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Gli apprendisti stregoni del Natale 1715 a Jena metafora di un'umanità ubriaca di tecnoscienza

di Francesco Lamendola - 08/07/2008

 

 

Il giorno di Natale del 1715, in un vigneto alla periferia di Jena, furono scoperti due cadaveri e un terzo individuo in fin di vita. Erano stati trovati all'interno di un capanno ove libri, candele e altri oggetti particolari non lasciavano dubbi circa il fatto che vi si fosse celebrato qualche rito di magia evocatoria. Ad ogni modo, bisognò attendere che l'unico superstite si riprendesse, per udire dalla sua voce i particolari della macabra cerimonia.

Nel frattempo una seconda tragedia si era aggiunta alla prima. I magistrati cittadini avevano disposto che alcune guardie pernottassero nel vigneto, per completare le indagini e tenere il casotto sotto sequestro. Ma, durante la notte di Santo Stefano, qualcosa d'inesplicabile dovette accadere, perché al mattino le tre guardie giacevano inanimate: una era morta, e le altre due versavano in gravi condizioni.

 

Tutto era cominciato quando un contadino di nome Gessner, il proprietario del vigneto, si era persuaso - non sappiamo in base a quali elementi - che un tesoro giacesse sepolto, da qualche parte, nel suo fondo. A quel tempo - e da secoli - era credenza comune che esistessero due generi di tesori sepolti, quelli di origine umana e quelli accumulati da elfi, silfidi e altre creature soprannaturali; questi ultimi non potevano essere toccati, mentre i primi potevano essere localizzati e acquisiti invocando l'aiuto di alcuni speciali demoni, adibiti alla loro custodia.

Il problema, dunque, era quello di trovare l'esatta ubicazione del tesoro, facendone richiesta direttamente agli spiriti custodi. A tale scopo, Gessner si era messo in contatto con altre due persone, che avrebbero dovuto aiutarlo nell'impresa. La prima era un contadino, Zenner, che possedeva una radice di mandragola, la quale si riteneva dotata di poteri magici. Il secondo era uno studente, Weber (l'unico che sarebbe, poi, sopravvissuto), il quale aveva alcuni grimori, ossia libri proibiti con le invocazioni agli spiriti e ai demoni: in particolare, La discesa di Cristo all'Inferno - scritto, si diceva, niente meno che dal mago Johann Faust - e la temutissima Clavicola di Salomone (ossia Piccola chiave di Salomone).

Seguirono alcuni incontri e conciliaboli fra i tre, nel corso dei quali, con l'ausilio dei libri di proprietà dello studente, essi giunsero alla conclusione che il tesoro nascosto sotto le zolle del vigneto si trovava affidato alla custodia di uno spirito solare chiamato Nathael. Per procedere alla sua evocazione, pertanto, era necessario che i tre uomini attendessero l'avvento della Notte Santa, ossia la notte di Natale.

Quando essa giunse, gli apprendisti stregoni si diressero nel vigneto di Gessner, che si trovava in un sobborgo della città di Jena, forniti di lanterne e pentagrammi e di tutto l'occorrente per un cerimoniale di magia, compresi alcuni sigilli di piombo e una figurina magica. Dopo una serie di purificazioni rituali, tracciarono a matita la parola TETRAGRAMMATON sulla porta della casupola, quindi disegnarono il cerchio magico sul soffitto. Faceva molto freddo, per cui accesero anche un fuoco di carbonella in un vaso da fiori, lasciando aperta una fessura della porta per consentire al fumo di uscire all'esterno.

Poi, verso le ore 22, incominciarono gli scongiuri.

Furono invocati Adonai, Agla, Jehova, quindi lo spirito Och, signore del Sole, affinché Nathael comparisse a prestasse il suo aiuto al ritrovamento del tesoro. La cosa durò meno di un'ora, senza che avvenisse niente di strano o d'insolito; poi… più nulla. Qui finivano i ricordi di Weber, o, almeno, fu quanto egli disse allorché si fu ripreso e fu in grado di raccontare la sua tremenda avventura.

Poiché vi erano stati dei morti e, per giunta, era venuto in luce un esecrando rituale di magia, gli abitanti della città rimasero molto colpiti dal fatto e le autorità del principe aprirono un'inchiesta. I giudici sarebbero stati propensi ad attribuire la morte di Zenner e Gessner ai vapori sprigionati dal fuoco di carbone, ma vi erano alcuni elementi, invero assai inquietanti,  che si opponevano a una tale conclusione.

Il primo era che i corpi delle vittime mostravano i segni di graffi, lividi e contusioni, come se fossero stati straziati nel corso di una selvaggia aggressione; circostanza che sembrava indicare una morte violenta e non una "semplice" asfissia.

Il secondo era che i calzoni dei due cadaveri erano pieni di escrementi, come se la morte fosse stata preceduta da un terrore mortale (la perdita di controllo sulla ritenzione delle feci è un tipico effetto di uno spavento improvviso particolarmente forte).

