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Italia. Ragioni dell’in/dipendenza (Giugno 2008)

di redazionale - 14/07/2008

 

· Crisi economica e sociale in Italia: dal rapporto Istat agli stipendi / salari, dalla “Robin tax” all’accordo con le banche sui mutui, eccetera. Si parte da “economia” e “politica economica” (8 e 19 giugno) per poi necessariamente collegarsi al 12, al 22 e al 25 giugno (“politica economica”) e parlare di Banca Centrale Europea per meglio comprendere il pesantissimo grado di interferenza e condizionamento subìto anche dal nostro paese. Un’occhiata non sarebbe malvagio portarla alla voce “politica interna” (2 giugno) ed “economia” (22 e 23 giugno) per le connessioni tra inflazione, prezzo del petrolio, speculazione finanziaria e finanza USA. In questo quadro, la dice lunga quanto si può leggere a “finanza” (1 giugno): se lo dicono anche loro... Infine, in “politica economica” (27 giugno), critiche “da destra” ai provvedimenti economici del governo Berlusconi.

 

· Strettamente relazionato con quanto sopra, e per gli ulteriori effetti (nefasti) per cui è stato pensato, è importante vedere la voce “Trattato Europeo” (1, 13 e 26 giugno). Al di là delle cosine dette, sarà necessario alzare il livello dell’informazione e della presa di coscienza, preliminari ad un’indispensabile lotta di affrancamento.

 

· Ed ora sulla dipendenza / occupazione militare del territorio italiano. Partiamo con la Base USA “Dal Molin” (Vicenza). Carrellata di notizie al 20 e al 30 giugno. Val la pena notare complicità e connivenze che si consumano ai danni di territorio e popolazioni locali, che riflettono a titolo esemplificativo le ripercussioni su scala nazionale del grado di colonizzazione del nostro paese. Dal centrosinistra al centrodestra, da nord a sud –nello specifico Base NATO di Sigonella (nei pressi di Catania - Sicilia)– la musica non cambia (14 giugno). Non irrilevante, in questo quadro, la questione del nucleare nel nostro paese (21 giugno). Quindi una serie di notizie su NATO-USA e l’Italia: taglio delle spese sociali ed aumento di quelle militari (2 giugno), dichiarazioni su La Repubblica del generale Mini (2 giugno) e Afghanistan (18 giugno). Infine, assolutamente non secondaria, una chicchetta pressoché silenziata sui grandi mezzi di comunicazione: cfr. politica interna / Iran (11 giugno).

 

· Si fa un gran parlare di crisi alimentare. Per Ian Angus c’è abbondanza, non scarsità di cibo. Ma c’è chi muore per fame. Per ragioni speculative ad ampio raggio (geopolitiche, economiche, finanziarie, ecc.). Chi fa retorica sulla fame nel mondo, tace al riguardo e tantomeno invita ad azioni e politiche conseguenti. Angus imputa principalmente alla promozione degli interessi del capitalismo agro-alimentare a dominanza USA le cause della attuale cosiddetta “crisi alimentare” (cfr. sovranità alimentare 3 giugno): speculazione finanziaria, interessi delle multinazionali agro-alimentari, liberalizzazione degli scambi e promozione degli OGM. Tesi sostenute, con interessanti integrazioni, anche da Jean Ziegler, membro della commissione del consiglio consultivo ONU per i diritti umani. A proposito di Organismi Geneticamente Modificati (OGM): entrano nelle nostre case grazie all’Unione Europea e su pressioni USA. Come? per restare ai giorni nostri, si può partire da una dichiarazione di Barroso, presidente della Commissione Europea e alle reazioni che ne sono seguite (OGM 1 giugno). Poi val la pena prestare occhio agli orientamenti della Politica Agricola Comune a partire dal 2000 con effetti che rischiano di concretarsi anche nelle nostre lande (UE / Sovranità alimentare 6 giugno). Non sarebbe male, quindi, spulciare alla voce sovranità alimentare (20 giugno) per la produzione degli agro-combustibili, che ha un peso «significativo» nell’impennata globale dei prezzi del generi alimentari. Questa produzione è sostenuta anche dall’Unione Europea sulla scia degli interessi preminenti degli USA che mirano al controllo della produzione alimentare del pianeta e alla diffusione degli OGM. A completamento della carrellata di notizie, qualcosa su grande industria e piccole aziende agricole (sovranità alimentare 10 giugno).

 

 

Sparse ma significative:

 

· Orario di lavoro e Consiglio Europeo. Con l’Europa si ritorna indietro di secoli. Cfr. Lavoro 10 giugno.

 

· Sul nuovo capo dei servizi segreti italiani, Gianni De Gennaro. Cfr. Interni 16 giugno.

 

· Come si intrecciano gli interessi economici dell’industria dei farmaci e quelli di una categoria professionale (gli psichiatri). Cfr. Sanità 3 giugno.

 

· Strage di Bologna e caso Moro, secondo Ilich Ramirez Sanchez “Carlos”. Cfr. Interni 29 giugno.

 

· Schedare chi viaggia: stato di polizia USA anche all’estero. Cfr. USA / Europa / Italia 28 giugno.

 

  • Finanza. 1 giugno. «Non possono essere i mercati finanziari a governarci!». È il titolo di una lettera (stupefacente a scorrere l’elenco dei sottoscrittori) di esponenti della socialdemocrazia europea inviata al presidente della Commissione UE, Jose Manuel Barroso, ed al presidente francese, Nicolas Sarkozy (il quale ha assunto da inizio mese la presidenza di turno dell’UE) e pubblicata il 22 maggio su Le Monde. «La crisi finanziaria attualmente in corso non è un caso. Essa non era, come vuole qualcuno ai vertici della finanza e della politica, impossibile da prevedere. Per individui dotati di lucidità, l’allarme suonò diversi anni fa. Questa crisi è dovuta al fallimento di mercati con poche o senza regole, e ci mostra, ancora una volta, che il mercato finanziario non è capace di autoregolamentazione. Essa ci ricorda le inquietanti disuguaglianze di reddito, che non cessano di aumentare nelle nostre società, e getta forti dubbi sulla nostra capacità di impegnarci in un dialogo credibile con le nazioni in via di sviluppo a proposito delle grandi sfide mondiali». La lettera è firmata da due ex presidenti della Commissione Europea, Jacques Delors e Jacques Santer, da sette ex capi di governo (Helmut Schmidt, Massimo d’Alema, Lionel Jospin, Pavvo Lipponen, Goran Persson, Poul Rasmussen, Michel Rocard), e cinque ex ministri del Tesoro (Daniel Daianu, Hans Eichel, Pär Nuder, Otto Lambsdorff, Ruairi Quinn).

