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Strage di bambini, civili, soldati e guerriglieri, in Afghanistan continua la carneficina

di Luigi Spinola - 14/07/2008

 

 

 

Oltre il mare nostrum e lontani dal tapis rouge voluto da Sarkozy a Parigi, l’ottimismo ispirato da «una pace mai così vicina» cala sensibilmente. Il «Grande Medio Oriente» sul campo anche ieri esponeva le sue ferite e le sue ipotesi di guerra, più che le speranze di pace.

 

E stata una giornata durissima in Afghanistan sia per le forze della coalizione sia per i civili. Nel bazar del distretto di Deh Rawud un kamikaze si è portato via più di 20 persone. L’attacco, secondo le prime ricostruzioni, aveva come obiettivo una pattuglia della polizia ma le vittime sono perlopiù civili, molti i bambini. E nella provincia nord-orientale di Kunar, al confine con il Pakistan, le forze americane hanno perso in combattimento nove soldati. Si tratta di una delle giornate più letali per gli Stati Uniti da quando sono intervenuti nel Paese nel 2001. E si continua a combattere anche a sud, nella provincia di Helmand, dove l’ennesima battaglia tra i miliziani e le forze della coalizione avrebbe causato la morte di circa 40 insorti in 24 ore.

 

L’accresciuto impegno militare in Afghanistan pare destinato ad indurre anche gli americani, come i britannici prima di loro, a spostare uomini e mezzi dall’Iraq. Secondo il New York Times, in attesa che Washington e Baghdad raggiungano un accordo sulla presenza permanente degli Usa in Mesopotamia, il ritiro delle truppe potrebbe iniziare già a settembre e procedere fino all’addio di GeorgeW Bush a gennaio. Tre delle quindici brigate lascerebbero così l’Iraq per essere eventualmente ridispiegate sul teatro afgano.

 

E magari torneranno utili anche per fronteggiare altri impegni, sulla rotta Gerusalemme - Teheran e dintorni. Ieri il britannico Sunday Times, riportando confidenze giunte dal vertice del Pentagono, sosteneva che la Casa Bianca avrebbe dato «duce gialla» al governo israeliano per un eventuale attacco contro i siti nucleari iraniani. Agli israeliani gli Stati Uniti garantirebbero sostegno per un eventuale attacco preventivo - quando esso apparirà maturo nella pianificazione quanto necessario - senza peraltro impegnarsi per un attacco diretto all’Iran.

 

Sul filo dell’ambiguità appare la risposta - se vogliamo leggerla come tale - arrivata ieri dall’Iran. Dagli uffici della Guida Suprema è filtrata una versione dettagliata della possibile rappresaglia iraniana in caso di attacco, che includerebbe tra i suoi bersagli, oltre a Tel Aviv e la Us Navy, anche «32 basi americane» in Medio Oriente. Ahmadinejad dal canto suo ha precisato - secondo quanto riferito dall’agenzia Irna - che l’esercito iraniano «taglierà le mani ai nemici prima che premano grilletto» colorita illustrazione di un ipotetico attacco preventivo da parte di Tehran. Non escludendo però, per la gioia dei media più che per l’interesse delle cancellerie, un possibile faccia a faccia con George W Bush.