Il terzo era che anche le tre guardie lasciate a custodire la baracca avevano subito un analogo destino, benché fosse difficile credere che avessero commesso la stessa imprudenza, di scaldarsi col fuoco di carbone senza assicurarsi che il locale fosse adeguatamente aerato.

Il quarto elemento, ovviamente, era dato dalla circostanza che in quel luogo erano stati invocati degli spiriti e che, seppure tali non fossero state le intenzioni dei cercatori del tesoro, quegli spiriti dovevano essere, in ultima analisi, né più né meno che delle creature diaboliche.

Vi era poi un quinto elemento, che introduceva con forza la dimensione del soprannaturale. Entrambe le guardie sopravvissute conservavano un ricordo angoscioso della notte trascorsa nella baracca in mezzo al vigneto, in compagnia dei due cadaveri non ancora rimossi. Una sosteneva di aver visto, prima di perdere i sensi, uno spirito, sotto forma di un ragazzino di sette od otto ani, scardinare la porta con un colpo poderoso; l'altra ricordava di essere stata violentemente sballottata sulla panca, in qua e in là, da una forza soprannaturale, che infine l'aveva scagliata sopra uno dei due cadaveri.

 

Così rievoca la conclusione di quello strano dramma natalizio lo studioso tedesco Cristoph Daxelmüller, ordinario di storia delle tradizioni popolari all'Università di Regensburg e autore del libro Magia. Storia sociale di un'idea (titolo originale: Zauberpraktiken, Artemis & Winkler Verlag, Zürich, 1993; traduzione italiana di Paola Galimberti e Marina Buzzoni, Rusconi Editore, Milano, 1997, pp. 308-309):

 

L'undici gennaio del 1716 i corpi di Geßner e Zenner vennero scortati da due giustizieri attraverso la città fino al luogo del patibolo e lì, «al cospetto di una numerosa folla / sotterrati in profondità»; il guardiano notturno, Hans Georg Beyer [la terza vittima] ,invece, ricevette cristiana sepoltura nel cimitero, su autorizzazione del Concistoro del principe.

Il fatto che Geßmer e Zenner venissero considerai dei pericolosi criminali mostra la forza di sopravvivenza che i relitti di magia ancora possiedono nel periodo dell'Illuminismo. Era stata condotta l'autopsia sui corpi e, sebbene la commissione d'inchiesta concordasse pienamente con i medici legali sul fatto che la causa di morte andasse ricercata nell'azione tossica del monossido di carbonio, tuttavia, non poterono essere chiariti definitivamente tutti i segni ritrovati suoi cadaveri. Se è vero che per Geßner non si era potuto rilevare alcun indizio certo di morte violenta, sul cadavere di Zenner, però, vennero trovate alcune tracce. Il suo corpo:

«fu ritrovato a terra / in una postura inginocchiata. / La sua lingua usciva di circa una misura dalla bocca. /Sul petto erano evidenti / molte strisce rosse, lunghe e della larghezza  di una costola (della penna), / che andavano verso la gola, / come se fossero state procurate, ad esempio, grattandosi vigorosamente o in una colluttazione. / Item, sopra e tra queste strisce erano visibili molte piccole macchie / come quelle che di solito vengono provocate da una polvere che irrita la pelle: le stesse macchie blu da polvere si trovavano anche sul viso, sotto gli occhi».

Il referto autoptico non riuscì a spiegare il motivo della presenza di tali strisce e «a trovare una causa soddisfacente» a cui ricondurle; neppure la vedova di Zenner aveva riconosciuto questi segni sul corpo del marito.

Degno di nota era inoltre lo stato di Weber, lo studente sopravvissuto. Secondo quanto rilevato dal medico Slevogt, si poteva tranquillamente sostenere che «non c'era alcun difetto a livello intellettivo», eppure il corpo, al pari del cadavere di Zenner, mostrava chiaramente una serie di segni; tra l'altro, «tra la mano e il gomito / era visibile un rigonfiamento rossastro, e sempre nello stesso punto, sulla pelle, vi erano 6 ulcere della larghezza di un Pfenning/ 3 dalla parte interna / e tre, al contrario, /dalla parte esterna».

Questa tragedia, che alla fine costò la vita a tre uomini e a uno la ragione, conferisce al sapere magico popolare, così come alla letteratura magica, una cattiva fama. Il fatto che Weber stesso abbia dovuto identificare il manoscritto "magico, testimonia indirettamente lo (scarso) grado di conoscenza della letteratura magica presso le autorità responsabili, e questo avveniva in una città universitaria! Un'ulteriore, importate notizia è ricavabile dal verbale dell'interrogatorio: « le formule / che si trovano a p. 57 del manoscritto», sarebbero «tratte dalla Philosophia occulta di Cornelius Agrippa».

