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Chi sta effettivamente vincendo in Iraq?

di Patrick Cockburn - 09/07/2008





L'occupazione americana dell'Iraq segue lo stesso percorso della dominazione britannica dopo la prima guerra mondiale. All'inizio ci fu una presunzione imperiale seguita alla vittoria militare, e una convinzione che ciò che facevano gli iracheni non avesse importanza. Poi ci fu lo shock e la sorpresa di una ribellione irachena - contro gli inglesi nel 1920 e contro gli americani dopo il 2003. In entrambi i casi gli occupanti reagirono instaurando un governo nazionale iracheno, ma con poteri limitati. Nel 1930, in base al trattato anglo-iracheno, l'Iraq ottenne una indipendenza nominale, ed entrò nella Lega delle Nazioni, ma la Gran Bretagna conservò due grandi basi e rimase la potenza dominante in Iraq.  I governi iracheni avevano una cattiva reputazione e mancavano di legittimità perché gli iracheni percepivano i loro governanti come pedine straniere finché la monarchia non venne rovesciata - nel 1958.

Ora l'America si sta comportando in un modo molto simile. Sta negoziando un accordo in materia di sicurezza per sostituire l'attuale mandato delle Nazioni Unite. Si tratta a tutti gli effetti di un trattato che stabilirà i rapporti futuri fra l'Iraq e gli Stati Uniti. Non viene definito trattato solo perché il Presidente Bush non vuole sottoporlo all'approvazione del Senato. Ma in effetti continua l'occupazione sotto un altro nome. Gli Usa manterranno il possesso di oltre 50 basi, anche se ci saranno alcuni soldati iracheni a presidiare un perimetro esterno, in modo che gli Stati Uniti possano dire che esse saranno in mani irachene. I soldati e i contractor americani godranno di immunità legale. Gli Usa saranno liberi di condurre operazioni contro i ‘terroristi’ senza informare il governo iracheno in modo da poter arrestare iracheni o condurre campagne militari come e quando vorranno.  Alcuni dei negoziatori iracheni sono rimasti inorriditi dall'entità delle pretese americane, che significherebbero un controllo americano a lungo termine. Ma il Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliki, qualunque siano i suoi dubbi privati,  ritiene in ultima analisi di dipendere dall'appoggio americano. La sua coalizione di partiti religiosi sciiti, rappresentanti sunniti, e kurdi, la pensa allo stesso modo.

L'accordo iracheno-americano in materia di sicurezza, che Bush vuole sia firmato entro il 31 luglio, è un barometro migliore - per quanto riguarda dove si trova il vero potere in Iraq - degli sviluppi militari sul terreno. Arriva proprio mentre il governo iracheno sta cercando di riprendere il controllo delle maggiori città del Paese. Dalla fine di marzo, ha lanciato tre offensive militari contro le milizie sciite e gli insorti sunniti, mandando il suo esercito a Bassora, Sadr City – a Baghdad, e a Mosul.  Migliaia di soldati iracheni sono entrati nei distretti sciiti un tempo dominati dall'Esercito del Mahdi, che segue l'esponente religioso nazionalista Muqtada al-Sadr. Nella città araba sunnita di Mosul il governo afferma di stare schiacciando l'ultimo residuo di "al-Qa’ida in Iraq" e ha arrestato più di 1.000 sospettati. L'obiettivo del Primo Ministro Nuri al Maliki è mostrare che lo Stato iracheno, debole e dipendente dagli Usa dalla caduta di Saddam Hussein, è tornato a funzionare. Le operazioni di Bassora e di Mosul hanno nomi altisonanti  – ‘Carica dei cavalieri’ e ‘Ruggito del leone’ – nel tentativo di sottolineare l'intenzione di Maliki di mostrare che l'esercito iracheno è il più forte potere non americano in Iraq.