 

  • Finanza. 1 giugno. I socialdemocratici denunciano la pratica della speculazione ed il ruolo del sistema finanziario nell’aumento dei prezzi alimentari ed energetici, nell’instabilità dei mercati immobiliari (in particolare Regno Unito, Spagna e Irlanda) e nel rallentamento economico in Europa, sottolineando che a livello globale si rischia di generare «miseria senza precedenti, proliferazione di Stati falliti, migrazioni di massa e nuovi conflitti armati». Netta la critica al sistema finanziario. «I mercati finanziari sono diventati sempre meno trasparenti e si rivela un’impresa titanica l’identificazione di coloro che sostengono e valutano i rischi. Il settore bancario detto “nell’ombra”, anch’esso poco o mal regolato, non ha mai cessato di crescere nel corso degli ultimi vent’anni». Precisa l’identificazione dei responsabili e dei meccanismi di speculazione: «Le grandi banche hanno partecipato ad un gioco di “creazione e distribuzione” di prodotti finanziari estremamente complessi e si sono imbarcate nella vendita di debiti legati a prestiti immobiliari ad alto rischio. Le transazioni speculative sono state dunque incoraggiate da regimi di tassi inadeguati, da una visione fin troppo miope e da conflitti d’interesse ben evidenti. I prestiti ipotecari dubbiosi, fondati a torto sull’idea che i prezzi degli immobili fossero destinati ad aumentare senza sosta, permettendo così il rimborso dei debiti contratti, non sono che i sintomi di una crisi assai più ampia, in materia di governo della finanza e delle pratiche commerciali. Le tre più grandi agenzie di “rating” al mondo si sono spinte a classificare questi valori strampalati come privi di rischi, relativamente parlando. Una banca d’investimento ha guadagnato alcuni miliardi di dollari americani speculando al ribasso sui titoli subprime proprio vendendoli ai propri clienti, cosa che può essere qualificata in modo più eloquente come la perdita di ogni forma di etica nel mondo degli affari!».

 

  • Finanza. 1 giugno. La lettera ricorda la definizione data nel 2003 da Warren Buffett, che classificò i prodotti derivati tra le «armi finanziarie di distruzione di massa». Secondo i firmatari, «la crisi finanziaria dimostra assai chiaramente che l’industria finanziaria è incapace di regolarsi da sé. È imperativo il miglioramento dei controlli e la regolamentazione delle banche. Occorre ugualmente rivedere i quadri di regolamentazione degli strumenti d’investimento. L’uso degli strumenti finanziari (come le Obbligazioni Collaterali Derivate, obbligazioni associate ad attivi finanziari di natura differente) dovrà essere regolato. Ogni istituzione finanziaria dovrà, come le banche, mantenere delle riserve minime, e il tasso d’indebitamento non potrà rimanere illimitato. Infine, il regime dei tassi dovrà essere rivisto al fine di scoraggiare l’assunzione di rischi sconsiderati senza una certa prudenza». Ampie saranno le conseguenze negative di questa crisi sull’economia reale, anche nell’Unione Europea, in cui si paventa una recessione quantomeno nel 2009. Disuguaglianze e debiti in aumento sono tra le conseguenze della crescita incontrollata del potere della finanza. «La crescente disuguaglianza dei redditi s’è prodotta parallelamente alla continua crescita del settore finanziario (…) Il capitale finanziario rappresenta oggi un valore quindici volte superiore al PIL mondiale. In America, il debito accumulato dalle famiglie, dalle imprese finanziarie e non finanziarie, e dalle autorità pubbliche rappresenta un valore superiore al triplo del PIL degli Stati Uniti, ossia due volte superiore al livello registrato nel momento in cui si ebbe il crack di borsa del 1929».

 

  • Trattato Europeo. 1 giugno. Il Consiglio dei ministri ha approvato il 30 maggio il decreto legge per la ratifica del Trattato di Lisbona. «Non ci sono divisioni all’interno del Governo e mi auguro che il Parlamento, a larga maggioranza, contribuisca alla rapida adozione di questo disegno di legge». Così il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha commentato il via libera alla ratifica del nuovo Trattato europeo, che sostanzialmente ripropone quella “Costituzione Europea” bocciata nel 2005 dai popoli francese ed olandese. «Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge di ratifica del Trattato di Lisbona che i presidenti delle Camere inseriranno come priorità nell’ordine del giorno dei lavori parlamentari. Non ci sono divisioni, sul punto, all’interno del Governo e mi auguro che il Parlamento con una larga maggioranza, comprendente le forze di opposizione, contribuisca alla rapida adozione di questo disegno di legge».

 

  • Trattato Europeo. 1 giugno. «Nessuna persona sana o decente leggerebbe il Trattato Europeo dalla prima all’ultima pagina». Lo ha affermato il Commissario UE, McCreevy, parlando il 23 maggio a Dublino a favore del Sì, giustificando la sua mancata lettura del Trattato. Una settimana prima anche il Primo ministro Cowen, che conduce una aggressiva campagna a favore della ratifica, aveva confessato di non aver letto il testo del Trattato.

 

  • Trattato Europeo. 1 giugno. Nonostante in ogni Stato dell’Unione Europea, tranne in Irlanda, si sia fatto di tutto per evitare un dibattito pubblico sul Trattato demandando la ratifica al voto parlamentare, il processo di ratifica conosce qualche piccolo intoppo. Il 23 maggio, anche il Bundesrat tedesco ha votato a favore del Trattato, ma il Presidente Horst Köhler ha sospeso la firma sul voto per i tre ricorsi alla Corte Costituzionale presentati dal Linkspartei, dal partito Ecologista-Democratico e dal parlamentare democristiano bavarese Peter Gauweiler, assistito dal noto giurista Karl-Albrecht Schachtschneider. I ricorsi riflettono una crescente protesta pubblica in Germania contro il Trattato. Nella Repubblica Ceca, è stato il Senato stesso a interpellare la Corte Costituzionale prima del voto, sospendendo per ora il processo di ratifica. Il governo, che assumerà la presidenza semestrale dell’UE dopo la Francia, a partire dal gennaio 2009, ha preparato due scenari: uno nel caso che il Trattato venga ratificato da tutti i paesi membri, e un altro nel caso che fallisca.

 

  • Trattato Europeo. 1 giugno. Anche in Italia si leva qualche voce critica. L’ex ministro e giurista Giuseppe Guarino, ordinario di diritto amministrativo all’Università di Roma, ha diffidato dal ratificare il trattato così com’è, perché esso codificherebbe un sistema di «governo di un organo» o «organocrazia». Il prof. Guarino ha esposto la sua critica in una conferenza pubblica a Firenze il 19 maggio, alla presenza di costituzionalisti, esperti e amministratori. Il trattato vìola almeno due articoli della Costituzione italiana, l’art. 1 («La sovranità appartiene al popolo») e l’art. 11 (l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie»). Riguardo a quest’ultimo, le condizioni di parità sono violate dal fatto che paesi come la Gran Bretagna e la Danimarca, membri del Trattato, sono esonerati dalla partecipazione all’Euro. Così essi possono, ad esempio, fissare il tasso d’interesse in modo vantaggioso per loro ma svantaggioso per gli altri firmatari del Trattato. Inoltre, osserva Guarino, il Trattato di Lisbona aumenta i poteri della Commissione Europea. Ad esempio, nel caso della procedura di infrazione del Patto di Stabilità, stabilita dall’art. 104, la Commissione finora aveva solo il potere di notificare l’avvenuta infrazione al Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, che poi decideva se avviare la procedura o meno. Nella nuova versione, sono stati introdotti tre cambiamenti che spostano quei poteri in seno alla Commissione. Non va infine scordato che sarebbe di fatto impossibile successivamente modificare il Trattato Europeo, occorrendo l’unanimità.

