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Crisi dell'America bolivariana e balcanizzazione della Bolivia

di Manuel Zanarini - 14/07/2008

 

 

 

Qualche tempo fa scrivemmo di come si stava affermando in Sud-America un vento nuovo, l’affermarsi di movimenti che si rifanno alle teorie bolivariane. Il caso più eclatante è sicuramente quello venezuelano di Chavez, ma appena un gradino sotto, va segnalato quello della Bolivia di Morales.

 

Nel frattempo qualcosa sembra essere cambiato. Chavez ha sostanzialmente perso il referendum che aveva voluto per accaparrarsi spazi di potere molto ampi, qualcuno dice quasi dittatoriali, ma che la gente gli ha negato.

Ancora peggio va al governo di Morales. La Bolivia sta attraversando una fase definita dalla rivista Eurasia di “balcanizzazione”, cioè stanno venendo istigate separazioni su base etnica al fine di indebolire un potente alleato di Chavez nel tentativo di creare un “polo geo-politico”, in grado di opporsi agli Stati Uniti, esattamente ciò che è stato fatto in Serbia col Kosovo.

Il fenomeno riguarda la zona orientale boliviana, la cosiddetta “mezza luna”, formata dalle circoscrizioni amministrative di Tarija, Chuquisaca, Santa Cruz, Beni e Pando, abitata prevalentamente dalla popolazione indigena. Pochi mesi fa, Branko Marinkovic Jovicevic, di origine croata e vicino a banchieri cileni (da sempre amici della CIA), è stato eletto presidente della federazione degli Imprenditori Privati di Santa Cruz (FEPSC), divenendo al contempo presidente del “Comitato Civico Pro Santa Cruz”, braccio politico del “Movimento Nazionale Camba”, sostenuto da influenti organizzazioni, come la Camera Agricola e Zootecnica dell’Est (CAO), Camera degli Industriali, Commercio, Servizi e Turismo di Santa Cruz (CAINCO), la Federazione degli Imprenditori e la Federazione degli Allevatori di Santa Cruz (FEGASACRUZ).

 

Questo movimento sta da tempo animando una forte campagna che punta alla creazione di uno Stato autonomo rispetto alla Bolivia, sostenendo che la regione di Santa Cruz è stata annessa a causa della sua debolezza istituzionale e di un’ economia arretrata. Ora questa situazione sarebbe stata superata, quindi dovrebbe prevalere il riconoscimento dell’identità nazionale dei “cruceños” e, in generale, da parte delle popolazioni chaco-amazzoniche e delle valli. Questi, infatti, sarebbero diversi dagli altri indigeni abitanti gli altipiani boliviani, i “cholos”, che sarebbero invece di origine “quechua” e “aymará”. Quindi rivendicano l’istituzione di una nazione indipendente che si estenda fino a dove arriva la loro cultura, la base materiale del loro potere nazionale e la proprietà inalienabile della “Nazione Camba”. Bisogna tenere presente che stiamo parlando di una regione ricchissima di risorse naturali: 2,8 trilioni di piedi cubici di gas, rispetto ai 26,7 trilioni delle riserve accertate dalla Bolivia, che sommate a quelle che probabilmente ci sono ma che non sono ancora sfruttate le fanno salire a 48,7 trilioni di piedi cubici. Quindi una regione assolutamente strategica per il governo di Morales. Washington ovviamente non resta a guardare, così ha nominato come suo ambasciatore Philip Goldberg, il quale ha una certa familiarità con i processi di “balcanizzazione”. Infatti, dal 1994 al 1996 nel Dipartimento di Stato sulla questione bosniaca, è stato assistente speciale dell’ambasciatore Richard Holbrooke, artefice dello smembramento della Iugoslavia ed ha esercitato come capo della Missione degli USA a Pristina, Kosovo (2004-2006), dove diresse la separazione degli stati di Serbia e di Montenegro, dopo essere stato ministro consigliere nell’ambasciata degli Stati Uniti a Santiago de Cile (2001-2004).

 

Come abbiamo visto, la mano degli Stati Uniti è evidente sulla crisi boliviana, ma è anche innegabile che il consenso popolare del governo bolivariano di Morales sia in caduta libera. Le cinque regioni della zona est sono tutte guidate da governatori separatisti. Nell’ultima tornata elettorale, la “campesina” Savina Cuéllar, che sa a mala pena leggere e scrivere in castigliano e di lavoro fa la venditrice di roba usata, ha vinto le elezioni nella regione di Chuquisaca, con una percentuale tra il 55 ed il 60%, lasciando il candidato governativo, Walter Valda, al 36-40%. In questo momento, le opposizioni guidano ben 7 dei novi governi dipartimentali in cui è diviso il territorio della Bolivia!

Tanto, che la Cuellar ha già annunciato che per Settembre, o al massimo Ottobre, promuoverà un referendum popolare per ottenere l’indipendenza della regione, sulla scia di quelli già svoltisi nelle regioni di Santa Cruz, Tarija, Beni e Pando, dove erano anche già stati approvati statuti autonomisti, e che il governo di La Paz he cancellato dichiarandoli illegittimi.

Altra questione spinosa, è la richiesta che tutti i poteri passino dall’attuale capitale, La Paz, alla città di Sucre, che era la capitale fino a metà XIX Secolo, e dove al momento ha sede solamente il potere giudiziario. Nel novembre scorso ci furono gravi incidenti a Sucre, durante una manifestazione di protesta organizzata dall’opposizione contro l’Assemblea Costituente, che si rifiutava di trattare la questione. Il bilancio degli scontri fu di 3 morti e almeno 300 feriti.

 

E’ chiaro che Washington ha lanciato la controffensiva ai regimi bolivariani, e credo che la liberazione della Betancourt avvenuta in circostanze quantomeno misteriose e in un periodo propizio per il governo filo-statunitense di Uribe, sia da inquadrare in questa strategia. Ma è altrettanto innegabile che sia Chavez che Morales stiano attraversando un momento di calo del consenso interno. Si salva solamente il governo Lula in Brasile, sia per la grande crescita economica del paese, sia per le posizioni più morbide contro gli Stati Uniti prese dal suo presidente.

Penso che l’opposizione bolivariana debba fare un’attenta riflessione sul proprio operato e sugli scenari futuri, diversamente finirà, presto o tardi, col riconsegnare il sud-america agli affaristi legati a Washington.