A prima vista, sembra che il governo stia avendo successo, dopo i fallimenti iniziali. L'attacco contro l'Esercito del Mahdi a Bassora il 25 marzo all'inizio non aveva fatto progressi, e i soldati iracheni avevano persino esaurito i viveri dopo un paio di giorni di combattimenti. Hanno dovuto essere rinforzati di molto da consiglieri americani, che hanno chiesto l'intervento dei raid aerei Usa e del fuoco dell'artiglieria britannica. Tuttavia, dopo alcune settimane, i soldati governativi si impadronivano di distretti che per molto tempo erano stati controllati dall'Esercito del Mahdi. A Sadr  City - che con una popolazione di due milioni di abitanti è più una città gemella di Baghdad che non un suo distretto - gli americani hanno anche qui sostenuto il peso maggiore dei combattimenti. Circa 1.000 iracheni, il 60 % donne e bambini secondo le Nazioni Unite, sono stati uccisi in sette settimane. Sia a Bassora che a Sadr City gli scontri sono finiti perché Muqtada al-Sadr ha richiamato i suoi uomini dalle strade in base a dei cessate il fuoco raggiunti con la mediazione degli iraniani. L'esercito iracheno è entrato anche se senza gli americani. Maliki può non aver riportato la vittoria militare decisiva che ha rivendicato, ma alla fine dei combattimenti il suo governo sembrava più forte che all'inizio.

L'interrogativo politico e militare cruciale in Iraq è se il successo del governo iracheno sarà duraturo oppure temporaneo. Perderà nuovamente il controllo, se al-Sadr dovesse ordinare ai suoi miliziani di tornare in piazza? Al-Qaeda e gli altri insorti sunniti stanno semplicemente tenendo un basso profilo e aspettando che le truppe americane se ne vadano?  Più volte, negli ultimi cinque anni, gli Usa e i loro alleati iracheni hanno veramente creduto di stare vincendo sul terreno solo per vedere i loro presunti successi quando i loro oppositori lanciavano un contrattacco. Tuttavia, almeno per il momento, la presa di Maliki sul governo centrale è più forte che mai. Un anno fa, gli americani e i kurdi volevano sostituirlo, come anche il Consiglio Supremo islamico iracheno (ISCI), il maggiore partito sciita della sua coalizione di governo. Presto tuttavia Washington iniziò a sottolineare privatamente che voleva che l'Iraq apparisse il più politicamente stabile possibile in quello che negli Stati Uniti era un anno elettorale, mentre i kurdi e l'ISCI si sono resi conto che potevano avere la maggior parte di ciò che volevano con Maliki al potere. Per la prima volta dalla caduta di Saddam  Hussein, molti iracheni pensano che l'attuale governo potrebbe durare.

Questo potrebbe essere fuorviante. La posizione del governo sembra più forte di quella che è perché i suoi oppositori stanno aspettando che gli americani se ne vadano o riducano il numero delle loro forze. Al-Sadr non vuole combattere adesso perché sensatamente desidera evitare un confronto militare diretto con l'esercito Usa, che i suoi miliziani che hanno solo armi leggere sono destinati a perdere. Questa è stata la sua strategia fin da quando i suoi miliziani avevano combattuto battaglie feroci contro i Marines Usa a Najaf nel 2004. Gli iraniani stanno avendo un ruolo sempre più evidente in Iraq quest'anno, e non vogliono vedere una guerra civile interna agli sciiti tra l'ISCI e i sadristi. Il ministro della Difesa iracheno dice che l'esercito iracheno non sarà abbastanza forte da poter fare da solo contro gli insorti fino al 2012. Una ulteriore debolezza del governo sta nel fatto che esso si trova ad affrontare elezioni provinciali cruciali in ottobre, che i partiti che lo compongono potrebbero benissimo perdere. Secondo una stima dei servizi segreti militari statunitensi, in una elezione corretta, i sadristi vincerebbero il 60 % del voto nel sud dell'Iraq, che è in stragrande maggioranza sciita. L'offensiva a sorpresa del governo a fine marzo potrebbe essere stata lanciata per fare in modo che il voto possa essere manipolato a favore dei partiti di governo.  Una spiegazione più machiavellica è che l'ISCI si aspettava che l'esercito iracheno fallisse, e voleva attirare l'esercito americano in un confronto militare con i sadristi.