 

  • Trattato Europeo. 1 giugno. «Nei quindici anni dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, che ha introdotto la moneta unica, l’euro, lo sviluppo medio annuo del Prodotto interno lordo (PIL) italiano è rallentato, è risultato la metà di quello del quindicennio anteriore, un quarto di quello del periodo dal 1945 al 1980. Nel trentacinquennio, a partire dalla fine della ricostruzione, l’Italia era stata prima assoluta tra i Paesi occidentali nello sviluppo. Ed era ancora in testa nel quindicennio anteriore a Maastricht, seconda solo alla Germania, tra i Paesi europei con più popolazione. Negli anni dal 1992 ad oggi siamo all’ultimo posto». Così Giuseppe Guarino sui dati empirici dell’economia italiana dopo l’adesione al Trattato di Maastricht. In realtà le considerazioni del giurista italiano sono paradossalmente minimali nel rilevare gli effetti per l’Italia indotti dall’unificazione europea. Basti pensare alle disposizioni sulla liberalizzazione dei movimenti di capitale previsti dal vecchio Atto Unico Europeo ed i suoi riflessi sull’entità del debito pubblico italiano. Oppure alla normativa sugli aiuti di Stato ed all’accordo europeo Andreatta-Van Miert, che ha portato allo smantellamento dell’IRI e dell’industria di Stato, pilastro fondamentale del capitalismo italiano; le direttive europee sulle banche, che ne hanno modificato ampiamente natura e funzioni; oppure al patto di stabilità, con i suoi effetti recessivi per l’economia italiana e l’impulso dato di fatto a svendite (vedasi le cartolarizzazioni) ed indebitamento degli enti territoriali.

 

  • Politica interna. 1 giugno. «Questi ci copiano». Marco Minniti, ministro-ombra degli interni del Partito Democratico, così ha commentato (il Manifesto, 22 maggio) le misure contro l’immigrazione del centrodestra: «Leggeremo i testi. Ma stando ai titoli, gran parte delle questioni poste dal governo Berlusconi erano già contenute nel pacchetto Amato. Parola per parola, ai limiti dei dettagli». Se non fosse per il reato di immigrazione clandestina, che sarà discusso in parlamento, il centrosinistra non troverebbe proprio niente da eccepire ai provvedimenti presentati dal ministro Maroni. Per Minniti si tratta comunque «più di una bandiera politica che un provvedimento in cui si crede». Perché, spiega Lanfranco Tenaglia, guardasigilli ombra, «innanzitutto il reato di immigrazione clandestina ha profili di incostituzionalità e bisogna verificare se è in conformità con le norme internazionali e con la convenzione europea sui diritti umani. Ma sia chiaro, una volta introdotto, poi bisognerà assicurare a tutti le garanzie del giusto processo. E finiremmo per tenerci il clandestino per tutti e tre i gradi di giudizio». È insomma la concreta efficacia che non convince il Partito Democratico, mentre non si ha niente da obiettare sul profilo umanitario di questi provvedimenti. Del resto, commenta il Manifesto, «la mossa del governo –quella di raccogliere i testi che Prodi non è riuscito a approvare– è astuta. L’opposizione parlamentare non può che attestarsi su questo basso profilo. Una difficoltà da cui non può smarcarsi neanche l’opposizione extraparlamentare, ovvero quel che resta della sinistra arcobaleno». Intanto l’Alto commissariato ONU per i rifugiati ha chiesto ufficialmente al governo italiano di correggere le nuove norme sul diritto d’asilo. Rischiano di far espellere una persona che lo richieda prima che abbia la possibilità di presentare ricorso ad un eventuale diniego, «contro un principio fondamentale del diritto e con l’articolo 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo».

 

  • OGM. 1 giugno. Barroso: OK alla coltivazione di OGM. «Dobbiamo mantenere una politica aperta ma vigile sugli OGM, le cui coltivazioni in Europa sono limitate, al contrario del resto del mondo». È quanto si legge nel documento sulle risposte da dare all’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli che il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha presentato il 20 maggio. Si tratta di un cambiamento d’indirizzo radicale, visto che per molti anni la Commissione ha adottato sul tema il principio di precauzione e “tolleranza zero”. Tuttavia, già l’anno scorso, in occasione della revisione del “Codex Alimentarius” (insieme di regole e di normative elaborate da una Commissione istituita nel 1963 dalla FAO e dall’OMS per facilitare gli scambi internazionali degli alimenti), la Commissione aveva mostrato di voler favorire gli OGM sotto pressioni degli USA. Secondo i dati forniti dalla rivista Science, dei 114 milioni di ettari di coltivazioni di piante geneticamente modificate, oltre la metà si trovano negli Stati Uniti (51%). Il 99% delle coltivazioni è concentrata in pochi paesi: Stati Uniti, Canada, Sud America (Argentina, Brasile e Paraguay), India, Cina, e Sud Africa.

 

  • OGM. 1 giugno. L’esternazione di Barroso ha suscitato la pronta reazione della “Coalizione Italia Europa-Liberi da OGM”, cui aderiscono Acli, Adiconsum, Adoc, Adusbef, Agci, Agrital, Aiab, Alpa, Assocap, Avis, Cia, Cic, Città del Vino, Cna, Codacons, Coldiretti, Confartigianato, Consorzio del Parmigiano Reggiano, Coop, Copagri, Fedagri, Federconsumatori, Focsiv, Fondazione Diritti Genetici, Greenpeace, Legacoop agroalimentare, Legambiente, Libera, Res Tipica, Slow Food Italia, Unci, VAS, Wwf. «Gli OGM non sono la soluzione alla crisi alimentare. La produzione agricola continentale riesce a essere ancora competitiva solo grazie alle sue caratteristiche di tipicità e qualità. Tutti questi aspetti distintivi verrebbero a cadere se gli agricoltori europei si affidassero alla standardizzazione che porta l’utilizzo degli OGM». Secondo il coordinatore della Coalizione, Roberto Burdese, per risolvere la crisi alimentare «esistono efficaci ed eccellenti risposte nella difesa del patrimonio di biodiversità agricole e alimentari dell’Europa, nella conservazione e nel potenziamento dei modelli di agricoltura su media e piccola scala con destinazione prevalente al mercato locale, nell’agricoltura biologica e in tutte quelle forme di agricoltura che operano per svincolarsi dalla dipendenza dagli input di natura chimica di cui gli OGM sono parte integrante». Posizione condivisibile, alla quale va aggiunto che, sulla base dei dati attualmente a disposizione, ancora non c’è traccia di aumento della produttività dei raccolti OGM rispetto a quelli convenzionali, né si registra una significativa riduzione dell’uso di antiparassitari ed erbicidi.

