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Acqua, addio…

di Susanna Dolci - 14/07/2008

 

Recita così il Vocabolario della Lingua Italiana dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani, nella sua versione del 1986: “Acqua: composto chimico di formula H2O (costituito cioè di idrogeno e ossigeno in rapporto di 2:1), diffuso in natura nei suoi tre stati di aggregazione: solido, liquido, aeriforme; nel linguaggio corrente s’intende in genere l’acqua allo stato liquido, che per la sua abbondanza sulla superficie terrestre e negli organismi viventi fu dagli antichi considerata uno dei quattro elementi“.

Soffermiamoci proprio sul termine ‘abbondanza’. Una tempo sicuramente largheggiava il liquido blu della vita. Ma oggi, purtroppo, è in via di estinzione. Ed è l’opera L’acqua nella storia, dai Sumeri alla Battaglia per l’oro blu (SugarCo, 2008) del giornalista Giuseppe Altamora, già pregevole autore di numerosi volumi sul prezioso tesoro e vincitore, nel 2004, del premio nazionale “Scritture d’acqua”, a fare il punto della situazione e la storia dell’acqua come “matrice di vita”. Una piccola nota di merito, prima di tuffarci nel mare di parole, spetta alla casa editrice SugarCo che ha costituito, negli anni e tra alti e bassi, un pregevole catalogo di collane pubblicate all’insegna della più squisita serietà intellettuale.

È terrificante essere consapevoli che l’acqua è ormai un bene “esauribile”. Sì proprio quelle “chiare e fresche e dolci acque” che da millenni la migliore tradizione umana canta in proverbiali “Tutta l’acqua che scorre si può bere”, “L’acqua che scorre non reca veleni”, “Tutta l’acqua corre nel mare”, il vendicativo “La goccia che fa traboccare il vaso”, etc. etc.

«Non è che il prezioso liquido - scrive l’autore - sia fuggito dalla terra negli spazi siderali sotto forma di vapore. Il pianeta azzurro mantiene la sua molecola più preziosa in grandi quantità: sette decimi di acqua e tre decimi di terre emerse. Eppure rischiamo di rimanere a secco. La linfa vitale che scorre nei fiumi, si accumula nei laghi, nelle falde, nelle calotte e negli sparuti ghiacciai alpini, non è sempre fruibile. Poco più dell’uno per cento dell’acqua può essere disponibile. Si tratta pur sempre di miliardi e miliardi di litri. Ma a questa civiltà ingorda non basta. Ecco allora che la legge del mercato, applicata con leggerezza anche ai beni comuni, impone le sue regole, il suo prezzo.»

Attualmente sul nostro pianeta sono più di un miliardo e trecento milioni le persone che non hanno diritto all’acqua potabile. E nel 2025 saranno oltre 3 miliardi. Ma il numero tenderà a crescere ulteriormente negli anni successivi. E non basteranno certo le azioni di Forum nazionali ed internazionali in sua difesa o progetti di sua pubblica proprietà e gestione (non importa il compare politico di battesimo) che possano tenere a freno lo strapotere delle voraci multinazionali e la sua sprecante malagestione strutturale.

«È la prima volta - prosegue Altamora - che nella storia dell’umanità un bene comune così prezioso è ridotto a merce, dimenticando il legame forte con la sacralità della sorgente di vita. Essendo l’uomo, come la terra, composto per sette decimi di acqua, la mercificazione di questo elemento non è in qualche modo il tentativo di ridurre la vita stessa a un bene di consumo?».

La strage quotidiana di 30.000 persone che muoiono di sete, la mancanza delle più elementari norme di igiene, gli acquedotti gestiti (spesso malamente) da compagnie idriche private e quant’altro di similare ci prospettano, veramente, un prossimo scenario apocalittico fatto di vere e proprie guerre fratricide, sul pianeta, per il possesso finanche della più piccola bottiglia di minerale naturale liscia, effervescente o gassata. E senza dover assaporare catastrofici sensi fantascientifici.

L’Africa muore nell’indifferenza idrica dei continenti vicini. Il Sud America rischia la stessa fine. E così i ricchi paesi arabi che di cotanto prezioso hanno l’oro nero che, purtroppo e però per loro, non si può certamente bere. A quanto pare, non bastano nemmeno i moniti dal gusto profetico a far arretrare di un passo l’essere umano dal suo baratro di perfetta ed ingorda idiozia. A cosa sono serviti, dunque, nella storia dell’umanità «le meraviglie dei sumeri e degli acquedotti romani, i vecchi sistemi di adduzione, le gallerie drenanti degli etruschi, le qanat e le foggara che nel deserto raccolgono milioni di gocce che generano fonti inesauribili e oasi verdeggianti»? A mercificare, solo, la ormai «risorsa contesa che, come il petrolio, è quotata in Borsa, sottoposta alle speculazioni finanziarie, e che rischia di scatenare vere e proprie guerre, come quella che si combatte dal 1948 tra Israele e Paesi arabi». Fuori dal testo anche Riccardo Petrella, consigliere alla Commissione Europea e professore all’Università Cattolica di Lovanio, lancia il più spettrale dei moniti:

«Se, nei prossimi dieci o quindici anni, non verrà concertata nessuna azione volta a garantire la fornitura dell’acqua in un quadro mondiale efficace di regolamentazione politica, economica, giuridica e socioculturale, il suo dominio provocherà innumerevoli conflitti territoriali e condurrà a rovinose battaglie economiche, industriali e commerciali».

Ed ancora:

«L’Italia è prima in Europa per il consumo d’acqua e terza nel mondo con 1.200 metri cubi di consumi l’anno pro capite. Più di noi soltanto gli Stati Uniti e il Canada. Rispetto i parametri europei non possiamo invece che passare per spreconi: gli italiani consumano quasi 8 volte l’acqua usata in Gran Bretagna, dieci volte quella usata dai danesi e tre volte quello che consumano in Irlanda o in Svezia. Allarme sullo spreco anche da parte del WWF che annuncia che la disponibilità d’acqua dolce in Italia sta scendendo dai 2.700 metri cubi pro capite ai 2.000 circa».

È chiaro, dunque, che siamo ai ferri corti con madre natura, il pianeta Terra che ci ospita da millenni e lo stesso genere d’appartenenza. Burla delle celie in questo nostro breve galleggiare, è che andiamo a naufragare, e non ad affogare, nel più infernale dei deserti come dalla peggiore delle tradizioni che proprio volutamente ci siamo andati a cercare. E non ci saranno, questa volta, diluvi divini da imprecare o forse e meglio da invocare che possano, alfine, tenere…