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Etiopia: le responsabilità occidentali nei massacri

di Eugenio Roscini Vitali - 09/07/2008

 
 

La campagna militare dell’esercito etiope in Ogaden si sta ormai trasformando in una vera e propria persecuzione contro la popolazione di etnia somala: rapimenti, torture ed esecuzioni arbitrarie, una crisi umanitaria di vastissime proporzioni che minaccia la sopravvivenza di migliaia di nomadi. E’ questo l’allarme lanciato da Human Rigth Watch (HRW), l’organizzazione internazionale che si batte per la difesa dei diritti umani e che chiede alla comunità internazionale di intervenire affinché il governo di Addis Abeba ordini la fine delle violenze. L’operazione militare, iniziata nel giugno dello scorso anno in seguito alle incursioni dei guerriglieri del Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden (Onlf) contro le installazioni petrolifere presenti nella regione, è una delle tante fasi di un conflitto che va avanti da anni e che, a causa delle restrizioni imposte dal governo etiope sull’informazione, rimane ai più praticamente sconosciuto. Non è così per le autorità governative internazionali che secondo Georgette Gagnon, direttore dell’agenzia Africana di Human Rights Watch, ignorano volontariamente sia i crimini sia le violazioni contro i diritti umani che sconvolgono la regione etiope dell’Ogaden.

Sono ormai alcuni anni che il governo etiope non sta dando grandi prove di democrazia e, approfittando del sostegno incondizionato degli Stati Uniti, fa passare sotto silenzio veri e propri attacchi alle più elementari forme di democrazia. Recentemente l’Etiopia è balzata all’attenzione dei media per essere corsa in soccorso del governo di transizione somalo contro le Corti islamiche. L’azione, che in molti hanno definito come una guerra per delega contro l'Eritrea e i movimenti ribelli somali, è stata ampiamente sostenuta dagli Usa che in Addis Abeba vedono uno degli alleati fondamentali nella strategia della lotta al terrorismo internazionale. Anziché portare stabilità, a Mogadiscio le forze etiopi hanno però portato paura e violenza e hanno causato enormi sofferenze alla popolazione civile; come afferma HRW, in una crisi già aggravata dall’indifferenza del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite le parti in conflitto hanno dimostrato una negligenza di stampo criminale per il benessere della popolazione civile.

A livello interno le cose non sono molto diverse: nel maggio 2005 il premier Melles Zenawi aveva soffocato nel sangue le proteste con le quali l'opposizione denunciava l’uso sistematico di brogli elettorali nelle votazioni legislative ed amministrative. Per alcune settimane Addis Abeba era diventata teatro di violenti scontri tra agenti di polizia e dimostranti e l’eccesso di zelo delle forze dell’ordine aveva prodotto risultati devastanti: almeno 200 morti, centinaia di feriti, migliaia di fermi ed arresti. A questo avevano fatto seguito i processi sommari per "complotto contro la Costituzione” e la censura degli organi di informazione non governativi. I tribunali avevano sentenziato 38 pene capitali e, solo dopo una lettera di scuse inviate al premier, i condannati si sono visti commutare la pena in ergastolo prima di ricevere la grazia definitiva. Se da un lato Zenawi non ha dovuto ammettere di aver abusato del suo potere ed è riuscito a togliere dall’imbarazzo coloro che lo sostengono, soprattutto Europa e Stati Uniti, dall’altro la crisi politica ha dimostrato che in Etiopia la democrazia è ben lungi dall’essere applicata.

L’Ogaden, che si estende per circa 369 mila chilometri quadrati e confina con Gibuti, Kenia e Somalia, fa parte della Regione Somala dell’Etiopia orientale ed è abitato da una popolazione di circa sette milioni di persone. Ceduto all’Etiopia nel 1887, l’Ogaden tornò a far parte delle province somale con l’avvento della campagna di espansione coloniale voluta da Mussolini; durante la Seconda guerra mondiale cadde nelle mani delle truppe britanniche che nel 1941 lo incorporarono nella Somalia Britannica; nel 1959 fu però definitivamente cancellato dalla geografia somala per essere dato all’Etiopia. Alla fine degli anni 70’ il dittatore somalo Siad Barre tentò di rivendicarne la sovranità somala ma venne sconfitto in una delle più sanguinose guerre convenzionali che la storia dei due paesi possa ricordare. Con l’appoggio di Unione Sovietica, Cuba, Yemen e Israele, nel giro di un anno Menghistu ricacciò i somali oltre confine e prese il controllo definitivo della regione.