 

  • OGM. 1 giugno. Promuovere gli OGM significherebbe favorire quegli stessi interessi economici che più stanno profittando della crisi alimentare. «Nella fase più critica della crisi alimentare, legata principalmente all’impennata dei prezzi delle principali materie prime agricole, le grandi multinazionali che propongono gli OGM come soluzione dei problemi, registrano in realtà un balzo clamoroso dei propri profitti: più che risolutori del problema, certamente esse sono tra i grandi beneficiari di questa situazione che sta mettendo in gravi difficoltà miliardi di persone in tutto il pianeta». Il comunicato stampa della “Coalizione Italia Europa-Liberi da OGM” (19 maggio) riporta alcuni dati: «Monsanto, uno dei principali produttori di sementi geneticamente modificate, l’anno scorso ha visto salire il proprio utile netto del 44%, nel primo trimestre 2008 gli utili sono addirittura raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2007; Syngenta, altro grande player del settore, nel primo trimestre di quest’anno ha annunciato un balzo di profitti del 28% e anche la DuPont ha rivisto al rialzo la stima di crescita per il resto del 2008».

 

  • OGM. 1 giugno. A questi dati andrebbero aggiunte le considerazioni di Greenpeace. L’associazione ambientalista sostiene che «anche se l’ingegneria genetica fosse in grado di mantenere le sue promesse di alte rese e di raccolti resistenti alle malattie per il Terzo Mondo, sembra improbabile che ciò possa portare benefici alle popolazioni affamate in quanto essa non affronta alle radici le cause della malnutrizione. In effetti, sostenendo che questo complesso problema sia risolvibile con una panacea biotecnologica, i governi e le industrie cercano di coprire le reciproche complicità che consentono di mantenere in vita quelle strutture politiche e quelle diseguaglianze sociali responsabili dell´insufficienza alimentare di milioni di persone». Entrando ancor più nel merito, Greenpeace si domanda retoricamente «come gli alti investimenti sostenuti dalle multinazionali dell’agro-bio-tecnologia possano poi trasformarsi in generosi interventi a favore delle popolazioni affamate ed indebitate. Piuttosto, c’è il rischio che con i brevetti sulle varietà agricole, eliminata la biodiversità naturale, questi colossi economici si approprino direttamente delle sementi e quindi della produzione, con un controllo sociale spaventoso, potendo decidere (vendendo o meno le sementi) chi mangia e a quali condizioni». D’altronde, alla luce dei dati, mentre nel mondo risulta quasi un miliardo il numero di persone che soffrono la fame, nello stesso periodo si è avuto un forte incremento delle superfici coltivate con Organismi Geneticamente Modificati che hanno superato abbondantemente i 114 milioni di ettari.

  • Sovranità alimentare. 1 giugno. La speculazione finanziaria è la responsabile dei tremendi incrementi del prezzo del riso. Il presidente di Coldiretti, Sergio Marini, in occasione dell’incontro EuropAfrica tenutosi a Roma due giorni fa per dibattere sui rincari dei mercati agricoli, rilevando gli andamenti altalenanti del prezzo del riso, che aveva raggiunto a fine aprile il suo massimo storico (circa 25 dollari per hundredweight – 50,8 Kg), ha puntualizzato che le speculazioni sul riso hanno provocato aumenti dei prezzi al dettaglio, restrizioni commerciali e accaparramenti che hanno ridotto la disponibilità sul mercato con serie ripercussioni anche in termini di disordini ed emergenze alimentari in molti Paesi. Per la Coldiretti la «finanziarizzazione dei commerci mondiali di cibo» ha aperto le porte alle grandi speculazioni internazionali, che conseguono profitti miliardari “giocando” in totale impunità sui prezzi delle materie prime agricole, provocando grande volatilità e impedendo la programmazione e la sicurezza degli approvvigionamenti. Per Marini occorre «investire nell’agricoltura delle diverse realtà del pianeta», con politiche agricole regionali «che sappiano potenziare le produzioni locali da orientare al consumo interno». Si tratta di aumentare la sicurezza alimentare sostenendo decisamente le produzioni locali e lo sviluppo di mercati regionali e territoriali, dunque l’accesso alle coltivazioni delle aziende familiari. I recenti eventi, infatti, dimostrano per Coldiretti «la grande vulnerabilità di un sistema impostato sulla liberalizzazione spinta del mercato» che favorisce «una nuova ‘colonizzazione’ dei Paesi più poveri», invogliandoli con alti prezzi ad esportare piuttosto che a soddisfare il crescente fabbisogno interno. Ndiogou Fall ha aggiunto che l’agricoltura nei Paesi del cosiddetto “Terzo mondo” «è stata trasformata in una miniera di materie prime per l’industria alimentare europea. Il Senegal, il mio Paese, doveva produrre arachidi per gli oli alimentari, la Costa d’Avorio cacao e caffé per le multinazionali della cioccolata, altri come il Mali sono diventate miniere di cotone, e finché questa logica non cambierà non si uscirà dalla crisi». Intanto, tra aumenti dei prezzi del petrolio, speculazioni finanziarie sui fondi di investimento legati ai prodotti agricoli, cambiamenti climatici e accresciuto utilizzo di terreni per la produzione di agrocarburanti, è facile attendersi ulteriori aumenti dei prezzi dei prodotti agricoli.

 

  • Sovranità alimentare. 1 giugno. Speculazione finanziaria, agro-carburanti, politiche di liberalizzazione del commercio agricolo: anche per Jean Ziegler, membro della commissione del consiglio consultivo ONU per i diritti umani, sono queste le cause dell’attuale crisi alimentare. «Lo scorso anno, dal febbraio 2007 al febbraio 2008, il prezzo del frumento sul mercato internazionale è cresciuto del 130%, quello del riso del 74%, quello della soia dell’87%, quello del granoturco del 31%». In un articolo pubblicato su il Manifesto di due giorni fa, Jean Ziegler esprime preoccupazioni riguardo la crisi in paesi poveri come quelli africani e centroamericani, che per il proprio fabbisogno alimentare ricorrono in prevalenza alle importazioni. Haiti, ad esempio. «Il 100% della farina consumata è d’importazione, e così il 75% del riso. Tra il gennaio del 2007 e il gennaio del 2008 il prezzo della farina a Haiti è salito dell’83% e quello del riso del 69%. Sei dei nove milioni di haitiani vivono in condizioni di estrema povertà. Molti di loro sono ridotti a cibarsi di focacce impastate col fango». Nell’ambito di un’economia basata sulla liberalizzazione degli scambi e le monocolture intensive, anche il prezzo del petrolio farà aumentare i prezzi agricoli: Ziegler sottolinea che «gli accordi per l’esportazione prevedono che circa il 90% dei prodotti di prima necessità siano venduti free on board (Fob) –con costi di trasporto a spese dell’acquirente. Alcuni, ma solo una minoranza, vengono venduti Cost, insurance and freight (Cif) –con costi di trasporto a carico del venditore. Ciò significa che generalmente si deve aggiungere il costo del trasporto al già altissimo prezzo che i prodotti alimentari hanno raggiunto nel mondo», con immaginabili ripercussioni per quelle 2.200 miliardi di persone che secondo la Banca Mondiale vivono in condizioni di estrema povertà, spendendo per l’alimentazione l’80-90% del proprio reddito.

