Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La rivoluzione alla rovescia. La letteratura contro il 1789 in Italia

La rivoluzione alla rovescia. La letteratura contro il 1789 in Italia

di Carlo Capra - 16/07/2008


Luciano Guerci approfondisce i temi della pubblicistica reazionaria

Negli ultimi decenni una crescente attenzione è stata dedicata al pensiero e all'azione della controrivoluzione, che alcuni autori vorrebbero sottilmente distinguere dall'antirivoluzione. Nella maggior parte dei casi, si tratta di studi ispirati da una certa simpatia per queste forme di resistenza o addirittura da un esplicito rigetto della Rivoluzione francese e dei mutamenti da essa prodotti in ambito politico, sociale e culturale. In Italia, in particolare, l'affermazione di partiti e movimenti di destra ha favorito una ripresa di motivi già presenti nella storiografia di matrice nazionalista e fascista, quali l'esaltazione dei moti popolari a sfondo legittimista e sanfedista che costellarono il triennio 1796-1799 e la loro interpretazione in chiave patriottica o clericale o autonomistica. Sono lavori per lo più privi di consistenti basi documentarie e di taglio prevalentemente ideologico (lo stesso rimprovero da essi rivolto alla storiografia «tradizionale »), che hanno avuto tuttavia il merito di riproporre il rilievo e l'interesse di quella che è stata certamente la più estesa e prolungata jacquerie della storia italiana.
Da queste sollecitazioni nasce, probabilmente, la ricerca di uno storico di razza, Luciano Guerci ( Uno spettacolo non mai più veduto nel mondo. La Rivoluzione francese come unicità e rovesciamento negli scrittori controrivoluzionari italiani (1789-1799), Utet, pagine VIII + 321, e 26) a cui dobbiamo fondamentali contributi sull'Illuminismo settecentesco e sulla pubblicistica d'intonazione repubblicana in Italia. Il suo libro non si occupa delle insorgenze antifrancesi in quanto tali, ma si propone di esplorarne e cartografarne il retroterra culturale, costituito dalla letteratura controrivoluzionaria che per un decennio a partire dal 1789 reagì ai grandi avvenimenti parigini e poi alle loro ripercussioni fuori dai confini francesi. Sono libri, opuscoli, articoli di giornale, fogli volanti, componimenti in prosa e in verso, nella maggior parte provenienti dallo Stato Pontificio e compilati da religiosi secolari o regolari (non pochi gli ex gesuiti): in toni violenti e a volte apocalittici i loro autori denunciano le enormità commesse dai rivoluzionari e, a monte, l'esistenza di una vera e propria congiura contro il trono e l'altare variamente addebitata ai filosofi atei e materialisti, ai massoni e ai giansenisti, i quali ultimi non avevano esitato ad allearsi coi sovrani riformatori per colpire i privilegi e le immunità della Chiesa. Se all'inizio non mancò qualche tentativo di coniugare la sovranità popolare con la supremazia della fede (il più noto è il trattato dell'abate Spedalieri De' diritti dell'uomo, pubblicato ad Assisi all'inizio del 1791), la decisa condanna pronunciata da Pio VI nel marzo-aprile 1791 nei confronti della Costituzione civile del clero e della Rivoluzione nel suo complesso pose fine a ogni ambiguità e diede il via a una martellante campagna di stampa che raggiunse il parossismo nel periodo del Terrore e che la fine analisi di Guerci riconduce a due motivi fondamentali, l'idea di unicità e quella di rovesciamento: «La Rivoluzione francese era un fenomeno unico nella storia dell'umanità ... e dava vita a un mondo alla rovescia: un mondo alla rovescia rispetto all'Ancien Régime, il solo ordine che i nostri scrittori riuscissero a pensare e ad accettare».
Nessuno dei controrivoluzionari italiani raggiunge la grandezza visionaria di un Burke, di un Bonald o di un De Maistre. Predomina una certa monotonia e ripetitività (la stessa che caratterizzerà più tardi gli scrittori antirisorgimentali) negli insulti, nelle espressioni di orrore e di scandalo e nel rimpianto per la monarchia assoluta e per la Santa Inquisizione. Ma non mancano le scoperte interessanti, come la verve satirica e l'inventività linguistica dell'ecclesiastico piemontese Francesco Eugenio Guasco, definito da Guerci «il Voltaire della controrivoluzione», artefice di gustosi neologismi come «gerobebelosia» («frammischianza di cose sacre con le profane» spiega Guasco) e «giangiacobini» (un incrocio pestilenziale di giansenisti e giacobini). Un libro, questo di Guerci, che colma una vera lacuna negli studi sul periodo rivoluzionario e che appare utile e necessario in tempi di rinnovate tentazioni integralistiche e antimodernistiche.