In un report di 130 pagine, pubblicato il mese scorso, Human Rights Watch denuncia le dichiarazioni di decine di somali dell’Ogaden, vittime e testimoni oculari di abusi, maltrattamenti, torture, stupri, esecuzioni pubbliche e villaggi incendiati, fatto confermato dalle immagini satellitari rilevate tra settembre e dicembre del 2007. Nella relazione (Crimini di guerra e crimini contro l’umanità nell’Ogaden, regione somala dell’Etiopia) viene descritta la risposta dell’esercito etiope all’attacco portato dai ribelli dell’Onlf contro l’istallazione petrolifera di Obole, nella quale hanno perso la vita più di 70 civili, molti dei quali tecnici cinesi trucidati dai ribelli. Per rappresaglia le truppe avrebbero sfollato intere comunità rurali che vivono nell’interno e che sarebbero sospettate di fornire aiuto ai guerriglieri. A scopo intimidatorio sarebbero state passate per le armi decine di civili e arrestate centinaia di persone, uomini e donne tradotti con la forza nelle caserme dove sarebbero stati torturati, seviziati e stuprati. Non sarebbero neanche rari i casi di arruolamento forzato, persone costrette dall’una e dall’altra parte a combattere senza neanche un minimo di addestramento; perlopiù nomadi che vivono nelle zone più “calde” del conflitto e che sono spesso costretti ad attraversare la regione per raggiungere i mercati dove possono vendere il loro bestiame.

Per isolare l’Onfl ed impedirne il sostegno economico, dalla metà dello scorso anno le autorità di Addis Abeba hanno imposto una serie di misure restrittive: blocco totale degli scambi commerciali in tutte le zone affette dal conflitto; riduzione dell’accesso alle risorse idriche, all’irrigazione dei raccolti e ai pascoli; confisca del bestiame e delle merci; limitazioni del campo dell’assistenza umanitaria. Tutte sanzioni che aggravano la già difficile situazione del popolo somalo dell’Ogaden che oltre a fare i conti con la siccità, deve affrontare le conseguenze della repressione e la manipolazione del piano di aiuti alimentare messa in atto dalle autorità etiopi. A tale proposito, il report riporta le denuncie delle organizzazioni umanitarie che si vedono negare l’accesso alle aree più gravemente colpite dalle violenze. Oltre all’arresto dei giornalisti che cercano di testimoniare le sofferenze della popolazione civile, nel luglio 2007 Addis Abeba ha ordinato l’espulsione dei rappresentanti del Comitato internazionale della Croce Rossa; da quel momento il personale delle agenzie umanitarie rimasto nell’Ogaden ha potuto operare solo sotto la stretta sorveglianza dell’esercito.

Mentre in Etiopia continuano ad arrivare fiumi di denaro - due miliardi di dollari dalle sole istituzioni occidentali per il programma di assistenza alimentare alle regioni colpite dalla siccità, inclusa la Regione Somala - nell’Ogaden la gente rischia ogni giorno di morire. In questa tragica storia di violenza e di fame la latitanza della comunità internazionale, inclusa Europa e Stati Uniti, diventa incredibilmente avvilente e ancor di più lo diventano le scuse addotte: i governi occidentali non avrebbero ancora chiesto l’apertura di un’indagine perché, a loro dire, mancherebbero informazioni a sostegno delle denuncie fatte da HRW e dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani. Ma i fatti sembrano però confermare il contrario e nonostante Addis Abeba continui a negare ogni accusa, lasciar passare altro tempo equivale ad essere complici di nuova e devastante crisi umanitaria.