 

  • Sovranità alimentare. 1 giugno. Ziegler si sofferma dunque sulle cause dell’aumento dei prezzi. «Una delle principali è la speculazione, che avviene soprattutto alla Chicago commodity stock exchange (Borsa delle materie prime agricole di Chicago), dove vengono stabiliti i prezzi di quasi tutti i prodotti alimentari del mondo». In primo piano dunque la finanza USA, che di fatto controlla questi mercati. Ma perché si registrano ora tali spaventosi aumenti? «Tra il novembre e il dicembre dello scorso anno il mercato finanziario mondiale è crollato e più di mille miliardi di dollari investiti sono andati in fumo. Di conseguenza la maggioranza dei grandi speculatori, come quelli che investivano in hedge funds, hanno finito per investire in options e futures sui prodotti agricoli grezzi e sui generi di prima necessità. Nel 2000 il volume commerciale dei prodotti agricoli alle varie Borse ammontava approssimativamente a dieci miliardi di dollari. A maggio del 2008 ha raggiunto i 175 miliardi di dollari. Solo nel mese di gennaio 2008, quando è iniziata questa inversione di tendenza, 3 miliardi di nuovi dollari sono stati investiti alla Chicago commodity stock exchange». Secondo alcuni analisti la speculazione avrebbe fatto aumentare i prezzi di almeno il 60-70%. Una seconda causa dell’esplosione dei prezzi «è la massiccia distruzione di prodotti quali cereali e granoturco, finalizzata alla produzione di bioetanolo e biodiesel (agrocarburanti). Solo nello scorso anno gli Stati Uniti d’America hanno incenerito 138 milioni di tonnellate di granoturco, cioè un terzo della raccolta annuale, per trasformarlo in bioetanolo. E la Comunità europea si sta muovendo nella stessa direzione». Per alcuni gli agrocarburanti avrebbero fatto aumentare i prezzi dei prodotti alimentari di almeno il 40%. Infine va sottolineato il nefasto ruolo dei diktat sulla liberalizzazione degli scambi del Fondo monetario mondiale e della Organizzazione mondiale del commercio. «Per molti anni queste organizzazioni hanno dato priorità all’esportazione di prodotti quali cotone, zucchero di canna, caffè, tè, arachidi, e questo ha generato pericolose negligenze di fondo a scapito della “food security”, la sicurezza alimentare. Lo scorso anno, ad esempio, il Mali esportava 380mila tonnellate di cotone e importava l’82% dei suoi prodotti alimentari. Questa politica agricola sbagliata imposta ai paesi in via di sviluppo è oggi per gran parte responsabile della catastrofe, poiché le popolazioni interessate non sono in grado di permettersi gli altissimi costi dei generi alimentari».

 

  • Sovranità alimentare. 1 giugno. Dopo aver analizzato le cause, Ziegler individua alcune misure concrete che andrebbero attuate per risolvere la crisi: reprimere la speculazione finanziaria, fermare la produzione degli agrocarburanti, sostenere la produzione locale (piccole aziende e lavoratori agricoli). «1. La speculazione va regolata. I prezzi dei prodotti di primaria necessità non debbono essere soggetti alle speculazioni di Borsa, ma andrebbero stabiliti da accordi internazionali fra paesi produttori e paesi consumatori. Il metodo dell’Unctad di regolare tali accordi attraverso buffer stocks (scorte cuscinetto) e stabex (system for the stabilisation of export, fondo di stabilizzazione dei proventi alle esportazioni a favore dei paesi Africa-Caraibi-Pacifico) potrebbe essere una soluzione. La soluzione complementare è quella di riformare drasticamente le regole dei futures e delle options attraverso norme che permettano di controllare gli abusi più gravi. 2. Un’altra soluzione al problema sta nel vietare in modo assoluto la trasformazione dei prodotti agricoli in biocarburanti. La facilità di movimento concessa al Nord del mondo dall’uso di centinaia di milioni di automobili non si può far scontare alle popolazioni affamate e prive del più basilare sostentamento solo perché abitano la parte più bassa dello stesso mondo. 3. Le istituzioni di Bretton Woods (FMI e Banca Mondiale, ndr) e l’Organizzazione mondiale per il commercio potrebbero cambiare i parametri della loro politica nell’agricoltura e dare assoluta priorità agli investimenti nei prodotti di prima necessità e nella produzione locale, compresi i sistemi di irrigazione, le infrastrutture, le semenze, i pesticidi eccetera».

 

  • Politica interna. 2 giugno. Le transazioni finanziarie internazionali sotto controllo statunitense. Lo sostiene un articolo del maggio scorso (apparso per la prima volta su www.mondialisation.ca) del sociologo belga Jean-Claude Paye, autore di La fin de l’Etat de droit (tradotto dalla Manifestolibri) e Global War on Liberty (TelosPress, 2007). Dopo l’accordo sui dati dei passeggeri europei tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, attraverso cui le dogane statunitensi hanno direttamente accesso ai terminali delle compagnie situate su suolo europeo, ecco un accordo UE-USA (ovviamente promosso da Washington) che consente alla CIA di controllare le transazioni finanziarie e autorizza il possesso dei dati personali da parte degli USA. In tutti e due i casi l’amministrazione USA si era impossessata illegalmente dei dati personali dei cittadini europei, senza attendere che l’Unione gli “riconoscesse” questo diritto e modificasse appositamente il proprio ordinamento giuridico. «Questo recente “accordo” rivela l’esistenza di una struttura politica imperiale (…) Non si tratta di un accordo tra due potenze sovrane. Non esiste che una sola parte, l’amministrazione USA, che riafferma il suo diritto di disporre dei dati personali degli europei. In cambio, in un percorso unilaterale, concede delle “garanzie” formali che può unilateralmente modificare o sopprimere (…) Non si tratta dunque di un accordo bilaterale, come desiderava il Parlamento Europeo, ma di un testo il cui contenuto non ha bisogno dell’accordo delle due parti per poter essere modificato. L’amministrazione degli Stati Uniti ha la possibilità, senza assenso né consultazione dell’altra parte, di modificare i suoi impegni (…) L’esecutivo americano esercita così direttamente la sua sovranità sulle popolazioni dei due lati dell’Atlantico», commenta Paye.