I partiti di governo che sostengono Maliki adesso formano quello che alcuni iracheni hanno definito ‘il Consiglio dei cinque’. Ci sono i due partiti kurdi – il Partito Democratico del Kurdistan e l'Unione Patriottica del Kurdistan —il partito Da'wa, al quale appartiene lo stesso Maliki, l'ISCI, e l'Islamic Party dei sunniti. Il loro obiettivo sembra essere quello di eliminare i loro oppositori interni iracheni mentre hanno ancora l'appoggio della potenza di fuoco americana. E' un piano brutale, ma potrebbe riuscire. Maliki potrebbe diventare la versione irachena di Vladimir Putin in Russia. Come Putin, Maliki controlla la macchina dello Stato, un esercito grosso anche se inaffidabile, e trae vantaggio dagli alti prezzi del petrolio, quindi ha il controllo di oltre 40 miliardi di dollari di riserve non spesi. Gli iracheni non si fidano del loro governo, ma, come i russi quando Putin arrivò inizialmente al potere nel 1999, sono disperatamente stanchi della guerra. In molti appoggeranno chiunque fornisca pace e sicurezza. Ma l'analogia non dovrebbe essere spinta troppo oltre. I nemici di Putin erano immaginari o nella lontana Cecenia, mentre gli oppositori di Maliki sono reali, pericolosi, e vicini.

Mi trovavo a Mosul, una città di un milione e 400mila abitanti sul fiume Tigri, nel nord Iraq, il giorno in cui le forze governative avevano iniziato la loro offensiva ‘Ruggito del leone'  - alle 4 del mattino del 10 maggio. Come era avvenuto a Bassora e a Sadr City alcune settimane prima, c'erano migliaia di soldati e di poliziotti governativi che sorvegliavano ogni strada e ogni vicolo. Tutta la popolazione civile era sparita al coperto o era fuggita dalla città. L'operazione, che avrebbe dovuto avere l'obiettivo di privare al Qaeda dell'ultimo suo bastione in Iraq, era stata promessa da Maliki alcuni mesi prima, dopo che un precedente capo della polizia di Mosul era stato assassinato da un kamikaze che aveva nascosto gli esplosivi sotto la sua uniforme della polizia. Ma il momento prescelto aveva colto di sorpresa la gente di Mosul, che così non aveva avuto il tempo di fare provviste di cibo. Nessuno si avventurava per strada a causa di un coprifuoco. Nelle prime ore dell'operazione, soldati statunitensi uccisero a colpi di arma da fuoco alcuni uomini, una donna, e un bambino dentro una macchina che non si era fermata a un checkpoint alla periferia di Mosul, perché, secondo un comunicato delle forze Usa, i due uomini erano armati, e un di loro, che era all'interno dell'auto, aveva fatto 'movimenti minacciosi’.

E' da quando i kurdi e gli americani l'hanno presa - nel 2003 – che vado a Mosul. Ogni volta, le autorità kurde, che di fatto la città, assegnano un numero maggiore di guardie armate per proteggere qualunque funzionario con cui vado in giro. Abbiamo iniziato il viaggio da Arbil - in un convoglio di camioncini pick up bianchi, ciascuno dei quali aveva sul retro una mitragliatrice pesante presidiata da soldati in stato di allerta, alcuni dei quali con il volto coperto da maschere nere, che scortavano Khasro Goran, il vice governatore di Mosul, al suo ufficio, nel vecchio quartier generale del partito Ba'ath, sulla sponda sinistra del Tigri. Il confine ufficiale tra il Kurdistan e la provincia di Ninive, di cui Mosul è la capitale, è il fiume Zaab, che quest'anno è molto basso a causa delle scarse precipitazioni. Ma la vera frontiera è più giù – in un piccolo villaggio chiamato Ghazik, dopo il quale la strada diventa sempre più pericolosa. Arrivati a un ponte nei pressi di Ghazik, la polizia fermava camion e macchine i cui conducenti non avevano sentito parlare del coprifuoco, che era stato dichiarato sul tardi il giorno precedente. Pochi chilometri più avanti – in un villaggio cristiano caldeo chiamato Bartilla, abbiamo girato entrando in un forte, e abbiamo scambiato i nostri pick-up con veicoli dalla blindatura più pesante che avevano finestrini simili a spioncini dagli spessi vetri antiproiettile.

