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Meno male che Bashar c'è. Un presidente arabo a Parigi

di Claudio Moffa - 15/07/2008

Fonte: claudiomoffa


Il presidente arabo a Parigi da Sarkozy
non tradisce l'iraniano Ahmedinejad

“Con Assad bisogna trattare, è un dittatore ma sta cambiando” dice al Corriere della Sera di oggi 14 luglio André Glucksman intervistato da Montefiori. Ma a giudicare dal dispaccio Reuters delle 9 e 40 di questa stessa mattina sull’intervista a Radio France International rilasciata dal presidente siriano, il cambiamento non è certo quello sperato dal filosofo consigliere di Sarkozy: Assad infatti ha ammonito Stati e Uniti e Israele a non compiere il passo irresponsabile di un attacco all’Iran , perché l’aggressione “avrebbe gravi conseguenze per gli Stati Uniti, Israele e il mondo intero”. Non solo. Ma dopo aver sottolineato che "Israele pagherà direttamente il prezzo della guerra. L'Iran lo ha detto chiaramente”, e dopo essersi dichiarato disponibile a parlare con “gli amici iraniani” sulla questione nucleare – “è la prima volta che me lo chiedono” - Assad ha aggiunto che l’amministrazione Bush “è un'amministrazione che applica una dottrina guerrafondaia. Non usa la nostra logica e quella della maggior parte dei paesi europei e di tutto il mondo".

Parole sacrosante, che speriamo servano a bloccare la gravissima manovra di accerchiamento e di acutizzazione della crisi con l’Iran in atto nelle ultime ore attorno a due eventi chiave della partita mediorientale: il primo è la dichiarazione di George W. Bush, il via libera a Israele per un attacco “preventivo” a Teheran. Dichiarazione “furba”, resa non a caso poche ore dopo la conclusione del G8, e scarsamente commentata dalla stampa italiana, quasi si trattasse di una inezia: addirittura un’agenzia aveva commentato la sortita del presidente americano come un “semaforo giallo”, e non – come è nei fatti – “verde”. Tutti oggi dedicano grande attenzione al megaconvegno parigino, ma si fa fatica a rintracciare sui grandi quotidiani nazionali un accenno ai pericoli insiti nella dichiarazione di Washington – la prima dopo tentennamenti durati anni, e resa mentre si avvicina i cambio di guardia alla Casa Bianca - come se fosse una battuta da bar di un ubriaco.

Il secondo evento, è il convegno euromediterraneo di Parigi: la manovra di Sarkozy, il primo presidente ebreo dopo De Gaulle, e il cui ministro degli esteri Kouchner, si ricorderà, minacciò in prima persona Ahmedinejad di attacco militare se l’Iran non avesse sospeso il suo programma di sviluppo nucleare, è anch’essa estremamente chiara: 1) Sarkozy si muove in perfetta sintonia con Israele, che almeno dal Forum di Doha del maggio scorso si sforza di proporsi come “alleato” degli Arabi contro il “comune nemico” iraniano, e che oggi dà segnali di disponibilità alla “pace” con Siria, Hezbolllah e nientemeno Palestina. 2) Con la scusa di rilanciare il dialogo fra le due sponde miseramente fallito per il mancato compimento dei buoni propositi dell’ormai lontana conferenza di Madrid del 1991, Sarkozy sta così cercando di ritagliare uno scacchiere politico-diplomatico separato da quello iraniano e mesopotamico, come se l’Iran di Ahmedinejad non fosse indissolubilmente connesso da un punto di vista geopolitico al teatro di tutti i conflitti mediorientali, a cominciare – lungo le sponde del Mediterraneo - dal Libano e dalla Palestina. 3) In altri termini, Sarkozy sta anche lui spianando la strada all’attacco di Israele, sia pure in modo meno rozzo del suo collega d’oltreoceano..

E’ guerra certa dunque? No, ma la catastrofica ipotesi è sempre più possibile: su di essa pesano ormai quasi solo i fattori e le dinamiche interne allo Stato ebraico, dal ricatto giudiziario su Olmert sotto inchiesta per presunti reati finanziari, al peso dell’esercito, a quello dell’ideologia biblica-talmudica cui è stato formato per decenni l’intero popolo israeliano, e per la quale non valgono certo principi e regole del diritto internazionale dei “popoli gentili”, ma il mito del “popolo eletto” che tutto può in Medio Oriente e fuori, perché così “Javhe vuole”.

Un pericolo evidente, di fronte a cui come al solito l’Europa tace, Italia compresa. Chi scrive non è mai stato malato di antiberlusconismo preconcetto come la sinistra radicale sconfitta nelle ultime elezioni, o come i neoqualunquisti al seguito di Di Pietro; né pensa che l’attacco di Louise Arbour alla sovranità italiana in tema di immigrazione sia privo di un segno preciso e allo stesso tempo inquietante: ma, questo premesso, non basta certo l’ editoriale de Il Giornale di oggi a frenare la deriva in atto, il commento cioè di R.A. Segre contro gli “illusi” e “irresponsabili” che predicano la guerra all’Iran, in un articolo in cui peraltro si parla con leggerezza della pace fra palestinesi e israeliani come di una “ossessione”. Non basta, e non c’erabisogno della presa di posizione del presidente del Parlamento di Teheran Larjani a ricordarcelo: occorrerebbe una presa di posizione chiara, e una presa di distanza netta dalle dichiarazioni di Bush, una vis polemica come quella che lo stesso Berlusconi attivò versus l’alleato di Washington dopo l’assassinio di Calipari da parte di un militare israeliano a Bagdad. Manca in queste ore – saremmo ingenui, ma così la pensiamo – il “presidente” della canzoncina elettorale di Forza Italia. Meno male, comunque che “Bashar c’è”. Forse (ma solo forse) sarà lui a salvarci da una nuova catastrofica guerra in Medio Oriente, con effetti tragici a livello planetario.