 

  • Politica interna. 2 giugno. Il 23 giugno 2006 il New York Times ha messo in luce il fatto che la società belga Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Communication), il consorzio interbancario che gestisce le transazioni elettroniche, in violazione della stessa legge europea sulla protezione dei dati, aveva trasmesso al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, dopo gli attentati dell’11 settembre, decine di milioni di dati riservati riguardanti le operazioni dei propri clienti, nonché ha dato accesso alle numerose agenzie USA (alcune segrete) che si occupano di “sicurezza”. «La CIA spia i conti bancari in tutto il mondo», era stato il titolo di un articolo del Corriere della Sera, senza che alcun politico italiano abbia sollevato il problema dell’ennesima lesione della sovranità nazionale e del segreto bancario da parte di Washington. Il fatto è commentato con queste parole dal sociologo belga: «Swift, società USA di diritto belga, gestisce gli scambi internazionali di circa ottomila istituzioni finanziarie situate in 208 paesi. Essa assicura il trasferimento di dati relativi ai pagamenti o ai titoli, comprese le transazioni internazionali in divise, ma non fa transitare denaro. I dati scambiati vengono memorizzati su alcuni server. Uno situato in Europa, l’altro negli Stati Uniti. Ciascuno contiene l’insieme di tutti i dati. I messaggi interbancari, scambiati sulla rete Swift, contengono dati a carattere personale. Questa società è sottoposta anche alla legge statunitense, per via della localizzazione del suo secondo server sul suolo degli Stati Uniti. Così la società ha scelto di violare il diritto europeo, allo scopo di sottomettersi alle ingiunzioni dell’esecutivo americano». Paye ricorda inoltre che il sistema Echelon e il programma di sorveglianza della NSA permettono di appropriarsi di informazioni elettroniche, tra cui i dati Swift FIN, in tempo reale. «La loro lettura è ancora più facile se si pensa che i sistemi di criptaggio DES, 3DES e AES, dei dati relativi alle transazioni mondiali tra banche, sono tutti e tre degli standard americani brevettati negli USA. L’esecutivo degli Stati Uniti si fa quindi consegnare dei dati che già possiede o che può facilmente ottenere». È anche importante sottolineare come il testo dell’accordo assegni non solo alle amministrazioni statali USA ma anche ad «altre amministrazioni ufficiali indipendenti» la possibilità di accesso ai dati personali dei cittadini europei. Il sociologo belga ricorda un “caso Swift” scoppiato nel giugno 2006, in cui il governo USA sostenne che non c’era stato alcun abuso nell’utilizzazione dei dati supervisionati da una società privata “esterna”, il gruppo Booz Allen & Hamilton, società leader nella consulenza strategica ad imprese e governi, di cui il maggio scorso il noto fondo Carlyle ha acquisito una quota di maggioranza del business della consulenza al governo USA. «Quest’ultima è una delle più importanti società sotto contratto con il governo americano. L’inter-penetrazione tra pubblico e privato è organica. Che una tale società possa essere presentata come indipendente dal potere esecutivo degli Stati Uniti la dice lunga sulla solidità delle garanzie ottenute dai negoziatori europei».

 

  • Politica economica. 2 giugno. Italia, obiettivo “disavanzo zero”. Secondo quanto riporta la Reuters, Tremonti obbedisce all’Unione Europea e per il bilancio statale conferma gli obiettivi fissati in precedenza dal centrosinistra. Secondo quanto dichiarato dal Commissario UE agli Affari economici e monetari Joaquin Almunia, il neo inquilino di Via XX Settembre ha confermato durante i lavori dell’Eurogruppo (il centro di coordinamento che riunisce i ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri che hanno adottato l’euro, che si riunisce informalmente alla vigilia dell’ECOFIN, che a sua volta comprende i ministri dell’economia e delle finanze di tutti gli Stati membri dell’UE) che per l’azzeramento del disavanzo pubblico Roma manterrà l’obiettivo del 2011, un anno in anticipo rispetto alla data ultima del 2012 fissata in sede europea. L’obiettivo, come ha annunciato lo stesso Tremonti, che in sede europea ha illustrato gli ultimi provvedimenti varati dal centrodestra, verrà ribadito nel prossimo Documento di programmazione economica e finanziaria: «applichiamo il piano Prodi/Padoa-Schioppa», ha dichiarato alla stampa.

 

  • Politica economica. 2 giugno. Domani l’ECOFIN abrogherà la procedura di infrazione per “deficit eccessivo” a carico dell’Italia. Ora l’obiettivo è il pareggio di bilancio, da conseguire obbligatoriamente entro il 2012, non più entro il 2010. Si chiude così il contenzioso con Parigi che aveva già avvertito Bruxelles di non riuscire a raggiungere l’obiettivo “disavanzo zero” entro il 2010. I ministri finanziari europei hanno giustificato la dilazione della scadenza asserendo che sarebbe stato eccessivo pretendere il pareggio in anni di scarsa crescita dell’economia. Non si comprende però ancora perché incaponirsi nel perseguire tali vincoli finanziari quando l’evidenza mostra i loro effetti negativi sulla stessa crescita capitalistica. «Il 2012 è il termine ultimo, e in particolare l’Italia deve evitare qualsiasi spesa addizionale, ma anche riduzioni delle tasse che non siano bilanciati da simmetrici tagli di spesa», ha affermato Almunia. Per raggiungere il pareggio entro il 2011, come previsto dal «piano Padoa-Schioppa» confermato dall’attuale ministro dell’Economia, l’Italia dovrebbe ridurre il deficit strutturale di uno 0,5% l’anno.

 

  • Politica economica. 2 giugno. Anche il Fondo Monetario Internazionale, in significativa sintonia con l’Unione Europea, preme per la riduzione del disavanzo statale. A Francoforte il Fondo Monetario Internazionale ha presentato le conclusioni della missione “article IV” sulla zona euro, in cui si parla di preoccupazione per i «paesi ad alto debito», tra cui appunto l’Italia. Il FMI rinnova le proprie preoccupazioni per l’andamento della spesa pensionistica e ed esterna allarme per il fatto che in alcuni paesi «il disavanzo pubblico rischi di sforare i parametri di Maastricht nel breve termine». FMI, Commissione e Banca Centrale Europea: tutti uniti nel chiedere ancora più “sacrifici” (e relativo peggioramento delle condizioni di vita) all’Italia (e non solo).

 

  • Politica economica. 2 giugno. «Il piano Tremonti va bene». Lo ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker spiegando che l’Eurogruppo ha apprezzato «sia le misure già prese sia quelle prospettate per il futuro» dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. «L’Italia deve continuare sulla strada del consolidamento e tutto ciò che va in questa direzione è benvenuto», ha aggiunto Juncker.

 

  • NATO-USA. 2 giugno. Tagliare le spese sociali, aumentare quelle militari. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, prevede di elevare nei prossimi cinque anni il rapporto bilancio Difesa/Pil dall’attuale 0,9% all’1,25% e di allocare tale risorse sostanzialmente in modo più funzionale per le strategie del Pentagono. Il neoministro, intervenuto alla rubrica Settegiorni su RaiUno, sostiene che un “efficiente” bilancio per la difesa dovrebbe destinare metà degli stanziamenti alle esigenze del personale, il 25% agli investimenti e il resto per il funzionamento vero e proprio. Afferma La Russa: «se la maggior parte dei soldi che vengono stanziati devono andare alle spese per il personale, ne risente la capacità di operatività, perché vengono a mancare i soldi per l’addestramento, per la manutenzione, per la benzina. Alla lunga ne risente la nostra capacità di dare risposta». Ma rispondere a che cosa? La Russa getta le mani avanti: «sono soldi che non servono per fare la guerra a nessuno, ma per una una maggiore sicurezza e un maggior prestigio internazionale». Ma in che cosa consisterebbe tale “prestigio internazionale”? Nell’essere funzionali alle strategie imperialiste di Washington, come in Afghanistan?

