali. Dal caso dell’omicidio dei Guizhou, dove l’uccisione di una ragazzina per mano presunta del figlio di un quadro locale ha generato la rivolta di un’intera città, all’incidente di Shanghai, dove sei poliziotti sono periti a causa della vendetta di un criminale precedentemente seviziato in prigione, i cinesi scelgono il momento a ridosso delle Olimpiadi per manifestare una latente insoddisfazione verso il potere.

 

In risposta il governo si è visto costretto a rispondere alle accuse ordinando ai governi locali di ogni livello di tenere pubbliche audizioni nell’intento di dare ascolto al malcontento dei cittadini verso l’operato delle amministrazioni. Ma secondo Reporter senza frontiere il clima a trenta giorni dalla scadenza olimpica è ancora poliziesco: dall’inizio dell’anno l’organizzazione stima che almeno 24 giornalisti e cyber-dissidenti siano stati arrestati e languiscano tuttora in carcere, mentre nella capitale l’entusiasmo della popolazione è sceso quasi al minimo storico.

 

«Ormai non possiamo stare più qui- spiega un musicista musulmano dello Xinjiang che da anni risiede nella capitale- noi dello Xinjiang abbiamo bisogno di un permesso speciale per restare a Pechino ad agosto, accordato con il contagocce, senza quello non ci è permesso neppure affittare una casa». 

 

Pechino vista da fuori ha, infatti, l’aria di una città isolata. A chi volesse avventurarsi all’esterno della città scintillante tocca superare innumerevoli controlli e posti di blocco. Li Jianfei vive nello Hebei, nel fine settimana fa la spola tra il suo villaggio, nuova meta turistica a due ore dal centro della città, e la capitale. «Da più di una settimana per passare dallo Hebei a Pechino bisogna superare tre posti di blocco e registrarsi presso ognuno» racconta.

 

È per la sicurezza di atleti e turisti durante le Olimpiadi ma Li non ci crede. «Se un terrorista decide di arrivare a Pechino i controlli non serviranno a fermarlo di certo, sono utili invece a tenere sotto sorveglianza i nemici del partito unico, senza che nessuno possa farci nulla».

 

Più lontano altri "nemici" sono già stati messi a tacere, nei monasteri e nelle enclavi di quelle che Pechino chiama minoranze etniche. A Lhasa i monasteri sono per metà vuoti dopo quasi quattro mesi dalle sommosse che hanno sconvolto la regione a marzo. Testimoni locali hanno spiegato alla stampa straniera che i giovani monaci sono stati rinchiusi in un centro di detenzione nella regione vicina del Qinghai per prevenire qualsiasi incidente nel periodo olimpico.

 

Saranno di ritorno solo dopo agosto, allorquando il mondo avrà già apprezzato l’armonia olimpica messa in piedi da Pechino e le luci dei riflettori si saranno spente su un Paese che riparte uguale a se stesso.