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L’Iraq insiste sul calendario per il ritiro delle truppe Usa

di Ornella Sangiovanni - 09/07/2008



Niente calendario per il ritiro delle truppe, niente accordo.

Alza la voce il governo di Baghdad, e lo fa per bocca del suo consigliere per la sicurezza nazionale, Mowaffaq al Rubai’e, sciita e molto vicino al Grande Ayatollah al Sistani, il leader religioso più influente fra gli sciiti iracheni.

E’ proprio dalla città santa di Najaf, dove si era recato a conferire con Sistani, che oggi al Rubai’e ha parlato senza mezzi termini, dicendo: “Non accetteremo alcun memorandum d’intesa se non darà una data specifica per un ritiro completo delle forze straniere”.

Il premier iracheno, Nuri al Maliki, dagli Emirati Arabi Uniti, dove si trova in visita ufficiale, ieri aveva parlato di un memorandum d’intesa che stabilisse il ritiro delle forze straniere dall’Iraq o un calendario per il loro ritiro, nell’ambito dei negoziati in corso da marzo fra Washington e Baghdad per arrivare alla firma di un accordo a lungo termine.

Negoziati che sono chiaramente in fase di stallo, tanto da avere spinto entrambe le parti a considerare alternative diverse dallo Status of Forces Agreement (SOFA) - l’accordo sullo stato delle forze che dovrebbe regolare la presenza militare statunitense in Iraq dopo il 31 dicembre – quando scadrà il mandato Onu, ma sulla cui firma ormai praticamente nessuno si fa più illusioni.

Al Ruba’ie ha riferito ai giornalisti di aver parlato dei negoziati con Sistani, senza però dire se il religioso abbia espresso una opinione a riguardo.

Ha poi aggiunto che le posizioni irachene e americane restano molto distanti, e che “ci sono problemi e difficoltà reali, e abbiamo davanti molti ostacoli”.

Ieri, dopo le dichiarazioni di Maliki, la Casa Bianca aveva smentito che i negoziati in corso avessero l’obiettivo di fissare una data per il ritiro delle forze Usa dall’Iraq.

E oggi il portavoce del governo iracheno, Ali al-Dabbagh, è sembrato correggere il tiro, nonché mitigare le affermazioni di al Ruba’ie, dicendo che la richiesta di Baghdad è sapere quando le forze straniere lasceranno il Paese.

“Questo avverrà attraverso un calendario, un arco temporale, o un orizzonte temporale? Dipende dalla situazione sul terreno. Penso che questo determinerà le date o avrà influenza sulla possibilità di stabilire un calendario”, ha detto Dabbagh, parlando alla televisione al Hurra.

Intanto, come in un gioco delle parti, un “alto funzionario sciita” citato dalla Reuters aggiungeva: “E’ molto presto per parlare dei dettagli. I negoziati sono nelle fasi iniziali”.

Ulteriori complicazioni arrivano dal Parlamento iracheno, nel caso in cui l’obiettivo di Maliki fosse quello di aggirarne l’autorità, ricorrendo a un memorandum di intesa, invece che a un accordo formale con gli Stati Uniti.

Khalid al-Attiya, uno dei due vice presidenti, oggi ha sottolineato che qualunque tipo di accordo dovrà essere approvato dal Parlamento, che probabilmente lo respingerà, nel caso in cui dovesse garantire l’immunità per i soldati statunitensi rispetto alla legge irachena. Una richiesta sulla quale Washington molto difficilmente scenderà a compromessi.

"Non c’è dubbio che se le due parti raggiungeranno un accordo, questo sarà un accordo fra due Paesi, e, secondo la Costituzione irachena, un accordo nazionale deve essere accettato dal Parlamento a maggioranza di due terzi", ha detto Attiya, che è uno sciita indipendente, alla Reuters.

“L’immunità che colloca le truppe Usa completamente al di fuori della giurisdizione e della legge irachena”, ha aggiunto, “non credo che su questo il Parlamento sarà d’accordo”.

La strada, insomma, sembra davvero tutta in salita.



Fonti: Reuters, Agence France Presse