 

  • NATO-USA. 2 giugno. Proprio le novità che i neoministri degli Esteri, Frattini e della Difesa, La Russa, vorrebbero introdurre sull’impiego del contingente italiano in Afghanistan sono state analizzate su La Repubblica (27 maggio) dal generale Fabio Mini, ex Capo di Stato maggiore del Comando NATO delle forze alleate Sud Europa, nel 2002-2003 comandante della NATO in Kosovo. Innanzitutto il generale spiega, senza giri di parole, cosa significhi concretamente la “maggiore flessibilità” operativa annunciata dai due ministri: «tradotta in termini militari, la flessibilità a cui fanno riferimento comporta più rischi, una gamma di operazioni più ampia, forze più mobili, più versatili e più integrabili in contesti multinazionali. In soldoni, più carri armati, missili, elicotteri, aerei, intelligence, più combattenti e barelle». Quindi Mini entra nel merito dei propositi dei due ministri del centrodestra. Su quelli di La Russa, il generale ritiene priva di effetti concreti la riduzione di tempo da 76 a 6 ore per rispondere alle richieste NATO. «Operativamente sei ore sono una eternità identica alle 76. In realtà non servono più di sei minuti per dare una risposta politica ad una richiesta militare della NATO. E se l’intervento è necessario e urgente, il caveat non si applica. Dal punto di vista operativo, il caveat temporale (massimo e non minimo) serve perciò da alibi per l’indecisione. Dal punto di vista politico serviva invece ad un governo diviso e traballante a prevenire e vagliare le richieste, a decantarle e a frenare le pulsioni omicide o le frustrazioni di gente (i soldati della “coalizione”, ndr) che non faceva differenza nell’ammazzare dei civili o dei terroristi».

 

  • NATO-USA. 2 giugno. Così come in altri articoli, Mini non è affatto tenero nei confronti degli USA e della dinamica della guerra in Afghanistan. Il tempo di risposta «era una prova di profonda sfiducia nelle regole, nella politica e nella strategia dei maggiori alleati che, mescolando la missione di assistenza con la guerra di Enduring Freedom, le avevano rese inefficaci e inutilmente vessatorie nei riguardi del popolo afgano. Nulla è cambiato nell’atteggiamento, nelle strategie o nei risultati dei nostri alleati perché questa sfiducia possa essere rimossa. Semmai, proprio perché tira un vento di allineamento acritico, il tempo di decantazione e riflessione è più necessario che mai». Il neoministro degli Esteri Frattini ha invece focalizzato l’attenzione «sull’aspetto geografico della flessibilità: bisogna rimuovere i limiti ai nostri interventi in aree diverse da quelle assegnate». Per Mini, «anche questo è un caveat teorico che non ha mai impedito ai nostri di fare il loro dovere e più del loro dovere. È un caveat che tutte le nazioni hanno e che i cosiddetti alleati maggiori impongono in maniera feroce. Cattiveria, miopia? No, è una questione di autonomia di comando e controllo». L’ex comandante NATO in Kosovo puntualizza che interventi militari in aree non di propria competenza possono «includere operazioni che destabilizzano gli equilibri locali che altri hanno faticosamente costruito, e comunque comportano l’impiego delle nostre truppe in settori distanti, diversi, sotto comando altrui, in situazioni provocate o subite da altri». In parole povere: «Significa fare quello che vogliono gli altri alle dirette dipendenze degli altri». In conclusione, rimuovere le limitazioni all’operatività del contingente italiano significa solamente «più subalternità e maggiore corresponsabilità negli errori o nelle velleità altrui».

 

  • NATO-USA. 2 giugno. In precedenza, Mini aveva aspramente stigmatizzato quella da lui chiamata “via italiana al peacekeeping” (cfr http://limes.espresso.repubblica.it/2007/09/11/il-modo-italiano-di-fare-peacekeeping/?p=211). Anche tenuto conto del suo passato, non ci sembrano, quelle del generale, considerazioni dettate da una ferma opposizione alle strategie imperialiste USA, ma piuttosto posizioni di “critica dall’interno” che prendono atto del fallimento dell’attuale politica guerrafondaia di Washington. Le sue riflessioni meritano comunque profonda attenzione. Secondo Mini, in Afghanistan ed Iraq vere e proprie operazioni di guerra al servizio degli USA sono state chiamate in modo indebito e menzognero col nome di “peacekeeping” (mantenimento della pace) «soltanto per nascondere i veri scopi ed eludere le stesse leggi nazionali». In questo contesto, i vari governi di centrodestra e centrosinistra da un lato non dicono mai no a quello che Washington richiede, dall’altro cercano di disimpegnarsi il più possibile per evitare contraccolpi negativi tra la popolazione italiana.

 

  • NATO-USA. 2 giugno. In Iraq, afferma Mini, l’Italia «ha partecipato ad una guerra senza volerla fare, senza avere interessi, al di fuori del quadro giuridico internazionale, rischiando di più proprio per voler eludere la realtà. Abbiamo fatto tutto questo soltanto in ossequio all’esigenza di americani e inglesi di avere un numero tale di nazioni al fianco da poter presentare la guerra come un fatto d’interesse collettivo. Per far parte di questo numeretto ci siamo uniti a nazioni assolutamente insussistenti sul piano della sicurezza internazionale, abbiamo avallato menzogne e nefandezze ed abbiamo spaccato il fronte europeo. Per difendere questo numeretto gli americani hanno sopportato che alcuni contingenti, fra cui quello italiano, si spacciassero per peacekeeping e si ritenessero esentati dalle operazioni di guerra e di occupazione». Tale atteggiamento ha prodotto per Mini indesiderate conseguenze dal punto di vista operativo. «In Iraq abbiamo adottato una “via italiana” fatta di buonismo e di acquiescenza imponendo dall’alto misure di sicurezza inappropriate alla situazione». Il generale ricorda i 19 militari uccisi a Nassiriya, rimarcando in conclusione dell’articolo che l’ambiguità dei governi italiani, non contrastata dai vertici militari, si è riversata sugli stessi soldati, in pratica lasciati al loro destino. «Il soldato è disposto e pronto allo scontro purché ve ne siano la ragione e la legittimità. Una “ragione” fondamentale è la consapevolezza che la sua vita e la sua missione sono importanti per tutti e non deve essere sciupata. Per questo vuole armi efficienti, regole chiare e i mezzi per proteggersi e proteggere».

