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Ineluttabilità della globalizzazione?

di Paolo De Gregorio - 15/07/2008


Già si vede all’orizzonte qualche fosco segnale di stagnazione economica
globale, forse di recessione, e c’è già gente che nel ricco occidente si priva
di frutta e verdura, non fa vacanze perché non ce la fa con il reddito.
Ho la netta impressione che la crisi legata principalmente ai mutui americani
fasulli, all’aumento del prezzo del petrolio, all’aumento dei prezzi dei
cereali dovuto alla speculazione e all’aumento dell’uso dei cereali per fare
etanolo per autotrazione, sommata alla mai abbastanza denunciata crisi
climatica con siccità, uragani più frequenti, uso agricolo di acque delle falde
fossili non rinnovabili, impoverimento dei mari per l’esagerato sforzo di
pesca, lo scongelamento in atto dell’Artico, sono crisi di segno strutturale
non riassorbibili con aggiustamenti contabili, e andrebbero governate
saggiamente, cosa che non avviene.
Certo, coloro che hanno puntato tutto sulla globalizzazione, con cui è stato
contagiato tutto il mondo, sono al potere, sanno bene che la fine di questa
follia sarebbe anche la loro fine e cercano di resistere in tutti i modi, anche
se i nodi strutturali della globalizzazione sono venuti al pettine, e il prezzo
elevato del petrolio non consente più la possibilità di far viaggiare le merci
in modo economico.
E’ evidente che l’unica strategia possibile sarebbe quella di riconvertire
tutte le economie nazionali puntando alla autosufficienza alimentare ed
energetica, cosa oggi tecnicamente possibilissima, puntando sul solare diffuso
e su una agricoltura non industriale, legata al territorio e che produce per i
bisogni interni a km zero.
Quella che andrebbe realizzata globalmente sarebbe l’autosufficienza di ogni
nazione, la fine delle tutele, delle egemonie, delle ruberie di materie prime,
per passare alla sostenibilità, senza dipendere da forniture estere, e facendo
i conti con un indispensabile contenimento delle nascite non potendo più
contare sulla emigrazione.
Il mondo ha già 800 milioni di affamati che nessuna politica assistenziale,
tipo FAO, ha potuto fermare, e tutte le valutazioni e i programmi di
contenimento della fame si sono rivelati sbagliati e fantasiosi, ed è ora di
scontrarsi con le religioni che sono il principale ostacolo a qualsiasi
pianificazione demografica.
Fermare globalmente l’emigrazione significa responsabilizzare i singoli
individui che non potranno più scaricare su altri paesi la propria
irresponsabilità riproduttiva, perché si sa benissimo quanta gente può sfamare
un territorio e se la via dell’emigrazione è veramente chiusa, qualcosa ci si
inventa anche se i preti islamici e cattolici remano contro.
L’unico contenimento delle nascite operato al mondo è stato quello cinese,
attuato da uno Stato lungimirante che ha tassato le famiglie con più di un
figlio, e reso possibile dal fatto che in Cina le religioni non contano nulla.
La fine della globalizzazione significherebbe anche la fine di un sistema che
fa consumare agli Usa, che sono il 5% della popolazione mondiale, il 40% di
tutte le risorse alimentari ed energetiche mondiali, facendo finire questa
assurdità che il cibo arriva agli obesi dai paesi affamati (basta pensare alle
banane).
Il problema è che sia la destra che la cosiddetta “sinistra” oggi hanno la
stessa posizione di ineluttabilità della globalizzazione anche se questa mostra
segni di cedimento e di inadeguatezza ad affrontare l’emergenza, la loro
politica non cambia, anche perché culturalmente inadeguate a guidare la
rivoluzione energetica, ambientale, agricola, demografica, della
sostenibilità.
Oggi economia e politica sono un tutt’uno con il mercato e questo è male,
perché una nazione apparentemente fortissima come la Cina, totalmente inserita
nella globalizzazione, sta trasferendo nelle nuove città e nei poli industriali
centinaia di milioni di contadini per far fronte alla produzione di merci da
esportazione, ma se una crisi petrolifera, economica, monetaria, fermerà questo
flusso di esportazioni ci si troverà di fronte a problemi giganteschi che
sarebbe meglio prevenire.
Certo tornare a consumare in proporzione a ciò che si è in grado di produrre
in modo sostenibile, sembra un passo indietro e la fine del consumismo, ma
questa non è una libera scelta, è una strada obbligata che si deve percorrere
se non si vuole andare ottusamene e a testa bassa verso il disastro, ed è una
strada che preti e capitalisti, grandi e storici alleati, non vogliono e non
possono percorrere.
Presto le grandi metropoli potranno trasformarsi in inferni dove non
arriveranno più rifornimenti alimentari ed energetici e rapidamente i rapporti
tra gli uomini potrebbero tornare a quelli dell’età della pietra.
Oggi la tecnologia fotovoltaica è in grado di dare ad una singola casa
energia per scaldarsi, per cucinare, per caricare le batterie di una macchina
elettrica. Un piccolo appezzamento di terra può dare l’autonomia alimentare, l’
autosufficienza idrica è possibile con cisterne collegate al tetto, e anche
tutto il sapere è su internet.
Vi sono oggi in Italia milioni di persone che potrebbero cominciare a vivere
in questo modo, umano, sostenibile, nuovo, sottraendosi all’orgia del mercato e
alla sua distruttività, fondando un nuovo umanesimo basato sulla sobrietà,
sulla autoproduzione, sulla libertà, sul libero scambio di prodotti, sulla
responsabilità riproduttiva, sul rispetto della natura, senza produrre rifiuti,
riciclando ogni cosa.
Chi può lo faccia, l’Italia è piena di paesi abbandonati, di terre incolte,
dove far rinascere la vita e vivere semplicemente, con le proprie forze.