Nella provincia di Ninive la gente stava prendendo il coprifuoco molto seriamente. Lungo la strada che attraversa la pianura a est della città di Mosul ci sono fornaci per la lavorazione del gesso, ma nessuna stava funzionando. Persino i monotoni caffè che servono da mangiare ai camionisti erano chiusi. La minoranza kurda nella parte est della città di Mosul abita vicino a una collinetta sulla cui sommità c'è la moschea di Nebi Yunis, dove si ritiene sia sepolto il profeta Giona. Di solito i distretti kurdi della città sono pieni di commercianti, ma durante l'attuale operazione tutti i negozi avevano la saracinesca metallica abbassata. All'operazione partecipavano 15.000 soldati - le tre brigate della 2a e della 3a  divisione che normalmente sono di stanza a Mosul e un'altra brigata proveniente da Baghdad. Potevo vedere i veicoli neri dei commando speciali del ministero degli Interni con l'insegna della tigre gialla sulle porte. Aerei senza pilota ed elicotteri americani sorvolavano, ma non ho visto nessun soldato americano di pattuglia in città. C'era lo scoppio occasionale di colpi di mitragliatrice a distanza, ma niente combattimenti di strada.

In apparenza, il governo aveva il controllo di Mosul. Non era una cosa difficile, perché, a differenza di Baghdad e di Bassora, gli insorti non si erano mai impadroniti di interi distretti. Ma nella provincia di Ninive tutto è un po' diverso da come appare. “La provincia somiglia al Libano”, dice Saadi Pire, l'ex leader dell'Unione Patriottica del Kurdistan in città, “più di qualunque altro posto in Iraq”. E' divisa fra gli arabi sunniti, i kurdi, e i cristiani, ma molti kurdi appartengono alla setta dei yazidi, la cui fede è un misto di Zoroastrismo, Islam e Cristianesimo. La loro divinità principale è l'angelo pavone, che governa il cosmo assieme ad altri sei angeli. Lo scorso anno, una ragazza yazide, che si era convertita all'Islam ortodosso per sposare il suo ragazzo, è stata picchiata a morte dai parenti, e per vendetta alcuni kurdi musulmani hanno tirato giù da un autobus 23 operai yazidi nei pressi di Mosul e li hanno uccisi a colpi di arma da fuoco. Il governo di Baghdad può affermare di stare dando la caccia ad al Qaeda a Mosul, ma le vere lotte di potere nel nord Iraq ruotano attorno divergenze etniche e confessionali. La maggioranza sunnita di Mosul considera certamente l'operazione ‘Ruggito del leone’ come diretta nei suoi confronti. Tutti i membri di al-Qaeda a Mosul avevano da tempo lasciato la città per la campagna, o avevano temporaneamente attraversato il vicino confine con la Siria. Tutti quelli con cui ho parlato a Mosul si aspettavano che tornassero.

Anche a Baghdad si ha la sensazione che stiamo assistendo a una pausa piuttosto che a una fine della violenza. Posti che conoscevo bene vengono ancora distrutti. Di solito mangiavo in un ristorante chiamato "Samad" nel distretto di al-Mansur, nella parte ovest di Baghdad. Aveva aperto subito dopo la caduta di Saddam Hussein, il cibo era buono, e in qualche modo era sopravvissuto ai successivi cinque anni di violenza. Ma alle 5 di pomeriggio dell'8 maggio alcuni poliziotti hanno parcheggiato il loro veicolo fuori dal ristorante e sono entrati a magiare. Pochi minuti dopo una grossa autobomba parcheggiata di fianco all'auto della polizia è saltata in aria e ha distrutto il "Samad", uccidendo sette persone e ferendone altre 19. L'esplosione ha provocato un enorme ingorgo stradale.  Le ambulanze e i pompieri non sono riusciti a passare, e l'edificio accanto al "Samad" ha preso fuoco ed è stato completamente distrutto. Anche se il governo iracheno sta affermando che al Qaeda è stata cacciata da Baghdad e dalla provincia di al Anbar verso est, questo non è proprio vero. A gennaio ero stato a trovare il colonnello Ismail Zubai'e, il capo della polizia di Falluja – un ex combattente degli insorti che combatte al-Qaeda che aveva tagliato la gola al fratello. Sembrava avere il controllo totale della cittadina. In maggio, però, alcuni combattenti di al Qaeda hanno affrontato lo zio del colonnello Ismail, che faceva l'insegnante, e lo hanno ucciso a colpi di arma da fuoco. Il giorno dopo hanno mandato un kamikaze a far saltare in aria la tenda nella quale i suoi parenti stavano ricevendo le condoglianze. L'operazione, chiaramente un tentativo elaborato di uccidere il colonnello Ismail, mostra che al Qaeda è tuttora ben organizzata e ha agenti ovunque nella comunità sunnita.

