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Climate funds? No grazie

di Luca Manes - 14/07/2008

 

Nelle more del vertice dei G8 si è parlato anche di due nuovi fondi ambientali lanciati dalla Banca mondiale. Le otto potenze occidentali si sono impegnate a finanziarli con sei miliardi di dollari. A dire il vero non tutti i governi del G8 sembrano morir dalla voglia di staccare l' assegno. L'Italia è tra i più riluttanti, ma anche gli Usa - sebbene siano insieme al Giappone tra i maggiori sponsor dell'operazione - sono in difficoltà. Il Congresso a maggioranza democratica, infatti, ci vuole vedere chiaro sulla reale efficacia dei fondi e al momento ha bloccato l'approvazione dei due miliardi di dollari che l'amministrazione Bush intendeva versare.
Creati a inizio 2008, i climate funds hanno già scatenato polemiche a non finire. Piacciono poco al G24, il gruppo dei più importanti Paesi in via di sviluppo, che dopo gli Incontri di Primavera di Banca e Fondo dello scorso aprile hanno diramato un comunicato pieno di critiche e perplessità. Non sono graditi alla società civile internazionale, tanto che alla vigilia del summit di Hokkaido 121 tra Ong e associazioni hanno presentato una dichiarazione congiunta contro i nuovi strumenti approntati dalla World Bank.
La critica principale verte sul fatto che i fondi agirebbero al di fuori del contesto della Convenzione Quadro dell'Onu sui Cambiamenti Climatici. Ong e Paesi in via di sviluppo temono le complicazioni che potrebbero derivare dalla scelta di portare avanti due processi paralleli: il Fondo pilota per l'adattamento voluto dalla Banca mondiale e il Fondo per l'Adattamento creato a Bali nell'ambito della Convenzione Onu sul Cambiamento Climatico. Quest'ultimo, infatti, sarebbe gestito da un Consiglio Direttivo bilanciato in termini di rappresentanza regionale e potrebbe essere finanziato anche attraverso canali diversi da quelli derivanti dal discusso meccanismo dei crediti di carbonio del Protocollo di Kyoto (i cosiddetti Cdm). L'iniziativa della Banca mondiale potrebbe mettere in pericolo lo strumento previsto dall'Onu, privandolo di potenziali finanziamenti.
Anche il secondo fondo proposto dalla Banca, quello per le Tecnologie Pulite, potrebbe pregiudicare i negoziati in ambito multilaterale, creando l'ennesima sovrapposizione con un altro fondo gestito dall'Onu. Inoltre, in entrambi i casi si tratterebbe di prestiti e non di doni, fattore che potrebbe comportare l'aumento del debito dei paesi poveri.
Le realtà della società civile internazionale fanno poi notare che se è vero che la Banca ha da poco approvato la sua strategia per gli investimenti nelle «energie pulite», tuttavia i banchieri di Washington sono ancora lontani anni luce dal sostenere un approccio autenticamente sostenibile sulla questione energetica. La Banca, infatti, ad oggi rimane l'istituzione multilaterale che fornisce più prestiti per l'estrazione dei combustibili fossili. Un nuovo studio della Ong di Washington, Bank Information Center, mostra come i finanziamenti della Banca mondiale per l'estrazione dei combustibili fossili e di gas e carbone nel quadriennio 2005-08 siano molto elevati e nel massimo rispetto di un trend ormai consolidato da anni. E' impressionante il dato che riguarda l'International Finance Corporation (Ifc), il ramo dell'istituzione che presta ai privati, che tra il 2007 e il 2008 ha registrato un incremento di fondi per le fonti non rinnovabili pari al 165% (da 1.444 a 3.633 milioni di dollari). Insomma, delegare alla Banca mondiale il compito di salvare la terra dal surriscaldamento globale sarebbe un po' come affidare la salvaguardia di una foresta a un piromane. Ne vale proprio la pena?