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E in tempi di nucleare l’arbitro rilancia sull’energia verde

di Stefano Agnoli - 11/07/2008

 

 

 

Quattordici contro due: è quante volte nella relazione di Ortis ricorrono, rispettivamente, i termini «rinnovabili» e «nucleare». Non poteva essere altrimenti, visto che il programma atomico del governo è ancora di là da venire, mentre 1’Ue ha già assegnato all’Italia un obiettivo del 17% di consumi di energia da fonti «verdi». E’ proprio su quest’ultima quota che si è esercitato il presidente dell’Autorità: Ortis ha ricordato da un lato come essa abbia provveduto - anche affrontando le cause intentate dalle aziende - a limitare gli esborsi per l’energia rinnovabile «finta», come è quella della maggioranza del Cip6. Dall’altro ha messo in rilievo come per eolico, fotovoltaico, geotermico eccetera, si prospetti una spesa enorme se il disegno comunitario dovesse andare in porto: 200 miliardi di euro al 2035. Rispettando le sue competenze istituzionali, e malgrado i rimbrotti di Scajola, l’Autorità ha messo così il dito in più piaghe.

 

Intanto che la bolletta elettrica degli italiani è già abbastanza salata, e sovraccaricarla sarebbe poco opportuno, anche se è immaginabile che parecchi cittadini sarebbero meglio disposti a spendere per una causa «buona», come l’eredità ambientale da lasciare ai propri figli.

 

L’Ue ha calcolato che il suo piano costerebbe a ognuno dei 48o milioni di europei circa 3 euro la settimana. La «verde» Germania, nel 2006, ha caricato ai suoi cittadini due euro e venti al mese che arriveranno intorno ai 4 per poi diminuire.

 

Il contributo alle rinnovabili, poi, crea in prospettiva un problema di concorrenza di incentivi, o di loro sostenibilità, se il piano nucleare in arrivo non dovesse essere pienamente finanziato dall’industria privata. Nel mondo il «decommissioning» e il trattamento delle scorie sono solitamente a carico dello Stato: la mano pubblica dà maggiori garanzie di lungo periodo, ma ciò significa anche che i costi sono coperti con i prelievi dalle bollette dei consumatori. Per non parlare poi di eventuali finanziamenti pubblici agevolati per la costruzione degli impianti.

 

C’è infine un’altra questione. Se quella montagna di incentivi servisse a far crescere l’occupazione, l’industria e le tecnologie nazionali si potrebbe parlare di una vera e propria politica energetica in atto. Il modello tedesco nelle rinnovabili vanta la creazione di posti di lavoro (finora 13o mila), fatturati (14 miliardi) e tecnologie che vengono rivendute nel resto del mondo, intercettando così gli incentivi italiani.

 

Una via battuta anche dagli spagnoli. E proprio ieri Acciona, il litigioso socio di Enel in Endesa, ha annunciato 500 milioni di euro di investimenti in Grecia per i prossimi 5 anni nell’eolico. Da noi ha iniziato da qualche tempo a muoversi anche la stessa Enel, che sempre ieri ha chiesto la Via (valutazione di impatto ambientale) per un parco eolico marino nel golfo di Gela. In joint-venture (57-43%) con la siciliana Moncada, che dal business delle costruzioni è passata a quello delle rinnovabili. Come Acciona.