Gli americani hanno perso solo 21 soldati uccisi in Iraq a maggio – il dato più basso per quanto riguarda le perdite mensili dal febbraio 2004. Ma questo non significa che il principale sfidante Repubblicano, il senatore John McCain, abbia ragione a credere che, con una determinazione sufficiente, l'esercito americano sia sulla strada della vittoria.  Paradossalmente, gli americani adesso stanno traendo vantaggio dal fatto di aver fallito nel trasformare l'Iraq praticamente in una colonia americana nel 2003-2004. Iran e Siria non temono più, come temevano un tempo, che non appena gli Usa avessero ottenuto il controllo completo dell'Iraq avrebbero cercato di rovesciare i loro governi. Può darsi che alla Casa Bianca ci sia ancora chi sogna privatamente di fare proprio questo, ma i vicini dell'Iraq non hanno più l'impressione di dover destabilizzare il Paese per allontanare la minaccia americana nei propri confronti. Le perdite americane inoltre sono diminuite perché la comunità araba sunnita e quella sciita non sono solo divise, ma stanno combattendo guerre civili a bassa intensità. Parte della vecchia resistenza sunnita anti-americana si è ribellata ad al Qaeda e si alleata con gli americani. I sunniti sono stati cacciati dalla maggior parte di Baghdad dalle milizie sciite nella guerra civile confessionale del 2006-2007, e sono sempre più marginalizzati. Tra gli sciiti, un tempo noti per la loro impressionante unità dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, le lotte intestine fra i partiti sciiti di governo e i sadristi sono diventate più sanguinose e più frequenti.

I principali sostenitori del governo di Nuri al-Maliki sono Stati Uniti e Iran. Questo non è mai stato ammesso da Washington, ma dal punto di vista iraniano l'attuale governo sciita-kurdo a Baghdad è la cosa migliore che esso possa ottenere. L'Iran non vuole rovesciare Maliki, ma vuole ridurre l'influenza americana su di lui. I combattimenti a Bassora e a Sadr City fra l'Esercito del Mahdi e il governo iracheno, appoggiato dall'esercito americano, fra marzo e aprile, sono stati in entrambi i casi conclusi grazie alla mediazione iraniana. Questo è diventato di dominio pubblico. Per concordare i cessate il fuoco a Bassora e a Baghdad, il Presidente Jalal Talabani è andato a trovare due volte Qassem Suleimani, il capo della Brigata al-Quds dei Guardiani della rivoluzione iraniani, al confine tra Iran e Iraq, benché il Presidente Bush avesse denunciato la Brigata al-Quds come terroristi che organizzano attacchi contro le forze Usa in Iraq.  L'influenza iraniana in Iraq è più forte che mai, e gli iraniani sono sempre più inclini a ostentarla. Quando il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è stato in visita a Baghdad quest'anno, la sua visita è stata annunciata in anticipo, e lui ha attraversato in macchina la città. Quando il Presidente George W. Bush arriva a Baghdad, la cosa viene tenuta segreta fino all'ultimo momento, lui si sposta solo in elicottero, e non si è mai avventurato fuori dalla Green Zone.

Supponiamo che Barack Obama vinca le elezioni presidenziali: l'America potrebbe ritirare le sue forze dall'Iraq nei 18 mesi successivi, senza provocare una esplosione di violenza, ma solo se prima avesse fatto un accordo con Iran e Siria. Un aumento dell'influenza iraniana in Iraq era inevitabile dal 2003. Una volta che gli Usa avevano deciso di rovesciare Saddam Hussein, i beneficiari sarebbero sempre stati i partiti religiosi sciiti, perché rappresentavano la maggioranza degli iracheni, e avrebbero avuto l'appoggio dell'Iran. Molti dei problemi dell'America in Iraq negli ultimi cinque anni si sono verificati perché Washington credeva di poter impedire o indebolire il trionfo dell'Iran e degli sciiti in Iraq.