 

  • NATO-USA. 2 giugno. Situazione analoga in Afghanistan, «dove l’iniziale orientamento a riassumere il ruolo tradizionale di peacekeeping e assistenza, formulato con l’adesione alla coalizione di volenterosi che ha dato vita ad ISAF (forza multinazionale costituita su mandato del Consiglio di Sicurezza ONU nel dicembre 2001 con il compito principale di sorvegliare Kabul e proteggere il governo Karzai, ndr), è stato stravolto prima dall’assunzione di comando della NATO e poi dall’unione della NATO alla guerra di Enduring Freedom (“libertà duratura”, il nome ufficialmente utilizzato da Washington per designare alcune operazioni militari lanciate con il pretesto dell’11/9, ndr). La “via italiana” scelta dai vertici si è perciò espressa ancora una volta con l’astensione di fatto dalle operazioni alleate e con la solita ambiguità di considerare peacekeeping ciò che è guerra. In nessun caso, sia in Iraq che in Afghanistan, è stata mai tentata la “via” di convincere gli alleati ad un cambio di strategia. Così l’unica “via italiana” proposta dai nostri vertici è stata quella fatta di indecisioni, ammiccamenti, sudditanza e ipocrisia».

 

  • NATO-USA. 2 giugno. Il 2007 è stato l’anno più sanguinoso in Afghanistan dalla ritirata strategica dei Taliban, sia per i civili ma anche per gli stessi soldati della NATO. Secondo un rapporto del Senlis Council, Taliban&Co. oggi controllano il 54% del territorio, sono attivi in un altro 38% e minacciano ormai la stessa capitale Kabul, la cui difesa è ora responsabilità delle truppe italiane. Queste, sotto il nome in codice di “Operazione Sarissa”, partecipano anche ad operazioni di guerra ormai da quasi due anni a fianco della Delta Force statunitense e delle Sas britanniche, in particolare nella provincia occidentale di Farah. Dall’estate del 2006 è operativa nell’ovest del Paese la Task Force 45, che in ambito militare è stata definita «la più grande unità di forze speciali mai messa in campo dall’Italia dai tempi dell’operazione Ibis in Somalia». In tutto circa 200 uomini. Durante il governo Prodi, l’impegno militare in Afghanistan è costantemente aumentato sia dal punto di vista quantitativo (2.350 soldati, 550 in più di quelli dispiegati dal precedente governo Berlusconi) sia da quello qualitativo (dagli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta ai cingolati Vcc-80 Dardo in dotazione ai bersaglieri della Brigata Garibaldi, dagli aerei spia Predator agli elicotteri da trasporto Sh-3d). Il sottosegretario alla Difesa del centrosinistra, Lorenzo Forcieri, aveva avvertito che «dovremo restare in Afghanistan molto a lungo». Ovviamente a spese del contribuente italiano: circa 338 milioni la cifra stanziata solo per il 2008.

 

  • Sanità. 3 giugno. Dalla timidezza alla vivacità, inventare patologie per produrre pillole e terapie finalizzate al profitto. Su l’Espresso Christopher Lane, autore del libro “Shyness: How a Normal Behauviour Became a Sickness” (“Timidezza, come un normale comportamento è diventato una malattia”), dimostra con una meticolosa analisi storica come gli interessi economici dell’industria dei farmaci e quelli di una categoria professionale (gli psichiatri) si siano saldati e siano riusciti a modificare in modo radicale la cultura collettiva e i comportamenti delle famiglie. «C’è un legame stretto tra aziende e psichiatri. Le prime sponsorizzano gli esperimenti clinici, i secondi sono spesso riluttanti a diffondere i risultati negativi per l’industria. Recentemente il ‘New England Journal of Medicine’ ha pubblicato uno studio che dimostra come le ricerche divulgate abbiano distorto o esagerato per 17 anni gli effetti di certe medicine. Sto parlando di molte pillole per combattere depressione e ansia». Farmaci dai molteplici effetti collaterali. «La Glaxo Smith Kline, un’azienda britannica, ottenne l’approvazione del Paxil (in Europa si chiama Seroxat), nel 1996, per ogni tipo di ‘ansia sociale’ (social anxiety disorder). Si tratta di un farmaco che ha parecchi effetti collaterali, crea dipendenza e può avere conseguenze gravi. È una situazione assurda, perché ci sono milioni di persone che soffrono di ansie limitate e che prendono un farmaco con effetti collaterali gravi, inclusa l’ansia cronica». Lo scrittore si sofferma sulla timidezza diagnosticata come “ansia sociale”. «Se si analizza la letteratura psichiatrica si capisce che la distinzione tra questi due disturbi è quasi impossibile da definire (...)È disonesto non sottolineare i possibili effetti collaterali di certi farmaci utilizzati. A dicembre una bambina di quattro anni del Massachusetts è morta per overdose psichatrica. Le erano stati dati degli antipsicotici. L’ospedale ha avviato un’inchiesta e il primario psichiatra ha dovuto ammettere con qualche imbarazzo di avere sotto cura almeno 955 bambini sotto i sette anni che prendono lo stesso farmaco di cui è morta quella bambina. Come siamo arrivati al punto in cui così tanti bambini piccoli prendono farmaci psichiatrici così seri per problemi che spesso sono normali comportamenti nella fase dello sviluppo?». L’industria farmaceutica non intende comunque fermarsi qui. «Il prossimo ‘Manuale di psichiatria’ dovrebbe essere pubblicato nel 2012. Ci sono pressioni per introdurre nell’elenco delle patologie da curare anche l’apatia, l’abuso di Internet, lo shopping eccessivo. Un’altra malattia possibile è ‘l’infelicità cronica indifferenziata’ che si riferisce alle persone che appaiono generalmente tristi e melanconiche. C’è stato persino chi ha proposto ‘la malattia della lagnanza cronica’ (Chronic Complaint Disorder) che riguarda chi passa il tempo a lamentarsi del tempo, delle tasse e della propria squadra che ha perso. Per fortuna questa proposta è stata respinta, ma già il fatto che sia stata discussa la dice lunga sul clima culturale esistente. Siamo alla farsa».

 

  • Sovranità alimentare. 3 giugno. Il capitalismo agro-alimentare contro la sicurezza alimentare dei popoli. In un articolo pubblicato su www.globalresearch.ca e tradotto da Megachip, Ian Angus ricerca le cause dell’attuale crisi alimentare e propone alcune misure da adottare per la tutela della sovranità alimentare dei popoli. Lo studioso parte da una constatazione: «attualmente non esiste alcuna carenza di cibo nel mondo». Secondo quanto risulta dai dati stessi dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) dell’ONU, nel mondo viene prodotto tanto cibo da fornire più di 2000 calorie al giorno per persona, più del minimo richiesto per una buona salute. Insomma, vi è cibo più che sufficiente per dare da mangiare a tutti: «è l’abbondanza, non la scarsità, che meglio descrive attualmente la disponibilità di cibo nel mondo». Il fatto che ci sia già abbastanza cibo per nutrire il globo dimostra che la crisi alimentare è un problema sociale e politico. Allora, vi