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La dodicenne di Treviso: deviante o troppo integrata?

di Michele Orsini - 10/07/2008

                          

 

Per qualche giorno la stampa nazionale ha cavalcato la notizia della dodicenne trevigiana che si fotografava nuda nei bagni della scuola e vendeva le foto ai compagni, per 5 o 10 euro, per potersi comprare abiti firmati. Non sono mancati commenti sorpresi e addolorati. Ci stupiamo di tanto stupore, anche se oramai non ci stupiamo più per l’ipocrisia. La direttrice dell'Ufficio Scolastico di Treviso Maria Giuliana Bigardi ha affermato che “la crescente disattenzione delle famiglie nei confronti dei figli è allarmante". D’accordo, ma ci è voluta questa vicenda per accorgersene?

Dal prossimo anno, la dodicenne non frequenterà più quella scuola media, poiché si trasferirà in un altro istituto. Oltre a ciò i genitori hanno deciso di affidarla ad uno psicologo. Ma l’intraprendente ragazzina si può considerare, per la nostra società, una deviante da riportare sulla retta via o non piuttosto una che ha capito troppo presto e bene come funzionano le regole del gioco?

 

Urie Bronfenbrenner, psicologo statunitense deceduto nel 2005, ha introdotto nel 1979 una teoria dell’ambiente in cui l’essere umano si sviluppa come una serie di cerchi concentrici legati tra loro da relazioni. Il cerchio più grande o macrosistema è costituito dalla situazione culturale complessiva, per esempio a livello nazionale, che influenza tutti i livelli inferiori in esso contenuti.

Secondo Bronfenbrenner ogni macrosistema contiene norme, legali o sociali che siano, in contraddizione tra loro: siamo di fronte a una di queste situazioni, di fronte alle quali l’ambiguità delle regole è grande, pericolosa per chiunque e ancor di più per un adolescente; sussistono tuttora i richiami a un “comune senso del pudore” che è sempre meno comune, ma ancora più forte esiste la spinta a “prostituirsi” (etimologicamente: esporsi, farsi vedere) da una parte e quella al voyeurismo dall’altra, ovvero l’offerta e la domanda che finiscono fatalmente per incontrarsi.

 

I criteri di inclusione/esclusione dei gruppi informali frequentati dai giovani in età adolescenziale sono vari e molteplici, ma tra i più frequenti, nel “macrosistema occidentale” c’è sicuramente il look: addirittura molti casi di bullismo vedono come vittime giovani che non possono permettersi o, più banalmente, non sono interessati a vestirsi firmati. Niente di strano in un Paese nel quale in televisione scorrono degli spot che pubblicizzano i prodotti di marca, talvolta senza neppure specificare quali prodotti né di quali marche.

Considerando quant’è importante per gli adolescenti essere accettati, cercati, “popolari” si può intuire che il rischio di non riuscirvi può anche risultare fonte di vero e proprio terrore, tale da spingere a sfuggirvi con qualsiasi mezzo, anche la vendita dei propri nudi…ma tale vendita deve per forza essere considerata come gesto estremo o deviante? L’unica vera colpa della ragazza è proprio l’età, poiché ci sono leggi antipedofilia che vietano la commercializzazione di simili materiali: pur se pensate per evitare lo sfruttamento degli adulti sui minori, non fanno (opportunamente) nessuna distinzione. L’età troppo giovane, però, è paradossalmente anche ciò che la salva dall’imputazione. Il comportamento della nostra è deviante solo perché precoce, per il resto corrisponde ai dettami della cultura dominante, che prevede che tutto è merce e può essere venduto.

Il prototipo del ruolo proposto alla donna, del resto, non è più quello della brava mogliettina, ma quello ancora più squalificante della velina, che non fa e non sa fare nulla ma si limita a mostrare il suo corpo sexy. Sono molte le ragazze che sognano di poter assumere questo ruolo, al punto che forse potrebbero anche accettare di posare per i propri amici soltanto per giocare a sentirsi già veline. E farsi pagare 10 euro potrebbe far sembrare tutto un po’ più vero…anche perché, se la motivazione fosse meramente economica, i prezzi sarebbero da considerarsi troppo bassi: oggi con 10 euro non si fa quasi niente!

 

I giovanissimi si ritrovano a disposizione videofonini che gli permettono di fare centinaia di foto a costo quasi zero e, soprattutto, senza avere il bisogno di portarle in uno studio fotografico per svilupparle: anche dieci o venti anni fa, disponendo di questi supporti tecnologici, le foto sarebbero circolate, vendute o semplicemente regalate. Sarebbe da sciocchi pensare che quello di Treviso sia un caso isolato. E non pensiamo neppure che i nudi in circolazione siano soltanto femminili. Qualcuno potrebbe scagliarsi allora tecnofobicamente contro i videofonini, magari proponendo un divieto d’uso ai minori. Sarebbe un altro caso di razzismo contro i giovani della nostra società che qualcuno ha definito gerontocratica. Il problema è invece a livello di cultura, di macrosistema e non lo si risolverà certo con un ridicolo divieto moralistico in più. Si dovrebbe piuttosto pensare a come “demercificare l’esistente”. Serve una vera e propria rivoluzione culturale.