La strategia iraniana in Iraq è tenere la situazione agitata ma non farla traboccare.  Non vogliono che l'attuale governo venga rimosso.  “Gli iraniani sono molto bravi nel creare le crisi in Iraq e poi nel risolverle”, mi ha detto un leader kurdo. L'Iran vuole un Iraq debole, incapace di costituire una minaccia per Tehran, e suo alleato. Vuole un governo sciita al potere a Baghdad e gli americani fuori. “Le tre grandi potenze del Golfo storicamente sono l'Iran, l'Iraq, e l'Arabia Saudita”, mi ha detto lo stesso leader kurdo. “Se Iran e Iraq agiranno insieme, allora domineranno il Golfo” . Potrebbe non essere così semplice. Agli iracheni gli iraniani non piacciono più di quanto gli piacciano gli americani. Muqtada al-Sadr, che sta chiedendo un ritiro degli americani, è sempre stato un nazionalista iracheno, sospettoso nei confronti dell'Iran come degli Stati Uniti. Paradossalmente, i partiti sciiti di governo a Baghdad, l'ISCI e al Da'wa, tradizionalmente hanno avuto legami più stretti con l'Iran dei sadristi. L'ISCI è stato fondato dagli iraniani a Tehran nel 1982, perché fosse il loro fantoccio se fossero riusciti a sconfiggere Saddam Hussein nella guerra Iran-Iraq. E' tuttora fortemente influenzato da loro, ma in ultima analisi né l'ISCI né i sadristi vogliono che gli americani o gli iraniani trattino l'Iraq come uno Stato vassallo.

Probabilmente il politico più astuto in Iraq è Muqtada al-Sadr, che ha scelto di non dire ai suoi miliziani di combattere per le enclavi di cui avevano il controllo a Bassora e a Baghdad. Invece, negli ultimi giorni di maggio, ha invitato decine di migliaia di suoi seguaci a scendere in piazza per protestare contro il nuovo patto bilaterale fra Stati Uniti e Iraq che si sta negoziando in segreto, e regolerebbe i futuri rapporti politici, militari, ed economici fra Washington e Baghdad. "Perché vogliono spezzare la spina dorsale all'Iraq?”, ha chiesto lo sceicco Mohammed al-Gharrawi, rivolgendosi alla folla a Sadr City. “L'accordo vuole mettere un americano in ogni casa. Questo accordo è veleno misto al veleno, non veleno misto al miele, perché di miele non ce n'è proprio”.

Questa opposizione all'occupazione non potrà che aumentare se il senatore McCain vincerà le elezioni presidenziali statunitensi e cercherà di ottenere una vittoria militare netta in Iraq. Gli Usa possono rimanere in Iraq solo finché sono alleati con una parte consistente della comunità sunnita o di quella sciita. L'occupazione è sempre dipesa dal ‘divide et impera’. Se gli Usa dovessero trovarsi di fronte a una opposizione unita da parte sia degli sciiti che dei sunniti in Iraq, allora dovranno andarsene. In Iraq tutti sopravvalutano la propria forza prima o poi. La posizione statunitense in Iraq è leggermente migliorata nell'ultimo anno, ma il miglioramento è limitato. Tuttavia, cercando di imporre all'Iraq un patto in materia di sicurezza che trasformerebbe il Paese in uno Stato vassallo, Washington sta alimentando una nuova rivolta . Sta screditando il governo iracheno e i partiti di governo, che verranno visti come pedine straniere. Se McCain vincerà le elezioni presidenziali, e cercherà di mettere in atto l'accordo in materia di sicurezza, allora né l'occupazione né la resistenza nei suoi confronti finiranno.


Patrick Cockburn
è autore di “Muqtada: Muqtada Al-Sadr, the Shia Revival, and the Struggle for Iraq.”     

Counterpunch,
(Traduzione di Ornella Sangiovanni)