Le tracce di questa pratica magica popolare riconducono, ancora una volta, alla teoria della magia di Paracelso e, soprattutto, di Agrippa. In questo modo finiscono per perdere la propria specificità magica: non esisteva alcuna pratica misteriosa, bensì una letteratura accessibile, per niente sistematica, semicompresa dagli appartenenti all'élite colta re da questi sommariamente trasmessa, una sorta di abracadabra dilettantesco, pieno di fantasie e piegato alle proprie esigenze individuali, così come mostra il paragone con altri rituali per dissotterrare i tesori.

In questo modo resta sempre meno della teoria che vede nel popolo l'artefice di atti magici e scongiuri contro i demoni. La «tragedia della notte di Natale di Jena», con la sua precisione che esorcizza ogni tabù e con il volontario cumulo di formule, rituali e requisiti magici, suona come un necrologio per la magia, già da tempo in punto di morte.

 

La tesi di fondo del Daxelmüller è che, nel passaggio dalla magia colta dell'antichità e del Rinascimento a quella popolare dell'età moderna, vi è stata una degradazione di saperi che smentisce, di per sé, l'idea che sia mai esistita una magia popolare originaria. Inoltre, lo studioso tedesco sostiene che, per quanto i contenuti della magia possano essere fallaci e illusori, i suoi effetti sono però, talvolta, estremamente reali - reali e pericolosi, come la vicenda degli «apprendisti stregoni di Jena» starebbe a dimostrare.

Non ci troviamo d'accordo né con la prima, né con la seconda tesi.

Per quanto riguarda la prima, ci sembra che l'Autore salti alle conclusioni in maniera un po' troppo frettolosa. Esistono, al contrario, numerosi elementi i quali attestano che una tradizione di magia popolare è sempre esistita, accanto e indipendentemente da quella colta, da cui non deriva affatto,  pur potendone aver derivato taluni spunti e suggestioni.

Per fare soltanto un esempio, è ormai ben nota agli storici la vicenda dei cosiddetti benandanti che percorrevano il Friuli nel XVI e XVII secolo e che, dalla loro funzione iniziale di proteggere le messi dalle male arti dei cultori del diavolo, finirono per essere perseguitati dall'Inquisizione e per assumere inquietanti connotati, che li facevano rassomigliare ai loro nemici stregoni. Di tale mescolanza fra stregoneria e culti agrari nell'Italia del tardo Rinascimento si è occupato uno studioso del valore di Carlo Ginzburg, in un celebre studio (I benandanti, Einaudi, Torino, 1966); e anche noi ci riserviamo di affrontare l'argomento, in una prossima occasione. Basti qui rilevare che i benandanti non erano né maghi colti, né praticoni improvvidi come i tre protagonisti del Natale di Jena del 1715. Ma un fatto come quello di Jena era reso possibile dalla circolazione dei libri di magia, divenuta molto più facile dopo che l'Inquisizione aveva perduto gran parte del suo controllo sulla popolazione e sulla chiesa stessa. Un secolo prima, il solo possesso della Clavicola di Salomone avrebbe costituito un capo d'accusa gravissimo.

Per quanto riguarda la seconda tesi, anche se concordiamo pienamente sulla potenziale pericolosità degli effetti della magia (e come potrebbe essere altrimenti, se le cronache sono piene di fatti inquietanti e drammatici relativi alla sua pratica, nelle nostre città post-moderne e super tecnologizzate), non ci sentiamo però di liquidare il contenuto della magia come una semplice sciocchezza.

Si tratta di una forma di sapere che ha le sue leggi e che parte da una sua visione del mondo, diverse, ma non meno coerenti di quelle - ad esempio - della scienza moderna, la quale si trova così imbarazzata a spiegare taluni fenomeni da essa provocati, da preferire far finta di nulla e liquidare il problema come se non esistesse.

Ma è un sapere pericoloso, perché - consapevolmente o meno - fa appello alla dimensione infra-umana e, dunque, non può che evocare delle forze di natura non benevola, tendenzialmente pericolose e, comunque, dannose per chi vi fa ricorso.

 

È piuttosto curioso il fatto che gli odierni paladini di una scienza fine a se stessa, senza coscienza e senza freni, finalizzata al dominio sulle cose e sugli uomini e non animata da alcuno spirito di benevolenza e di gratitudine verso il mistero del mondo, non si rendano conto di stare seguendo le orme degli apprendisti stregoni di una magia malvagia e diabolica.

Eppure, certi risultati sono sotto gli occhi di tutti, e dovrebbero indurre a serie riflessioni anche i più ottimisti o (secondo i punti di vista) i più ciechi. I danni inferti dalla tecnoscienza alla vita sul nostro pianeta, e al pianeta stesso come luogo della vita, sono così gravi e drammatici, che solo un completo offuscamento o pervertimento della facoltà di giudicare può tenerci ancora celato il vero volto, demoniaco e distruttivo, di questa idea della scienza moderna: materialista, meccanicista, dominata da un cieco impulso alla manipolazione, allo sfruttamento e al dominio illimitato.